9 Maggio 2019

 Giovedì della III Settimana di Pasqua


Oggi Gesù ci dice: “Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno.” (Gv 6,51).

Vangelo - Dal Vangelo secondo Giovanni 6,44-51: I Giudei sono ciechi, malintenzionati, e sordi ad ogni appello divino. Gesù dinanzi a tanta cecità e incapacità investigativa non disarma, ma cerca di dare una mano ai Giudei perché comprendano e così trasporta i contestatori sul piano della fede. Altresì non teme di manifestarsi ancora una volta come il “pane vivo disceso dal cielo”: “Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo”. Ma tutto è inutile, quest’ultima affermazione inasprirà ulteriormente i Giudei, tanto che molti decideranno di non andare più con Gesù.
Se uno non mangia: il verbo mangiare usato da Gesù, Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno, allude all’eucarestia, ma può essere inteso anche in chiave sapienziale, pane, come cibo spirituale. Colui che va da Gesù si nutre di questo pane e mediante questo cibo spirituale acquisisce la pienezza di vita di Gesù che garantisce e anticipa il dono e il possesso della vita eterna.

Ecco, qui c'è dell'acqua; che cosa impedisce che io sia battezzato? (I Lettura) - Morti e risorti con Cristo - Catechismo degli Adulti  671: Il significato del battesimo va ben oltre il simbolismo naturale del lavare con acqua, che indica una purificazione; lo si può cogliere solo alla luce della storia della salvezza [...].
672 Uniti e configurati a Cristo, formiamo la Chiesa suo mistico corpo: un solo battesimo, un solo Dio Padre, un solo Signore Gesù Cristo, un solo corpo ecclesiale, animato da un solo Spirito Santo. Consacrati con il carattere battesimale, siamo resi partecipi della missione profetica, regale e sacerdotale del Messia, così che ognuno di noi può dire con lui: «Lo Spirito del Signore è sopra di me... mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio... per rimettere in libertà gli oppressi» (Lc 4,18). Siamo abilitati a professare la fede con le parole e le opere, a ordinare secondo giustizia e carità le relazioni con gli altri, a offrire in unione al sacrificio eucaristico il lavoro, la sofferenza, l’esistenza intera.
Nuova nascita - 673 L’inserimento in Cristo e nella Chiesa, attuato dallo Spirito Santo, implica un profondo rinnovamento interiore, che è liberazione dal peccato originale e da tutti i peccati personali eventualmente commessi e soprattutto dono della grazia santificante, in virtù della quale partecipiamo addirittura alla vita divina della Trinità fin da adesso, siamo «chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente» (1Gv 3,1), diventiamo eredi dei beni eterni, dal momento che, «se siamo figli, siamo anche eredi» (Rm 8,17). Il battesimo «non è un semplice suggello alla conversione, quasi un segno esteriore che la dimostri e l’attesti», ma comporta una nuova nascita e nuovi legami con le persone divine. Fa sì che il battezzato sia una nuova creatura e abbia nuove possibilità. Non per niente nella Chiesa delle origini i cristiani si considerano «santi» (2Cor 1,1), cioè appartenenti a Dio, e sono consapevoli di dover vivere «come si addice a santi» (Ef 5,3) e di doversi rivestire come «amati di Dio, santi e diletti, di sentimenti di misericordia, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di pazienza» (Col 3,12).

L’eunùco pieno di gioia, proseguiva la sua strada - Evangelii gaudium 5: Il Vangelo, dove risplende gloriosa la Croce di Cristo, invita con insistenza alla gioia. Bastano alcuni esempi: «Rallegrati» è il saluto dell’angelo a Maria (Lc 1,28). La visita di Maria a Elisabetta fa sì che Giovanni salti di gioia nel grembo di sua madre (cfr Lc 1,41). Nel suo canto Maria proclama: «Il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore» (Lc 1,47). Quando Gesù inizia il suo ministero, Giovanni esclama: «Ora questa mia gioia è piena» (Gv 3,29). Gesù stesso «esultò di gioia nello Spirito Santo» (Lc 10,21). Il suo messaggio è fonte di gioia: «Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena» (Gv 15,11). La nostra gioia cristiana scaturisce dalla fonte del suo cuore traboccante. Egli promette ai discepoli: «Voi sarete nella tristezza, ma la vostra tristezza si cambierà in gioia» (Gv 16,20). E insiste: «Vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno potrà togliervi la vostra gioia» (Gv 16,22). In seguito essi, vedendolo risorto, «gioirono» (Gv 20,20). Il libro degli Atti degli Apostoli narra che nella prima comunità «prendevano cibo con letizia» (2,46). Dove i discepoli passavano «vi fu grande gioia» (8,8), ed essi, in mezzo alla persecuzione, «erano pieni di gioia» (13,52). Un eunuco, appena battezzato, «pieno di gioia seguiva la sua strada» (8,39), e il carceriere «fu pieno di gioia insieme a tutti i suoi per aver creduto in Dio» (16,34). Perché non entrare anche noi in questo fiume di gioia?

«Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno». Cosa vuol dire che il Padre attira? Forse non è libero l’uomo nel suo andare? L’espressione di Gesù va compresa solo alla luce dell’amore e della fede. La fede è un dono di Dio, ma ha come condizione l’apertura da parte dell’uomo, l’ascolto di Dio: l’uomo, pur consapevole della sua debolezza che non gli permette di giungere a Dio con le sue sole forze, desidera e ama Dio; anela, tende a Lui e fiducioso attende quella grazia divina che «previene e soccorre e gli aiuti interiori dello Spirito Santo, il quale muova il cuore e lo rivolga a Dio, apra gli occhi della mente, e dia a tutti dolcezza nel consentire e nel credere alla verità» (DV 5).
Solo chi «ha udito il Padre e ha imparato da lui» si può porre alla sequela del Cristo perché la sequela non è una conquista, ma una grazia.
Avendo cercato di allargare il cuore dei Giudei entro gli ampi spazi della fede, Gesù ritorna sul tema del pane della vita. E mostra ancora una volta se stesso come «il pane vivo, disceso dal cielo».
Solo questo pane preserva l’uomo dalla morte e lo introduce nella vera vita: «Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo». Il termine carne (sàrx) che nella Bibbia indica la realtà fragile della persona umana, ora, riferita al corpo di Cristo, rimanda sia al mistero dell’incarnazione, sia alla Passione e alla morte sacrificale «per la vita del mondo», cioè per tutti: «Gesù è vittima di espiazione per i nostri peccati; non soltanto per i nostri, ma anche per quelli di tutto il mondo» (1Gv 2,1-2). Le espressioni «“per la vita del mondo”, “per voi”, alludono al valore redentivo dell’immolazione di Cristo sulla Croce. Già in alcuni sacrifici dell’Antico Testamento, che erano tipo di quello del Signore, una parte della carne offerta veniva successivamente distribuita come cibo e significava la partecipazione dei presenti al rito sacro [Cf. Es 11,3-4]. Parimenti, quando ci comunichiamo, diveniamo partecipi del sacrificio di Gesù. Perciò durante la liturgia delle Ore nella solennità del Santissimo Corpo e Sangue di Cristo, la Chiesa canta: “Oh sacra mensa in cui Cristo si fa nostro cibo, si celebra il memoriale della sua Passione, l’anima è colmata di grazia e ci vien dato un pegno della futura gloria” [Antifona del Magnificat, ai secondi Vespri ]» (La Bibbia di Navarra).
 Così si entra nel cuore del mistero dell’Eucaristia.
Il pane eucaristico non è un pane metaforico: il pane che viene donato per la vita eterna è veramente il Corpo e il Sangue del Figlio di Dio. La presenza reale di Gesù Cristo nell’Eucaristia sorpassa sia la capacità della nostra intelligenza, sia le nostre conoscenze: che «nell’Eucaristia ci sia il vero corpo e sangue di Cristo non si può percepire per mezzo dei sensi e nemmeno per mezzo dell’intelletto, ma lo si sa per fede, in base all’autorevolissima testimonianza di Dio [....]. Dire che Cristo nell’Eucaristia non c’è veramente, ma c’è per esempio solo in figura o in simbolo, è eresia» (San Tommaso, S. Th., q. 75).

Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato - Libertà dell’atto di fede Dignitatis humanae 10Un elemento fondamentale della dottrina cattolica, contenuto nella parola di Dio e costantemente predicato dai Padri, è che gli esseri umani sono tenuti a rispondere a Dio credendo volontariamente; nessuno, quindi, può essere costretto ad abbracciare la fede contro la sua volontà. Infatti, l'atto di fede è per sua stessa natura un atto volontario, giacché gli essere umani, redenti da Cristo Salvatore e chiamati in Cristo Gesù ad essere figli adottivi, non possono aderire a Dio che ad essi si rivela, se il Padre non li trae e se non prestano a Dio un ossequio di fede ragionevole e libero. È quindi pienamente rispondente alla natura della fede che in materia religiosa si escluda ogni forma di coercizione da parte degli esseri umani. E perciò un regime di libertà religiosa contribuisce non poco a creare quell'ambiente sociale nel quale gli esseri umani possono essere invitati senza alcuna difficoltà alla fede cristiana, e possono abbracciarla liberamente e professarla con vigore in tutte le manifestazioni della vita.

Comunione con Cristo e con il Padre: Richard Gutzwiller (Meditazioni su Giovanni): Tutti i sacramenti della Chiesa hanno una relazione con la nuova vita donata da Dio. Il Battesimo la conferisce, la Cresima la stabilizza, la Penitenza la restituisce a chi l’ha perduta, l’Ordinazione sacerdotale dà la capacità di donarla agli altri, il Matrimonio congiunge due vite, naturali e soprannaturali, per la generazione naturale e soprannaturale, l’Unzione degli infermi rafforza la vita naturale ed assicura l’eterna. Al vertice sta l’autentico Sacramento di vita, il cibo vivificante della carne di Cristo, la bevanda vivificante del sangue di Cristo. «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue, dimora in me ed io in lui». Nella santa Comunione l’uomo si unisce a Cristo e Cristo si unisce a chi si nutre di lui. È questo un processo di assimilazione, che indicato simbolicamente dal mangiare e dal bere, sarà consumato nella realtà invisibile di un’unione soprannaturale. La corrente di vita ha la sua scaturigine nel Padre: «Come il Padre che vive ha mandato me, ed io vivo per il Padre, così chi mangia me, vivrà anch’egli per me». La generazione del Figlio dal Padre è comunicazione di vita. Ricevere il Figlio, mangiando la sua carne ed il suo sangue, significa partecipare a questa comunicazione di vita. Così si completa l’unità vitale: dal Padre attraverso Cristo si passa all’uomo, dall’uomo attraverso Cristo si torna al Padre. Quel pane non ha solo un’efficacia transitoria come la manna, ma chi ne mangia vivrà in eterno. «Non come la manna che mangiarono i vostri padri e morirono». La vera manna è Cristo: chi ne mangia non muore più, perché - anche se muore nel suo elemento esterno, corporalmente - ha pur sempre in sé una vita, che non può esser distrutta dalla morte e per di più sarà risuscitato anche nel suo elemento esterno corporalmente, nell’ultimo giorno.

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
**** “Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo”.
Questa parola cosa ti suggerisce?
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Preghiamo con la Chiesa: O Dio, che in questi giorni pasquali ci hai rivelato la grandezza del tuo amore, fa’ che accogliamo pienamente il tuo dono, perché, liberi da ogni errore, aderiamo sempre più alla tua parola di verità. Per il nostro Signore Gesù Cristo...