24 Luglio 2019

Mercoledì della XVI SETTIMANA T. O.

Es 16,1-5.9-15; Sal 77 (78); Mt 13,1-9


Colletta: Sii propizio a noi tuoi fedeli, Signore, e donaci i tesori della tua grazia, perché, ardenti di speranza, fede e carità, restiamo sempre fedeli ai tuoi comandamenti. Per il nostro Signore Gesù Cristo...

Il Vangelo di oggi ci suggerisce due riflessioni. La prima, il seminatore, Gesù, uscì a seminare, e possiamo dire che certamente non è oculato nello spargere la semente. Diremmo che avrebbe potuto cercare soltanto il “terreno buono” e lì spargere a iosa il seme. E così, la parabola ci suggerisce che non dobbiamo avere timore a spargere il seme della Parola anche in cuori incattiviti dal male, chi semina è Gesù, ed è Lui a fare crescere la pianta e a far sì che porti frutti abbondanti di santità e di salvezza: “Quando uno dice: «Io sono di Paolo, e un altro: «Io sono di Apollo, non vi dimostrate semplicemente uomini? Ma che cosa è mai Apollo? Che cosa è Paolo? Servitori, attraverso i quali siete venuti alla fede, e ciascuno come il Signore gli ha concesso. Io ho piantato, Apollo ha irrigato, ma era Dio che faceva crescere. Sicché, né chi pianta né chi irriga vale qualcosa, ma solo Dio, che fa crescere. Chi pianta e chi irriga sono una medesima cosa: ciascuno riceverà la propria ricompensa secondo il proprio lavoro. Siamo infatti collaboratori di Dio, e voi siete campo di Dio, edificio di Dio” (1Cor 3,4-9).
La seconda riflessione la suggerisce il terreno buono e i suoi frutti: Un’altra parte cadde sul terreno buono e diede frutto: il cento, il sessanta, il trenta per uno. Perché questa differenza di frutti? Non ci è data una risposta, forse perché così “predisposta” dalla grazia di Dio, forse perché il tutto dipende dalla risposta dell’uomo, che rimane pur sempre una risposta libera, anche se viziata dal peso del peccato originale: “Io so infatti che in me, cioè nella mia carne, non abita il bene: in me c’è il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo; infatti io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio” (Rm 7,18-19). 
In ogni caso ben valga il monito di Gesù, Chi ha orecchi, ascolti. Un monito fondante per la vita cristiano, perché l’“ascolto” può mutare un deserto in un giardino, come il non ascolto può far sì che un ameno giardino si trasformi in un desolato deserto. Ascoltare apre l’uomo alla Vita senza fine, il non ascolto lo fa addormentare tra le braccia della morte eterna.

Dal Vangelo secondo Matteo 13,1-9: Quel giorno Gesù uscì di casa e sedette in riva al mare. Si radunò attorno a lui tanta folla che egli salì su una barca e si mise a sedere, mentre tutta la folla stava sulla spiaggia.
Egli parlò loro di molte cose con parabole. E disse: «Ecco, il seminatore uscì a seminare. Mentre seminava, una parte cadde lungo la strada; vennero gli uccelli e la mangiarono. Un’altra parte cadde sul terreno sassoso, dove non c’era molta terra; germogliò subito, perché il terreno non era profondo, ma quando spuntò il sole, fu bruciata e, non avendo radici
, seccò. Un’altra parte cadde sui rovi, e i rovi crebbero e la soffocarono. Un’altra parte cadde sul terreno buono e diede frutto: il cento, il sessanta, il trenta per uno. Chi ha orecchi, ascolti».

Il XIII capitolo di Matteo, con sette parabole, espone sotto diversi aspetti il mistero del regno e le sue vicissitudini. Il numero sette, che indica pienezza, è un numero molto caro a Matteo (cfr. 1,17; 5,3.5; 6,9; 18,22; 23,1). La parabola “come appare nel vangelo, può definirsi: un racconto fittizio, ma verosimile, che serve ad illustrare un insegnamento morale o una verità dottrinale mediante un paragone” (Angelo Lancellotti). Da qui la possibile incomprensione del racconto parabolico da parte di molti, ma, sopra tutto, da parte di chi è mal disposto. L’accoglienza «positiva da parte del credente, come il rifiuto da parte del non credente, nei confronti del messaggio di Gesù, è in fondo l’effetto di intime disposizioni personali che condizionano l’ascolto. Si respinge il Signore non perché non si capisca il senso delle sue parabole, ma perché in ultima analisi manca la volontà di capirlo, si è mal disposto verso la persona stessa di Gesù» (A. S. - R. S). In questo modo, per «le anime ben disposte, al possesso dell’antica alleanza si aggiungerà il perfezionamento della nuova (cfr. Mt 5,17.20); alle anime mal disposte, verrà tolto anche quello che hanno, cioè la stessa legge giudaica che, lasciata a se stessa, diverrà caduca» (Bibbia di Gerusalemme).  La parabola del seminatore vuole mettere in evidenza gli ostacoli che il regno di Dio trova nel suo sviluppo sulla terra. Ma, nonostante i fallimenti e l’incorrispondenza di molti, il seme, a suo tempo, porterà abbondanti frutti. Un messaggio di ottimismo per tanti cristiani delusi (cfr. Lc 24,13ss).

Il seminatore uscì a seminare - La parola di Dio - X. Dufour (Dizionario di Teologia Biblica): Secondo una linea direttamente metaforica, il seme è la parola di Dio. Già il consolatore di Israele annunziava l’azione efficace della parola divina, paragonandola alla pioggia che rende fecondo il seme (Is 55,10s). Annunciando la parabola del seminatore, Gesù associa il dovere di portare frutto, non alla messe, ma alle semine; opera così una retrospettiva sull’inaugurazione degli ultimi tempi (cfr. Os 2,25) che ha luogo nel momento in cui sta parlando. Questa è la storia vissuta dell’incontro tra il Germe divino e il popolo di Dio. Bisogna essere una buona terra, proprio perché la semente è gettata con la parola stessa di Dio. E allora, che splendido raccolto! E tuttavia, accanto al buon seme seminato dal figlio dell’uomo, c’è anche la zizzania seminata dal maligno (Mt 13,24-30.36-43). Questa parola è Cristo in persona, che ha voluto morire in terra per portare frutto (Gv 12,24.32). E la Chiesa ha riconosciuto la sua propria storia attraverso le parabole di Gesù. Ha fortificato la sua fede presentendo, attraverso gli umili inizi del regno dei cieli, la gloria finale: il granello di senapa diventa un grande albero (Mt 13,31s; cfr. Ez 17,23; Dan 4,7-19), secondo la promessa fatta un tempo ad Abramo di un «seme» innumerevole come le stelle del cielo. Infine la Chiesa, «seme» di Gesù (Apoc 12,17), resiste vittoriosamente al dragone, perché Cristo dimora in essa (1Gv 3,9).  

La parabola - Angelo Lacellotti (Matteo): «parabola», dal greco parabolé, vuol dire: paragone, discorso per similitudine. La parabola, come appare nel vangelo, può definirsi: un racconto fittizio, ma verosimile, che serve ad illustrare un insegnamento morale o una verità dottrinale mediante un paragone.
Si deve distinguere bene la parabola dall’allegoria; poiché mentre nell’allegoria, che è una serie di metafore, ogni elemento ha un suo preciso significato, nella parabola ciò che conta è la sostanza dell’insegnamento, mentre i dettagli hanno spesso una funzione ornamentale. Inoltre, mentre la parabola ha per sé lo scopo di chiarire, l’allegoria ha quello di velare la verità. Ora però, essendo l’allegoria e la parabola forme letterarie affini, è comprensibile che nelle parabole evangeliche si infiltrino spesso elementi allegorici.
13,1-9 (Mc 4,3-9; Lc 8,4-8): la parabola del seminatore, cioè la sorte del messaggio evangelico deposto come un seme da Cristo e dalla Chiesa nel cuore degli uomini. Nonostante i molteplici ostacoli, nonostante il parziale insuccesso, alla fine il seme porterà il suo frutto, e un frutto sovrabbondante. La parabola del seminatore, accompagnata dal detto di Gesù sul motivo dell’insegnamento in parabole (vv. 10-13) a cui fa seguito la spiegazione della parabola stessa (vv. 18-23), è riportata senza variazioni notevoli da tutti e tre i Sinottici.

Il contesto di una parabola - Claude Tassin (Vangelo di Matteo): In genere, una parabola nasce da una situazione concreta, situazione che si manifesta in due modi: attraverso il quadro e/o l’applicazione della favola. a) Il quadro è costituito dal luogo e dalle persone che muovono il narratore a raccontare la parabola. Se La Fontaine avesse osato raccontare il corvo e la volpe davanti alla corte di Versailles, Luigi XIV sarebbe certamente impallidito di rabbia, sentendosi preso di mira dalla parabola. Il quadro di questa può variare e, di conseguenza, la sua stessa portata. In Luca 15, la pecora smarrita ha come quadro le critiche dei farisei e degli scribi che osservano Gesù seduto a mensa con i peccatori. In Matteo 18, lo stesso racconto riguarda i responsabili della Chiesa più preoccupati della loro dignità che dell’accoglienza dei piccoli, fattore che muta la portata dell’immagine adoperata. b) L’applicazione è la lezione che si trae dalla favola. Quando La Fontaine scrive: «Ogni adulatore vive a spese di colui che lo ascolta», questo non fa più parte della parabola; è una lezione che egli pone in bocca alla volpe. In Matteo 13, l’applicazione è quasi sempre manifesta: «Il regno dei cieli è simile...»; in altre parole, la storia raccontata (la zizzania, il tesoro) si applica al regno. Ma spetta sovente all’ascoltatore (al lettore) scoprirne l’applicazione.

Il carattere enigmatico delle parabole - D. Sesbouè (Dizionario di Teologia Biblica): l. Nella profezia del VT. - Per spiegare il carattere enigmatico di talune parabole evangeliche, più che agli enigmi dei sapienti (1Re 10,1-3; Eccli 39,3), bisogna ricorrere alla presentazione volutamente misteriosa di scritti tardivi. A partire da Ezechiele, l’annuncio profetico del futuro si trasforma a poco a poco in apocalisse, avvolge cioè deliberatamente il contenuto della rivelazione in una serie di immagini che hanno bisogno di spiegazione per essere comprese. La presenza di un «angelo-interprete» fa generalmente spiccare la profondità del messaggio e la sua difficoltà. Così l’allegoria dell’aquila in Ez 17,3-10, chiamata «enigma» e «parabola» (masal), è poi spiegata dal profeta (17,12-21). Le visioni di Zaccaria comportano un angelo-interprete (Zac 1,9ss; 4,5s...) e soprattutto le grandi visioni apocalittiche di Daniele, nelle quali si suppone sempre Che il veggente non comprenda (Dan 7,15s; 8,15s; 9; 22). Si giunge così a uno schema tripartito: simbolo - richiesta di spiegazione - applicazione del simbolo alla realtà.
2. Nel Vangelo - Il mistero del regno e della persona di Gesù è talmente nuovo che anch’esso non può manifestarsi se non gradualmente, e secondo la ricettività diversa degli uditori. Perciò Gesù, nella prima parte della sua vita pubblica, raccomanda a suo riguardo il «segreto messianico», posto in così forte rilievo da Marco (1,34.44; 3,12; 5,43 ...). Perciò pure egli ama parlare in parabole che, pur dando una prima idea della sua dottrina, obbligano a riflettere ed hanno bisogno di una spiegazione per essere perfettamente comprese. Si perviene così a un insegnamento a due livelli, ben sottolineato da Mc 4, 33-34: il ricorso a temi classici (il re, il banchetto, la vite, il pastore, le semine...) mette sulla buona strada l’insieme degli ascoltatori; ma i discepoli hanno diritto a un approfondimento della dottrina, impartito da Gesù stesso. I loro quesiti ricordano allora gli interventi dei veggenti nelle apocalissi (Mt 13,10-13.34s-36.51; 15,15; cfr. Dan 2,18ss; 7,6). Le parabole appaiono così una specie di mediazione necessaria affinché la ragione si apra alla fede: più il credente penetra nel mistero rivelato, più approfondisce la comprensione delle parabole; viceversa, più l’uomo rifiuta il messaggio di Gesù, più gli resta interdetto l’accesso alle parabole del regno. Gli evangelisti sottolineano appunto questo fatto quando, colpiti dalla ostinazione (indurimento) di molti Giudei di fronte al vangelo, rappresentano Gesù che risponde ai discepoli con una citazione di Isaia: le parabole mettono in evidenza l’accecamento di coloro che rifiutano deliberatamente di aprirsi al messaggio di Cristo (Mt 13,10-15 par.). Tuttavia, accanto a queste parabole affini alle apocalissi, ce ne sono di più chiare che hanno di mira insegnamenti morali accessibili a tutti (così Lc 8,16ss; 10,30-37; 11,5-8).

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** Nonostante i molteplici ostacoli, nonostante il parziale insuccesso, alla fine il seme porterà il suo frutto, e un frutto sovrabbondante.
Questa parola cosa ti suggerisce?
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Assisti, Signore, il tuo popolo,
che hai colmato della grazia di questi santi misteri,
e fa’ che passiamo dalla decadenza del peccato
alla pienezza della vita nuova.
Per Cristo nostro Signore.