20 Luglio 2019
Sabato XV Settimana T. O.
Es 12,37-42; Sal 135 (136); Mt 12,14-21
Colletta: O Dio, che mostri agli erranti la luce della tua verità. perché possano tornare sulla retta via, concedi a tutti coloro che si professano cristiani di respingere ciò che è contrario a questo nome e di seguire ciò che gli è conforme. Per il nostro Signore Gesù Cristo…
Subito dopo la disputa sull’osservanza del sabato violato dai discepoli di Gesù, i quali avevano raccolto un pugno di spighe per sfamarsi, Matteo narra la guarigione di un uomo dalla mano paralizzata. Una guarigione in giorno di sabato, nella sinagoga, in casa del “nemico”. La disputa si riaccende: I farisei per accusarlo, domandarono a Gesù: “È lecito guarire in giorno di sabato?” Ed egli rispose loro: “Chi di voi, se possiede una pecora e questa, in giorno di sabato, cade in un fosso, non l’afferra e la tira fuori? Ora, un uomo vale ben più di una pecora! Perciò è lecito in giorno di sabato fare del bene” (Mt 12,10-12). Mettendo a nudo la loro ipocrisia, Gesù mostra chiaramente di non temere le reazioni dei farisei, i quali, perduta la faccia dinanzi ai loro proseliti, danno la stura alla rabbia e all’odio facendo divampare nei loro cuori il fuoco della vendetta: i farisei uscirono [dalla sinagoga] e tennero consiglio contro Gesù per farlo morire. All’odio dei farisei Gesù risponde con l’amore, sanando compassionevolmente tutti i malati. L’imposizione di non divulgare il miracolo forse potrebbe far pensare al segreto messianico, in verità raramente presente nel Vangelo di Matteo (cfr. Mt 8,4). La citazione, con la quale si chiude il brano evangelico, è tratta dal libro del profeta Isaia (42,1-4), e si riferisce non solo alla missione del Servo del Signore a favore dei pagani, ma è intesa come una forte contrapposizione all’accusa dei farisei riportata nel brano successivo dove Gesù verrà accusato di scacciare i demòni per mezzo di Beelzebùl, capo dei demòni.
Dal Vangelo secondo Matteo 12,14-21: In quel tempo, i farisei uscirono e tennero consiglio contro Gesù per farlo morire. Gesù però, avendolo saputo, si allontanò di là. Molti lo seguirono ed egli li guarì tutti e impose loro di non divulgarlo, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta Isaia: «Ecco il mio servo, che io ho scelto; il mio amato, nel quale ho posto il mio compiacimento. Porrò il mio spirito sopra di lui e annuncerà alle nazioni la giustizia. Non contesterà né griderà né si udrà nelle piazze la sua voce. Non spezzerà una canna già incrinata, non spegnerà una fiamma smorta, finché non abbia fatto trionfare la giustizia; nel suo nome spereranno le nazioni».
… ed egli li guarì tutti - Benedetto XVI (Angelus, 5 febbraio 2012): I quattro Evangelisti sono concordi nell’attestare che la liberazione da malattie e infermità di ogni genere costituì, insieme con la predicazione, la principale attività di Gesù nella sua vita pubblica. In effetti, le malattie sono un segno dell’azione del Male nel mondo e nell’uomo, mentre le guarigioni dimostrano che il Regno di Dio, Dio stesso è vicino. Gesù Cristo è venuto a sconfiggere il Male alla radice, e le guarigioni sono un anticipo della sua vittoria, ottenuta con la sua Morte e Risurrezione. Un giorno Gesù disse: “Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati” [Mc 2,17]. In quella circostanza si riferiva ai peccatori, che Egli è venuto a chiamare e a salvare. Rimane vero però che la malattia è una condizione tipicamente umana, in cui sperimentiamo fortemente che non siamo autosufficienti, ma abbiamo bisogno degli altri. In questo senso potremmo dire, con un paradosso, che la malattia può essere un momento salutare in cui si può sperimentare l’attenzione degli altri e donare attenzione agli altri! Tuttavia, essa è pur sempre una prova, che può diventare anche lunga e difficile. Quando la guarigione non arriva e le sofferenze si prolungano, possiamo rimanere come schiacciati, isolati, e allora la nostra esistenza si deprime e si disumanizza. Come dobbiamo reagire a questo attacco del Male? Certamente con le cure appropriate - la medicina in questi decenni ha fatto passi da gigante, e ne siamo grati - ma la Parola di Dio ci insegna che c’è un atteggiamento decisivo e di fondo con cui affrontare la malattia ed è quello della fede in Dio, nella sua bontà. Lo ripete sempre Gesù alle persone che guarisce: La tua fede ti ha salvato (cfr Mc 5,34.36). Persino di fronte alla morte, la fede può rendere possibile ciò che umanamente è impossibile. Ma fede in che cosa? Nell’amore di Dio. Ecco la vera risposta, che sconfigge radicalmente il Male. Come Gesù ha affrontato il Maligno con la forza dell’amore che gli veniva dal Padre, così anche noi possiamo affrontare e vincere la prova della malattia tenendo il nostro cuore immerso nell’amore di Dio. Tutti conosciamo persone che hanno sopportato sofferenze terribili perché Dio dava loro una serenità profonda. Penso all’esempio recente della beata Chiara Badano, stroncata nel fiore della giovinezza da un male senza scampo: quanti andavano a farle visita, ricevevano da lei luce e fiducia! Tuttavia, nella malattia, abbiamo tutti bisogno di calore umano: per confortare una persona malata, più che le parole, conta la vicinanza serena e sincera.
… perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta Isaia - Benedetto Prete (I Quattro Vangeli): Nella citazione Matteo adatta il testo ebraico ed i LXX (la versione greca dei Settanta) ad un suo intento personale. Il mio diletto (il testo ebraico ed i LXX hanno: il mio eletto) richiama la stessa espressione del battesimo di Gesù (cf. Mt., 3, 16-17). Annunzierà... la giustizia (oppure: giudizio, diritto); l’espressione ebraica indica il diritto che regola i rapporti tra Dio e l’uomo, che è manifestato dalla rivelazione e che costituisce il fondamento della religione; il termine giustizia (cf. anche versetto 20) equivale a: fede, rivelazione, religione. Il Benoît traduce: «egli annunzierà la vera fede ai Gentili». Non farà contese (testo ebraico e LXX: non griderà forte) cioè: non provocherà dispute, adattamento di Matteo per indicare che Gesù evita inutili dispute con i Farisei, come l’evangelista ha accennato al vers. 15. Nel suo nome le genti porranno la loro speranza; le genti (oppure: le nazioni) sta per il termine ebraico: isole (cioè: paesi lontani). Matteo usa una voce equivalente che si adatta meglio al suo vangelo, il quale terminerà con il comando di Cristo d’istruire tutte le genti (oppure: nazioni). Il passo del libro d’Isaia presenta una descrizione del Messia; il profeta e l’evangelista affermano che «il servo di Jahweh» annunzierà ai popoli (cioè non soltanto al popolo eletto) la verità rivelata ad Israele. Il Messia non agirà in modo clamoroso e violento, ma con umiltà ed amore, userà misericordia verso gli erranti e gli smarriti, poiché egli raddrizzerà la canna piegata e ravviverà lo stoppino che sta per spegnersi. Il Messia attuerà questa sua opera e farà trionfare la verità. Da ora in poi le genti troveranno nella sua persona (nel suo nóme) la speranza della salvezza.
Ecco il mio servo - Ortensio Da Spinetoli (Matteo): La figura del servo di Jahve non è semplice ma polivalente. Il termine rievoca la predilezione, l’assistenza, il beneplacito che Dio accorda al suo inviato e insieme l’abbassamento e la sofferenza che esige da lui per portare a termine la sua missione. Come è stato già salutato nel battesimo Gesù è l’eletto del Padre, colui che ha ricevuto tutto il suo favore e sul quale è disceso tutto il suo Spirito, fonte di forza e di vita. Questa investitura ha lo scopo missionario di portare la giustizia, cioè la redenzione e la salvezza a tutte le genti. Nonostante questo alto compito il messia, re universale, aprirà il suo mandato umilmente, come un servo, con la piena sottomissione alla volontà del Padre. Non farà leva sui mezzi e sulle risorse umane ma sull’aiuto di Dio. Il suo metodo apostolico è descritto dal profeta con quattro verbi: tutti in forma negativa. Essi dicono ciò che Gesù non ha voluto, o potuto essere, come i suoi connazionali, a cominciare dal Battista, avrebbero invece desiderato. Non è stato potente, battagliero, prestigioso, ma umile, mite, accondiscendente (cfr. 11,28-30). La descrizione isaiana tocca i caratteri del messianismo di Gesù ma più ancora i tratti del suo animo. Egli non sarà travolgente come Elia (Eccli 48,1-11) ma docile, pronto, ubbidiente come un servo, senza pretese e senza rivendicazioni, paziente e sempre sottomesso alla volontà del Padre (cfr. Mt. 26, 43). Così sprovvisto e umile porterà egualmente la salvezza a tutte le genti.
Non spezzerà una canna già incrinata: non spegnerà una fiamma smorta: Reconciliatio et paenitentia 34: Ritengo di dover fare a questo punto un accenno, sia pur brevissimo, a un caso pastorale che il Sinodo ha voluto trattare – per quanto gli era possibile farlo –, contemplandolo anche in una delle “Propositiones”. Mi riferisco a certe situazioni, oggi non infrequenti, in cui vengono a trovarsi cristiani desiderosi di continuare la pratica religiosa sacramentale, ma che ne sono impediti dalla condizione personale in contrasto con gli impegni liberamente assunti davanti a Dio e alla Chiesa. Sono situazioni che appaiono particolarmente delicate e quasi inestricabili. Non pochi interventi nel corso del Sinodo, esprimendo il pensiero generale dei padri, hanno messo in luce la coesistenza e il mutuo influsso di due principi, egualmente importanti, in merito a questi casi. Il primo è il principio della compassione e della misericordia, secondo il quale la Chiesa, continuatrice nella storia della presenza e dell’opera di Cristo, non volendo la morte del peccatore ma che si converta e viva (cfr. Ez 18,23), attenta a non spezzare la canna incrinata e a non spegnere il lucignolo che fumiga ancora (cfr. Is 42,3 Mt 12,20), cerca sempre di offrire, per quanto le è possibile, la via del ritorno a Dio e della riconciliazione con lui. L’altro è il principio della verità e della coerenza, per cui la Chiesa non accetta di chiamare bene il male e male il bene. Basandosi su questi due principi complementari, la Chiesa non può che invitare i suoi figli, i quali si trovano in quelle situazioni dolorose, ad avvicinarsi alla misericordia divina per altre vie, non però per quella dei sacramenti della penitenza e dell’eucaristia, finché non abbiano raggiunto le disposizioni richieste.
Diginitatis Humanae 11: Dio chiama gli esseri umani al suo servizio in spirito e verità; per cui essi sono vincolati in coscienza a rispondere alla loro vocazione, ma non coartati. Egli, infatti, ha riguardo della dignità della persona umana da lui creata, che deve godere di libertà e agire con responsabilità. Ciò è apparso in grado sommo in Cristo Gesù, nel quale Dio ha manifestato se stesso e le sue vie in modo perfetto. Infatti Cristo, che è Maestro e Signore nostro, mite ed umile di cuore ha invitato e attratto i discepoli pazientemente. Certo, ha sostenuto e confermato la sua predicazione con i miracoli per suscitare e confortare la fede negli uditori, ma senza esercitare su di essi alcuna coercizione. Ha pure rimproverato l’incredulità degli uditori, lasciando però la punizione a Dio nel giorno del giudizio. Mandando gli apostoli nel mondo, disse loro: «Chi avrà creduto e sarà battezzato, sarà salvo. Chi invece non avrà creduto sarà condannato» (Mc 16,16). ma conoscendo che la zizzania è stata seminata con il grano, comandò di lasciarli crescere tutti e due fino alla mietitura che avverrà alla fine del tempo. Non volendo essere un messia politico e dominatore con la forza preferì essere chiamato Figlio dell’uomo che viene « per servire e dare la sua vita in redenzione di molti » (Mc 10,45). Si presentò come il perfetto servo di Dio che «non rompe la canna incrinata e non smorza il lucignolo che fuma» (Mt 12,20). Riconobbe la potestà civile e i suoi diritti, comandando di versare il tributo a Cesare, ammonì però chiaramente di rispettare i superiori diritti di Dio: «Rendete a Cesare quello che è di Cesare, e a Dio quello che è di Dio» (Mt 22,21). Finalmente ha ultimato la sua rivelazione compiendo nella croce l’opera della redenzione, con cui ha acquistato agli esseri umani la salvezza e la vera libertà. Infatti rese testimonianza alla verità, però non volle imporla con la forza a coloro che la respingevano. Il suo regno non si erige con la spada ma si costituisce ascoltando la verità e rendendo ad essa testimonianza, e cresce in virtù dell’amore con il quale Cristo esaltato in croce trae a sé gli esseri umani .
Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** Gesù non volendo essere un messia politico e dominatore con la forza preferì essere chiamato Figlio dell’uomo che viene « per servire e dare la sua vita in redenzione di molti» (Mc 10,45).
Questa parola cosa ti suggerisce?
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.
Signore, che ci hai nutriti alla tua mensa,
fa’ che per la comunione a questi santi misteri
si affermi sempre più nella nostra vita
l’opera della redenzione.
Per Cristo nostro Signore.
fa’ che per la comunione a questi santi misteri
si affermi sempre più nella nostra vita
l’opera della redenzione.
Per Cristo nostro Signore.