14 Luglio 2019
XV Domenica T. O.
Dt 30,10-14; Sal 18 (19); Col 1,15-20; Lc 10,25-37
Colletta: Padre misericordioso, che nel comandamento dell’amore hai posto il compendio e l’anima di tutta la legge, donaci un cuore attento e generoso verso le sofferenze e le miserie dei fratelli, per essere simili a Cristo, buon samaritano del mondo. Egli è Dio, e vive e regna con te...
Prima Lettura: Mosè, alla vigilia di entrare nella terra promessa, rivolge tre discorsi a Israele. Come condizione per possedere e godere la terra promessa raccomanda l’osservanza della legge di Dio, proponendo per la seconda volta il decalogo e il codice. La Legge è la base irrinunciabile di ogni convivenza civile, di ogni moralità. Per il credente questo assunto si fa più forte perché per lui la fonte della Legge è Dio.
Salmo Responsoriale: «Beata l’anima che giorno e notte non si lascia prendere da altra preoccupazione che quella di sapere come rendere conto senza angoscia della propria vita in quel grande giorno, in cui tutte le creature si presenteranno al giudice per rendere conto delle loro azioni. Chi, infatti, ha sempre davanti agli occhi quel giorno e quell’ora, chi sempre pensa alla propria difesa davanti a quell’incorruttibile tribunale, costui o non peccherà mai, o peccherà solo lievemente, poiché, se a noi capita di peccare, è a causa della mancanza di timore di Dio. A coloro per i quali l’aspettativa delle minacce è efficiente, il timore di cui sono penetrati non permette loro in nessun momento di cadere in azioni o pensieri non voluti. Ricordati dunque sempre di Dio, serba nel tuo cuore il suo timore, e invita tutti perché si uniscano alla tua preghiera» (Basilio il Grande).
Seconda Lettura: La comunità cristiana di Colossi è scossa da una dottrina d’origine ebraica e pagana. Contro aberranti teorie che esaltano il ruolo di misteriose potenze celesti, Paolo propone una riflessione approfondita sulla persona e sul ruolo di Cristo, «capo» della Chiesa e dell’intero creato. L’inno cristologico è composto da due strofe che celebrano Cristo come il primogenito di tutta la creazione e come il primogenito dei morti: alla «cristologia cosmica della prima strofa corrisponde la soteriologia cosmica della seconda strofa. Creazione e redenzione sono rapportate reciprocamente. Cristo in quanto esaltato nella redenzione cosmica è anche come il detentore di una sovranità cosmica, quella che presiede e orienta tutta la creazione» (Mauro Orsatti).
Vangelo: I personaggi del racconto evangelico appartengono a due mondi contrapposti, «l’un contro l’altro armato» (Alessandro Manzoni): da una parte il Samaritano, lo straniero ed eretico (Cf. Gv 8,48; Lc 9,53), dal quale non si attenderebbe normalmente che odio e dall’altra il sacerdote e il levita, coloro che in Israele sono maggiormente tenuti a osservare la legge della carità. Quest’ultimi sono convinti di amare Dio anche se lasciano morire per strada chi ha avuto la disavventura di incappare nei briganti: non si accorgono che è una pura scempiaggine credere di amare Dio disprezzando il prossimo. La religione che separa totalmente il religioso dal profano, che ha cura del rito senza integrarlo con la morale, che non assomma il culto con la carità, è praticamente una religione atea con pericolosi propensioni al fanatismo e all’idolatria.
Dal Vangelo secondo Luca 10,25-37: In quel tempo, un dottore della Legge si alzò per mettere alla prova Gesù e chiese: «Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?». Gesù gli disse: «Che cosa sta scritto nella Legge? Come leggi?». Costui rispose: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso». Gli disse: «Hai risposto bene; fa’ questo e vivrai».
Ma quello, volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è mio prossimo?». Gesù riprese: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e cadde nelle mani dei briganti, che gli portarono via tutto, lo percossero a sangue e se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e, quando lo vide, passò oltre. Anche un levita, giunto in quel luogo, vide e passò oltre. Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui. Il giorno seguente, tirò fuori due denari e li diede all’albergatore, dicendo: “Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno”. Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?». Quello rispose: «Chi ha avuto compassione di lui». Gesù gli disse:«Va’ e anche tu fa’ così».
Un uomo scendeva... - Solo Luca parla di questo episodio. Il «dottore della Legge» che si «alza» per mettere alla prova Gesù è un esperto della Legge e trascinare intenzionalmente il giovane maestro di Nazaret in questioni riguardanti la Legge era come spingerlo sulle sabbie mobili. La domanda posta a Gesù, - che devo fare per ereditare la vita eterna? -, era di vitale importanza per ogni ebreo e la preoccupazione del dottore della Legge non è sul piano teorico, ma pratico (Cf. Lc 18,18). Non era facile districarsi in una selva di precetti e trovarvi la via che conduceva alla vita eterna. Basti pensare che il numero dei precetti della Torà era ben 613, di cui 248 precetti positivi e 365 precetti negativi. Alla domanda del leguleio, Gesù risponde a sua volta con una domanda in modo che sia lo stesso interlocutore a dare la risposta. Quando il dottore della Legge cita la sacra Scrittura, e precisamente: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza... » (Dt 6,5) e la legge parallela «amerai il tuo prossimo come te stesso» (Lev 19,18), Gesù gli dice che ha risposto correttamente e lo invita a comportarsi di conseguenza.
Il monito fa’ questo (tu fa’ così) è ripetuto anche alla fine della parabola per sottolineare l’importanza della pratica di vita di cui certamente difettava il borioso dottore della Legge, il quale volendosi giustificare chiede a Gesù: «E chi è mio prossimo?».
La risposta per l’interlocutore era in verità già scontata. In linea di massima, il prossimo, per un Giudeo, era il connazionale o lo straniero che dimorava in Israele (Cf. Lev 19,33-34). Più tardi saranno considerati prossimo i pagani convertiti. Da questa lista certamente erano esclusi i nemici e sopra tutto i Samaritani. Secondo Rinaldo Fabris, al tempo di Gesù erano state aggiunte altre restrizioni, «per cui praticamente il prossimo era il membro della setta o del gruppo religioso [farisei, esseni, zeloti, ecc.]. È su questo sfondo che deve essere trascritto il racconto magistrale di Gesù».
Gesù, a questo punto, perché sia più chiara la sua esortazione, narra la parabola dell’uomo incappato nei briganti. Di proposito gli attori del racconto sono un sacerdote, un levita e un Samaritano. I primi due, consci di essere gli «eletti» rappresentanti religiosi dell’ebraismo, appartengono al popolo d’Israele; il Samaritano invece a un popolo considerato dai Giudei eretico, pagano. Un’antica ferita che si perdeva nella notte dei tempi quando Sargon re degli Assiri, nel 721 a.C., aveva conquistato il regno del Nord deportando i suoi abitanti e al loro posto erano state trasferite genti di altre nazioni (Cf. 2Re 17) che si erano amalgamate con i pochi rimasti in patria. Anche in campo religioso si era creato un sincretismo che aveva spinto i Giudei scampati all’esilio, e che erano ritornati nella loro terra, a considerare i Samaritani come popolo misto.
Gesù nel raccontare la parabola, di proposito, opera uno spostamento di accento, dall’oggetto al soggetto. Mentre il dottore della Legge aveva chiesto chi doveva essere oggetto del suo amore, Gesù fa vedere il soggetto, chi è colui che ama veramente; al dottore della Legge che chiedeva chi fosse il prossimo da amare, Gesù gli insegna come lui avrebbe dovuto diventare prossimo. Praticamente, Gesù chiede al dottore della legge di rientrare in se stesso e di verificare in che modo egli si pone nei confronti degli altri, quali relazioni costruisce con gli altri. Al termine della parabola, il saccente custode della Legge scopre il senso dell’insegnamento di Gesù: come il Samaritano deve avere il coraggio di farsi prossimo di chi nell’immediato ha bisogno del suo aiuto senza stare a sofisticare in questioni di lana caprina. Una bella lezione per chi era abituato a «filtrare il moscerino» (Mt 23,24). Non va poi dimenticato il senso cristologico della parabola: il buon Samaritano è Gesù che nell’amare l’umanità rivela e realizza l’infinito amore del Padre per tutti gli uomini. In questa ottica l’amore verso il prossimo, che con la parabola viene comandato a tutti i discepoli, deve essere interpretato come continuazione dell’amore di Gesù, come insegnano le sue stesse parole: «Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri» (Gv 15,34).
Hai risposto bene; fa’ questo e vivrai - Benedetto Prete (I Quattro Vangeli): Hai risposto bene; ad una dichiarazione così esatta ed esauriente non poteva mancare l’approvazione del Maestro; le sue parole tuttavia non sembrano essere contenute entro i limiti di un sincero e cortese compiacimento, ma si aprono ad una prospettiva superiore, poiché lasciano capire all’interlocutore che in lui vi è una maturità religiosa che lo impegna davanti a Dio (cf. Mc., 12,34). Fa questo e vivrai; Gesù riprende gli stessi concetti manifestati dal legista all’inizio del colloquio (cf. vers. 25: «che devo io fare... la vita eterna?»). Nel racconto di Luca questi primi versetti (verss. 25-28) costituiscono una introduzione appropriata alla parabola del buon samaritano che segue subito dopo. Siccome questo episodio introduttivo presenta molte affinità con quello narrato da Matteo, 22,34-40 e da Marco, 12,28-31 (episodio nel quale si parla del primo e più grande comandamento), gli esegeti si domandano se nei passi indicati si tratti dello stesso fatto oppure di due distinti; nel caso che i tre evangelisti riferissero lo stesso episodio, allora Luca avrebbe compiuto nella presente sezione un lavoro redazionale fondendo insieme il breve dialogo del Maestro con il legista e la parabola del buon samaritano. È fuori dubbio che, per quanto concerne il colloquio di Gesù con lo scriba, tra il testo di Luca da una parte e quello di Matteo e Marco dall’altra vi è una identità fondamentale che induce il critico ad ammettere tre racconti paralleli dello stesso evento. Sappiamo inoltre che il terzo evangelista ama raggruppare in un’unica scena più ampia e sviluppata fatti cronologicamente distanziati che presentano delle affinità, come si è notato per le tre visite compiute da Gesù a Nazareth e fuse in un unico racconto da Luca (cf. Lc., 4,16-30).
E chi è mio prossimo?: Giovanni Paolo II (Omelia, 3 ottobre 1989): Per rispondere a tale domanda il Signore usa la parabola del buon samaritano, la quale descrive vividamente come dovremmo trattare ogni persona se desideriamo seguire il comandamento dell’amore. Attraverso questa toccante parabola Cristo ci dice che dobbiamo comportarci come il samaritano. Dobbiamo aprirci agli altri, dobbiamo avvicinarli, occuparci di loro, e aiutare in modo particolare i bisognosi. Il modello che dovremmo seguire per comportarci così è la compassione e la misericordia che noi stessi abbiamo ricevuto da Dio. Perché la parabola del buon samaritano è innanzitutto e soprattutto un messaggio concernente la persona di Gesù Cristo stesso. Cristo, il Figlio di Dio, è il salvatore il quale trova l’umanità moribonda sul margine della strada e si ferma per guarire le nostre ferite. Con la sua morte sulla Croce, ha rivelato “la bontà misericordiosa del nostro Dio” (Lc 1,78), il quale desidera che tutti gli uomini vengano salvati (cfr. 1Tm 2,4). Con la sua Risurrezione ci ha ridato la vita, la salute spirituale. E in cambio ci chiede di amare gli altri come lui ha amato noi.
Gino Rocca (Seguendo Gesù con Luca): È molto chiaro l’insegnamento che Gesù voleva dare attraverso questa parabola stupenda. Voleva dire innanzitutto chi è il nostro prossimo. Mentre per il dottore della legge il prossimo era il connazionale, l’appartenente alla stessa religione, per Gesù è ogni uomo (al di là di tutti gli steccati, le barriere, le divisioni di classe sociale, di livello culturale, di tradizione, di religione) di fronte al quale noi possiamo venirci a trovare e che abbia bisogno di noi. Gesù poi non si limita a dirci chi è il nostro prossimo, ma anche e soprattutto come noi dobbiamo farci prossimi di ogni persona che ci passa accanto e che abbia bisogno di noi. Si tratta, per Gesù, di prendersi cura, cioè di immedesimarsi con le sue necessità, precisamente come ha fatto il samaritano. A volte, invece, può capitare che coloro i quali hanno il compito di occuparsi di noi, della nostra salute, delle nostre esigenze (come può essere un medico, un infermiere, un insegnante, un professionista, ecc.) lo facciano ma in un modo burocratico, senza immedesimarsi col nostro caso, come invece noi ci aspetteremmo. il pericolo contro cui Gesù vuole metterei in guardia è appunto quello di occuparci del nostro prossimo senza quell’interessamento e quel calore umano che il nostro prossimo si attende. «Nell’amore, infatti, quel che vale è amare» C. Lubich, Meditazioni, Città Nuova, Roma).
Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** «Nell’amore, infatti, quel che vale è amare» C. Lubich, Meditazioni, Città Nuova, Roma).
Questa parola cosa ti suggerisce?
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.
Signore, che ci hai nutriti alla tua mensa,
fa’ che per la comunione a questi santi misteri
si affermi sempre più nella nostra vita
l’opera della redenzione.
Per Cristo nostro Signore.
fa’ che per la comunione a questi santi misteri
si affermi sempre più nella nostra vita
l’opera della redenzione.
Per Cristo nostro Signore.