13 Luglio 2019

Sabato XIV Settimana T. O.

Gen 49,29-33; 50,15-26a; Sal 104 (105); Mt 10,24-33


Colletta: O Dio, che nell’umiliazione del tuo Figlio hai risollevato l’umanità dalla sua caduta, donaci una rinnovata gioia pasquale, perché, liberi dall’oppressione della colpa, partecipiamo alla felicità eterna. Per il nostro Signore Gesù Cristo…
 
I discepoli sono in difficoltà, la Parola sembra che abbia perduto la sua efficacia, la Chiesa stessa è perseguitata; sembra che tutto stia per risolversi in un sonoro fallimento... eppure Gesù infonde coraggio e dà ai suoi una speranza: Lui sarà sempre con la sua Chiesa e nessuno potrà distruggere quanto Dio stesso ha edificato. Per questa presenza divina i cristiani potranno e dovranno proclamare tutto senza alcun timore, se è necessario affrontando anche il martirio. Questa presenza divina, inoltre, svela ai credenti il vero volto di Dio: il «Dio vicino, previdente e provvidente, che mai fa mancare la sua assistenza; il Dio amico, che infonde coraggio e sostiene nelle avversità: il Dio ch’è sempre accanto all’uomo per difenderlo» (Mons. Marcello Semeraro).

Vangelo - Dal Vangelo secondo Matteo 10,24-33: In quel tempo, disse Gesù ai suoi apostoli: «Un discepolo non è più grande del maestro, né un servo è più grande del suo signore; è sufficiente per il discepolo diventare come il suo maestro e per il servo come il suo signore. Se hanno chiamato Beelzebùl il padrone di casa, quanto più quelli della sua famiglia! Non abbiate dunque paura di loro, poiché nulla vi è di nascosto che non sarà svelato né di segreto che non sarà conosciuto. Quello che io vi dico nelle tenebre voi ditelo nella luce, e quello che ascoltate all’orecchio voi annunciatelo dalle terrazze. E non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima; abbiate paura piuttosto di colui che ha il potere di far perire nella Geènna e l’anima e il corpo. Due passeri non si vendono forse per un soldo? Eppure nemmeno uno di essi cadrà a terra senza il volere del Padre vostro. Perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati. Non abbiate dunque paura: voi valete più di molti passeri! Perciò chiunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anch’io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli; chi invece mi rinnegherà davanti agli uomini, anch’io lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei cieli».

Se hanno chiamato Beelzebùl il padrone di casa - Angelo Lancellotti (Matteo): l’hanno chiamato Beelzebul: tale accusa, accennata in 9,34, sarà riferita in 12,24. «Beelzebul» ricorre nell’ Antico Testamento sotto la forma (forse appositamente deturpata) di «Beelzebub», che vuol dire «Signore delle mosche»; figura come divinità tutelare della città filistea di Eqron (cf 2Re 1,2).
Beelzebul, secondo l’etimologia fenicia vuol dire: Baal-Principe; oppure, secondo l’etimologia ebraica: Signore della dimora eccelsa. E in ogni modo una divinità fenicio­cananea che nei circoli giudaici passò a rappresentare, il «principe dei demoni» (cf 9,34).

Non abbiate paura degli uomini -  Questo invito, che si ripete per ben tre volte, è il tema ricorrente del brano evangelico. Serve da filo conduttore e ad amalgamare gli elementi, di origine diversa, presenti nel Vangelo.
Il primo invito a non temere è legato alla sorte del Vangelo. La vittoria del Vangelo è sicura; nessuna opposizione umana potrà ridurlo al silenzio. Da qui la franchezza dell’annuncio. Il Vangelo è il dono gratuito di Dio a tutti gli uomini, ma la sua propagazione è pure il risultato dell’apporto umano: la sua diffusione è innanzi tutto opera di Dio, ma anche impegno attivo dei discepoli.
Il secondo invito è rivolto a non temere le angherie e le persecuzioni degli uomini e a porre la propria fiducia nel Padre celeste. Gli uomini arroganti, gli aguzzini possono uccidere il corpo, ma non hanno il potere di uccidere l’anima. Solo Dio può decidere la sorte ultima dell’anima. L’esortazione è quindi indirizzata a non temere i carnefici e i tormenti che possono essere inflitti: «Fuoco e croce, branchi di bestie feroci, lacerazioni, squartamenti, slogature delle ossa, taglio delle membra, stritolamento di tutto il corpo, i più crudeli tormenti del diavolo» (Sant’Ignazio d’Antiochia).
In questa lotta a sostenere i servi della Parola (Lc 1,1) sarà la memoria della vita, morte e risurrezione del loro Maestro: «Un servo non è più grande del suo padrone. Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi» (Gv 15,20).
Anche nelle torture fisiche i discepoli saranno assistiti dal Padre che li solleverà dalla prova e li renderà vittoriosi, e nulla permetterà se non per un solo disegno di salvezza. Da qui la conclusione, introdotta da un dunque, che sposta l’azione in un duplice scenario giudiziario: uno dinanzi agli uomini e l’altro dinanzi a Dio. Nell’uno e nell’altro caso l’alternativa è fra riconoscere e rinnegare.
Soltanto chi riconoscerà il Cristo dinanzi agli uomini, sarà riconosciuto dal Redentore dinanzi al Padre: una verità molto elementare, ma che vuol sottolineare con forza che la salvezza passa sì attraverso le opere, l’impegno concreto per il Regno, ma soprattutto passa attraverso il martirio: la confessione del nome di Gesù dinanzi agli uomini

Geenna - Valle di Ben-Hinnon, presso Gerusalemme, dove Salomone, re d’Israele, costruì un’altura, o luogo di adorazione, in onore di Camos, dio nazionale dei moabiti (Num 21,29; Ger 48,46) e di Molek, o Moloch, dio nazionale degli ammoniti (Ger 49,1-3; 2Sam 12,30, LXX; 1Re 11,7). L’origine della parola Molek è fenicia. Molti testi dell’Antico Testamento parlano di sacrifici offerti al dio Molek. I sacrifici consistevano nell’offrire alla divinità dei bambini «che si facevano passare attraverso il fuoco»: una metafora per dire che le piccole vittime umane venivano lasciate bruciare nel fuoco sull’altare del dio Moloch. Il luogo dove si sacrificavano i bambini era chiamato Tofet (Lev 18,21), il cui significato è probabilmente «bruciatoio».
Nonostante che questi sacrifici di fanciulli  fossero condannati dalla legge (Lev 20,2-5; Dt 12,31; 18,10), gli stessi re Acaz (736-721 a.C.) e Manasse (693-639 a.C.) sacrificarono i loro figli al dio Moloch (2Re 16,3; 21,6; 2Cr 28,3; Ger 7,31).
A motivo di questi culti idolatrici, il profeta Geremia maledisse il luogo e predisse che sarebbe stato luogo di morte e di corruzione: «Verranno giorni nei quali non si chiamerà più Tofet né valle di Ben-Hinnòn, ma valle della Strage. Allora si seppellirà in Tofet, perché non ci sarà altro luogo» (Ger 7,32; 19,6ss). In effetti, il pio re riformatore Giosia (640-609 a.C.) fece di quella valle un luogo impuro, dove venivano gettati i cadaveri dei giustiziati (2Re 23,10; cfr). Isaia riferendosi a questa valle, anche se non la nomina, ne parla come luogo nel quale giaceranno i cadaveri dei ribelli a Iahvé: «Uscendo [dal tempio] vedranno i cadaveri degli uomini che si sono ribellati contro di me; poiché il loro verme non morirà, il loro fuoco non si spegnerà e saranno un abominio per tutti» (Is 66,24).
Questo passo è importante per capire le origini del concetto di Geenna come luogo di castigo dopo la morte, concetto presente sopra tutto negli scritti giudaici extra-biblici. Ai tempi di Gesù la Geenna è già un immondezzaio dove ardono perennemente le fiamme così che essa diventa l’immagine di un luogo di fuoco inestinguibile (Mt 5,22; 18,9; Mc 8,43; 9,43; Gc 3,6). È il luogo preparato per il demonio e i suoi angeli e dove saranno torturati con zolfo e fuoco gli adoratori della bestia (Mt 25,41; Ap 14,10); è il luogo dove precipiteranno i malvagi, anima e corpo (Mt 10,28). La Geenna, lo stagno di fuoco ardente di zolfo (Ap 19,20), è il luogo dove saranno gettati la morte e gli inferi (Ap 20,14). Lo stagno di fuoco è la seconda morte: per «gli omicidi, gli immorali, i fattucchieri, gli idolàtri e per tutti i mentitori è riservato lo stagno ardente di fuoco e di zolfo. È questa la seconda morte» (Ap 21,8). La Geenna «è anche implicita nei passi nei quali non si fa menzione del fuoco, ma che descrivono il luogo di pena come una prigione e una stanza di tortura [Mt 5,29-30], un luogo di miseria, “di pianto e stridore di denti” [Mt 8,12; 13,42.50; 22,14; 24,51; 25,30], oppure come una tomba in cui il processo di corruzione non finisce mai, “dove il verme non muore” [Mc 9,48, cf. Isaia 66,24), ovvero come un luogo di tenebre [Mt 8,12; 22,13; 25,30]» (John L. McKenzie). Così, nel Nuovo Testamento, Geenna divenne sinonimo di dannazione e inferno.

Via la paura - Basilio Caballero (La Parola per Ogni Giorno): Il discepolo non deve temere la contraddizione, l’isolamento, il ridicolo, la persecuzione e neppure la morte. Per questi tre motivi dati da Gesù:
a) La forza del vangelo è incontenibile e traspare anche nelle peggiori circostanze: «Non v’è nulla di nascosto che non debba essere velato, e di segreto che non debba essere manifestato. Quello che vi dico nelle tenebre ditelo nella luce, e quello che ascoltate all’orecchio predicatelo sui tetti ». Motivo che si riallaccia al mandato missionario di Cristo risorto: «Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura» (Mc 16,15).
b) La persona è inviolabile al suo livello più profondo: «Non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima». I tiranni schiacciano la libertà d’espressione e d’azione, e anche la vita fisica; ma non possono distruggere la persona e la sua libertà interiore. L’unica «paura» salutare è il timor di Dio, che non è terrore davanti a un inquisitore, ma rispetto per un padre, come indica Gesù in seguito.
c) La provvidenza di Dio si manifesta nella sua attenzione per tutti gli esseri che ha creato, anche i più insignificanti. Quanto più avrà cura degli uomini, suoi figli! «Due passeri non si vendono forse per un soldo? Eppure neanche uno di essi cadrà a terra senza chi il Padre vostro lo voglia... non abbiate dunque timore: voi valete più di molti passeri!». Essere amati di Dio suscita letizia e spinge a ricambiare l’amore; e questo scaccia il timore e crea la libertà e la gioia dei figli di Dio.

Perciò chiunque mi riconoscerà davanti agli uomini... - Benedetto Prete (I Quattro Vangeli):  Chiunque si dichiarerà per me; il verbo ὁμολογεῖν ha un senso non ben definito. Tenendo presente che Gesù prima ha accennato alla «testimonianza» (μαρτύριον: 10, 18) da dare ai giudici ed ai pagani, e che nel versetto parallelo egli parla di negare nel senso di «non conoscere» (vers. 33), si può rendere il verboὁμολογεῖν con: «dichiararsi». Considerando l’etimologia greca si può anche tradurre: chi converrà con me..., cioè: chi mi sarà fedele.
Davanti al Padre mio che è nel cielo; cioè nell’ultimo giudizio, quando il Figlio consegnerà gli eletti al proprio Padre; cf. Mt., 25,34.
La breve dichiarazione contiene un rilievo di notevole importanza; la base del giudizio è la testimonianza a Cristo o il rinnegamento di Cristo.

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
***  La base del giudizio di Dio è la testimonianza a Cristo o il rinnegamento di Cristo.
Questa parola cosa ti suggerisce?
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

O Dio, che in questo sacramento
ci hai dato il pegno della vita eterna,
fa’ che, secondo lo spirito di san Benedetto,
celebriamo fedelmente la tua lode
e amiamo i fratelli con carità sincera.
Per Cristo nostro Signore.