16 Luglio 2019

Martedì XV Settimana T. O.

Es 2,1-15; Sal 68 (69); Mt 11,20-24

Colletta: O Dio, che mostri agli erranti la luce della tua verità. perché possano tornare sulla retta via, concedi a tutti coloro che si professano cristiani di respingere ciò che è contrario a questo nome e di seguire ciò che gli è conforme. Per il nostro Signore Gesù Cristo…

Le parole infiammate di Gesù ci scuotono e ci fanno aprire gli occhi sulla nostra “futura destinazione”: o Inferno o Paradiso. Non si può scherzare con la Giustizia divina, e non si può celiare con il fuoco, il fuoco dell’Inferno. Molti predicano che il Dio dell’Antico Testamento è il Dio dei tuoni e dei fulmini, e invece quello rivelato da Gesù, nel Nuovo Testamento, è  il Dio tutto miele e tutto dolcezza: Colui che perdona tutto e tutti. Eppure, il Vangelo di oggi ci fa intendere che compagne della misericordia e della bontà vi sono anche la giustizia e il castigo. E alla fine dei giorni dovremo fare i conti con la Verità, che metterà a nudo tutta la nostra povera vita. Il peccato di Corazìn, di Betsàida, di  Cafàrnao? La risposta la troviamo in questa inquisitoria tutta divina, e quasi inaspettata, almeno per i buonisti: si mise a rimproverare le città nelle quali era avvenuta la maggior parte dei suoi prodigi, perché non si erano convertite... E come contrappeso non parla di città “chiare e pulite” con qualche peccatuccio, ma di Tiro, di Sidòne, di Sòdoma, e conosciamo dalla rivelazione i loro esecrabili peccati. Ebbene, i peccati delle città inquisite sono peggiori, più detestabili dei peccati commessi dagli abitanti di Tiro, di Sidòne, di Sòdoma! E attenzione, all’Inferno non ci andranno le pietre e le mura delle città a cui Gesù rivolge il suo rimprovero, ma gli abitanti di esse, dai più piccoli ai più vecchi. Ora leggendo, attentamente, questo monito, c’è ancora in noi il gusto di gridare a squarciagola: misericordia, misericordia, e soltanto queste parole? Il tacere il resto, la possibilità di essere compagni di satana per l’eternità, è un vero attento alla Verità, e rendersi correi di un esecrabile delitto, quello di aver mandato all’Inferno non pochi fratelli di credo per il prurito di essere buoni a tutti i costi.

Dal Vangelo secondo Matteo 11,20-24: In quel tempo, Gesù si mise a rimproverare le città nelle quali era avvenuta la maggior parte dei suoi prodigi, perché non si erano convertite: «Guai a te, Corazìn! Guai a te, Betsàida! Perché, se a Tiro e a Sidòne fossero avvenuti i prodigi che ci sono stati in mezzo a voi, già da tempo esse, vestite di sacco e cosparse di cenere, si sarebbero convertite. Ebbene, io vi dico: nel giorno del giudizio, Tiro e Sidòne saranno trattate meno duramente di voi.  E tu, Cafàrnao, sarai forse innalzata fino al cielo? Fino agli inferi precipiterai! Perché, se a Sòdoma fossero avvenuti i prodigi che ci sono stati in mezzo a te, oggi essa esisterebbe ancora! Ebbene, io vi dico: nel giorno del giudizio, la terra di Sòdoma sarà trattata meno duramente di  te!».

Guai… - Benedetto Prete (I Quattro Vangeli): versetto 21 Corozein (Corazin) identificata con Kkirbet Kerazeh, sorgeva nell’interno a circa 4 chilometri a nord-ovest di Cafarnao; Bethsaida era sulla riva del lago sull’estuario del Giordano (sponda sinistra). Si è pensato all’esistenza di due città chiamate Bethsaida: una Bethsaida orientale (detta Bethsaida Giulia, la città di questo passo) e una Bethsaida occidentale (cf. Mc., 6,45) chiamata Bethsaida di Galilea; cf. Gto., 12,21; l’antichità, tuttavia, non conosce l’esistenza di due Bethsaida. Tiro e Sidone: due città della costa fenicia in territorio interamente pagano. Il Maestro rimprovera queste città per la loro ostinazione, non già per fatti di perversione morale come nel caso di Sodoma e Gomorra. Avrebbero fatto penitenza con il cilicio e con la cenere; espressione tradizionale per indicare la penitenza (cf. Giona 3,5-8); il cilicio è una stoffa rude (sacco) di cui ci si rivestiva nei giorni di digiuno. Gesù si esprime in modo popolare; egli non intende trattare il problema se Dio conosca i così detti “futuribili”, cioè le cose possibili nel futuro, ma che non si attueranno mai.

I Vangeli (Ed. Àncora):  Primo oracolo di sventura (vv. 21-22) - Il primo giudizio di rovina, espresso mediante il genere dei «guai», accorpa le due città di Corazin e Betsaida, vicine a Cafarnao. I loro abitanti hanno visto tanti segni, ma non si sono convertiti, lasciando così cadere la parola di Gesù, e facendo abortire la potenza di rinnovamento in essa racchiusa. La gravità del rifiuto è ulteriormente marcata dal confronto con le città pagane di Tiro e Sidone. Le città peccatrici per antonomasia, contro le quali si indirizza il maggior numero di invettive nella letteratura profetica, sono ritenute addirittura migliori di Corazin e Betsaida. Sono scusabili in rapporto a queste poiché non hanno assistito alla stessa mole di miracoli. Se Tiro e Sidone avessero visto tutti i segni fatti da Gesù come è accaduto invece per Corazin e Betsaida, avrebbero fatto di certo penitenza, vestendo il sacco e cospargendosi il capo di cenere, e si sarebbero converti e al vero Dio (come fecero i niniviti dinanzi alla predicazione di Giona). Gesù quindi conclude sostenendo che nel giudizio finale la sorte riservata alle città pagane sarà migliore di quella riservata alle due città “religiose”.
Secondo oracolo di sventura (vv. 23-24) - Poi Gesù si scaglia con una veemenza maggiore contro la città di Cafarnao, centro della sua attività. L’ostinazione di questa città, che è una seconda patria per Gesù, è assimilata a quella del re di Babilonia (cf Is 14,13-15) e di Tiro (Ez 28,1-18), esemplari della tracotanza dell’uomo che, volendo sfidare Dio, tenta la scalata al cielo ma viene affossato nell’abisso della morte.
Cafarnao viene paragonata a Sodoma, altra città emblema del vizio e del peccato che le costarono la distruzione (cf Gen 19,29). Ma a differenza di Sodoma, che non è stata lo scenario delle manifestazioni di potenza di Gesù, Cafarnao non ha scusanti e per questo non può sottrarsi a un duro giudizio.

Ebbene, io vi dico: nel giorno del giudizio -  J. Corbon e P. Grelot (Dizionario di teologia Biblica): Nei sinottici, la predicazione di Gesù si riferisce frequentemente al giudizio dell’ultimo giorno. Allora tutti gli uomini dovranno rendere conto (cfr. Mt 25,14-30). Una condanna rigorosa attende gli scribi ipocriti (Mc 12,40 par.), le città del lago che non hanno ascoltato la predicazione di Gesù (Mt 11,20-24), la generazione incredula che non si è convertita alla sua voce (12,39-42), le città che non accoglieranno i suoi inviati (10,14 s). Il giudizio di Sodoma e Gomorra non sarà nulla in confronto al loro (10,23 s); essi subiranno il giudizio della Geenna (23,33). Questi insegnamenti pieni di minacce mettono in rilievo la motivazione principale del giudizio divino: l’atteggiamento assunto dagli uomini di fronte al vangelo. L’atteggiamento verso il prossimo conterà altrettanto: secondo la legge mosaica, ogni omicida era passibile di tribunale umano; secondo la legge evangelica, occorrerà molto meno per essere passibili della Geenna (Mc 5,21s)! Bisognerà rendere conto di ogni calunnia (12,36). Si sarà giudicati con la stessa misura che si sarà applicata al prossimo (7,1-5). Ed il quadro di queste assise solenni, in cui il figlio dell’uomo funzionerà da giustiziere (25,31-46), mostra gli uomini accolti nel regno o consegnati alla pena eterna, secondo l’amore o l’indifferenza che avranno dimostrato verso il prossimo.
C’è tuttavia un delitto che, più di qualunque altro, chiama il giudizio divino. È quello con cui l’incredulità umana ha raggiunto il colmo della malizia in un simulacro di giudizio legale: il processo e la condanna a morte di Gesù (Mc 14,63 par.; cfr. Lc 24,20; Atti 13,28). Durante questo giudizio iniquo, Gesù si è rimesso a colui che giudica con giustizia (1Piet 2,23); quindi Dio, risuscitandolo, lo ha ristabilito nei suoi diritti. Ma l’esecuzione di questa sentenza ingiusta ha richiesto, in cambio, una sentenza di Dio contro l’umanità colpevole. È sintomatico il fatto che la cornice, in cui il vangelo di Matteo colloca la morte di Gesù, coincide con lo scenario tradizionale del giudizio nell’escatologia del VT (Mt 27,45.51 ss s). La morte di Gesù è quindi il momento in cui il mondo è giudicato; la storia successiva, fino all’ultimo giorno, non farà che esplicitare questa sentenza. Essa, secondo la testimonianza di Gesù stesso, colpirà dapprima «coloro che sono in Giudea», i primi colpevoli (24,15ss par.); ma questo non sarà che un preludio ed un segno, che annunzierà l’avvento finale del figlio dell’uomo, giudice del grande giorno (24,29 ss). Il condannato della passione, vittima del peccato del mondo, pronunzierà allora contro il mondo peccatore una condanna clamorosa.

… se a Tiro e a Sidòne fossero avvenuti i prodigi che ci sono stati in mezzo a voi, già da tempo esse, vestite di sacco e cosparse di cenere, si sarebbero convertite: Catechismo Tridentino 2400, 242: I vari gradi per giungere alla penitenza. Importa anche insegnare ai fedeli attraverso quali gradini possiamo progredire in questa divina virtù. Innanzi tutto la misericordia di Dio ci previene e converte a sé i nostri cuori. Questo domandava al Signore il profeta quando implorava: Convertici a te, o Signore, e saremo convertiti (Lm 5,21). Secondo: illuminati da questa luce, ci rivolgiamo a Dio sulle ali della fede, poiché, come afferma l’Apostolo, chi si accosta a Dio deve credere che Dio esiste e che è il rimuneratore di quelli che lo cercano (He 11,6). Terzo: segue il senso del timore, quando l’anima, considerando l’atrocità delle pene, si ritira dal peccato. A questo sembrano riferirsi le parole di Isaia: Come una donna incinta, prossima al parto, si lagna e grida fra le sue doglie, tali siamo noi (Is 26,17). Quarto: si aggiunge la speranza di impetrare la misericordia di Dio, sollevati dalla quale, risolviamo di emendare la vita e i costumi. Quinto: finalmente la carità infiamma i nostri cuori, e da essa scaturisce quel filiale timore che degnamente conviene a figli probi e assennati. Per essa, non temendo più che l’offesa della maestà di Dio, abbandoniamo del tutto l’abitudine del peccato. Questi sono i gradi attraverso i quali si giunge alla più sublime virtù della penitenza, che agli occhi nostri deve apparire tutta celeste e divina. Infatti la sacra Scrittura le promette il regno dei cieli, come si legge in san Matteo: Fate penitenza, che il regno dei cieli è vicino (Mt 3,2; 4,17); e in Ezechiele: Se l’empio farà penitenza di tutti i peccati commessi e custodirà tutti i miei precetti, operando secondo il diritto e la giustizia, vivrà (Ez 18,21); e ancora: Non voglio la morte dell’empio, ma che si converta dalla sua via e viva (Ez 33,11). Le quali parole devono evidentemente riferirsi alla vita eterna e beata.

Molti cristiani amano giocare con il fuoco. Sono maestri nell’arte del rimandare, oggi non posso, domani... oggi ho tante cose da fare è meglio domani... altri, più che mai incoscienti, decidono di regolare i conti sul letto di morte. Non possiamo approfittare della pazienza di Dio (2Pt 3,8-10). E, tanto meno, non possiamo essere così sciocchi da dire ho peccato, e che cosa mi è successo? (Sir 5,1ss). Eppure, l’esperienza dovrebbe suggerirci che ad ogni passo la morte si avvicina: “Noi compatiamo coloro che muoiono all’improvviso, senza trovarsi preparati di fronte alla morte. Tuttavia, perché noi stessi non ci preoccupiamo di stare pronti dal momento che anche noi può succedere la stessa cosa? ma presto o tardi, con qualche preavviso o improvvisamente, che ci pensiamo o no, dovremo morire. Ad ogni ora, ad ogni momento ci avviciniamo a quella che sarà la nostra forca, cioè appunto l’ultima malattia che ci costringerà ad abbandonare il mondo” (Sant’Alfonso Maria de’ Liguori, Apparecchio alla morte, Riflessione IV, Punto II). Attento, dunque, chiunque tu sia, a non giocare con il fuoco, alla fine ti potresti trovare ad essere salato con il fuoco (Mc 9,49).

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** E tu, Cafàrnao, sarai forse innalzata fino al cielo? Fino agli inferi precipiterai! (Vangelo)
Questa parola cosa ti suggerisce?
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Signore, che ci hai nutriti alla tua mensa,
fa’ che per la comunione a questi santi misteri
si affermi sempre più nella nostra vita
l’opera della redenzione.
Per Cristo nostro Signore.