10 Maggio 2019

 Venerdì della III Settimana di Pasqua


Oggi Gesù ci dice:  “Chi  mangia la mia carne e beve il mio sangue, rimane in me e io in lui”. (Gv 6,56).

Vangelo - Dal Vangelo secondo Giovanni 6,52-59: Gesù è il pane disceso dal cielo, di cui la manna era una pallida idea. Gli ebrei nel deserto avevano mangiato la manna ed erano morti, chi mangia la carne del Figlio dell’uomo e beve il suo sangue avrà la vita eterna. È una chiara allusione al significato redentore e sacrificale dell’Eucarestia.

… se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna - Evangelium vitae 37: La vita che il Figlio di Dio è venuto a donare agli uomini non si riduce alla sola esistenza nel tempo. La vita, che da sempre è «in lui» e costituisce «la luce degli uomini» (Gv 1,4), consiste nell’essere generati da Dio e nel partecipare alla pienezza del suo amore: «A quanti l’hanno accolto, ha dato il potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, i quali non da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati» (Gv 1,12-13).
A volte Gesù chiama questa vita, che egli è venuto a donare, semplicemente così: «la vita»; e presenta la generazione da Dio come una condizione necessaria per poter raggiungere il fine per cui Dio ha creato l’uomo: «Se uno non rinasce dall’alto, non può vedere il regno di Dio» (Gv 3,3). Il dono di questa vita costituisce l’oggetto proprio della missione di Gesù: egli «è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo» (Gv 6,33), così che può affermare con piena verità: «Chi segue me... avrà la luce della vita» (Gv 8,12).
Altre volte Gesù parla di «vita eterna», dove l’aggettivo non richiama soltanto una prospettiva sovratemporale. «Eterna» è la vita che Gesù promette e dona, perché è pienezza di partecipazione alla vita dell’ «Eterno». Chiunque crede in Gesù ed entra in comunione con lui ha la vita eterna (cf. Gv 3,15; 6,40), perché da lui ascolta le uniche parole che rivelano e infondono pienezza di vita alla sua esistenza; sono le «parole di vita eterna» che Pietro riconosce nella sua confessione di fede: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna; noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio» (Gv 6,68-69). In che cosa consista poi la vita eterna, lo dichiara Gesù stesso rivolgendosi al Padre nella grande preghiera sacerdotale: «Questa è la vita eterna: che conoscano te, l’unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo» (Gv 17,3). Conoscere Dio e il suo Figlio è accogliere il mistero della comunione d’amore del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo nella propria vita, che si apre già fin d’ora alla vita eterna nella partecipazione alla vita divina.

Gesù Cristo: Io Sono la vita - A. Viard e J. Guillet: Con la venuta del Salvatore, le promesse diventano realtà. 1. Gesù annunzia la vita. - Per Gesù, la vita è una cosa preziosa, «più del Cibo» (Mt 6,25); «salvare una vita» è più importante anche del sabato (Mc 3,4 par.), perché «Dio non è un Dio di morti, ma di viventi» (Mc 12,27 par.). Egli stesso guarisce e restituisce la vita, come se non potesse tollerare la presenza della morte: se egli fosse stato presente, Lazzaro non sarebbe morto (Gv 11,15.21). Questo potere di dare la vita è il segno che egli ha potere sul peccato (Mt 9,6) e che apporta la vita che non muore, la «vita eterna» (19,16 par.; 19,29 par.). È la vera vita; si può persino dire, senz’altro, che è «la vita» (7,14; 18,8s par. ...). Per entrarvi e possederla bisogna quindi prendere la via stretta, sacrificare tutte le proprie ricchezze, persino le proprie membra e la vita presente (cfr. Mt 16,25s). 2. In Gesù è la vita. - Verbo eterno, Cristo possedeva da tutta l’eternità la vita (Gv l,4). Incarnato, egli è «il Verbo di vita» (1Gv 1,1); dispone della vita con proprietà assoluta (Gv 5,26) e la dona in sovrabbondanza (10,10) a tutti coloro che il Padre suo gli ha dato (17,2). Egli è «la via, la verità e la vita » (14,6), «la risurrezione e la vita» (11,25). «Luce della vita» (8,12), egli dà un’acqua viva, che, in colui che la riceve, diventa «una fonte che zampilla per la vita eterna» (4,14). «Pane di vita», egli dà a colui che mangia il suo corpo di vivere per mezzo suo, come egli vive per mezzo del Padre (6,27-58). Ciò suppone la fede: «chi vive e crede in lui, non morrà» (11,25s), diversamente «non vedrà mai la vita» (3, 36); una fede che riceve le sue parole e le mette in pratica, com’egli stesso obbedisce al Padre suo, perché «il suo comando è vita eterna » (12,47-50).

Chi mangia di me vivrà per me: è il cristiano eucaristizzato, divinizzato; è il discepolo trasformato in Cristo «di gloria in gloria, secondo l’azione dello Spirito del Signore» (2Cor 3,17). Questa intima reale trasformazione - «veniamo trasformati in quella medesima immagine» (2Cor 3,17) - fa inabissare il battezzato nella Vita eterna in quanto lo innesta in Cristo che è la Vita (Gv 14,6). Un’assimilazione e una vera identificazione che ha il suo inizio a partire da questa vita terrena: «Sono stato crocifisso con Cristo e non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me. Questa vita nella carne, io la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me» (Gal 2,20). La constatazione, poi, che gli Ebrei che mangiarono la manna nel deserto e in seguito morirono, prova l’origine non divina di quel cibo. Gesù è il pane disceso dal cielo e quindi divino per cui può veramente comunicare la vita eterna. Il testo è molto intenso in quanto riporta alla memoria del credente le grandi verità del Cristo: la sua divinità, il suo annichilimento nel mistero dell’Incarnazione (Fil 2,5-11), la sua morte, la sua risurrezione e la sua continua presenza di amore nella Chiesa nel mistero dell’Eucaristia.

Questo è il pane disceso dal cielo - Ecclesia de Eucharistia 14: La Pasqua di Cristo comprende, con la passione e la morte, anche la sua risurrezione. È quanto ricorda l’acclamazione del popolo dopo la consacrazione: «Proclamiamo la tua risurrezione». In effetti, il Sacrificio eucaristico rende presente non solo il mistero della passione e della morte del Salvatore, ma anche il mistero della risurrezione, in cui il sacrificio trova il suo coronamento. È in quanto vivente e risorto che Cristo può farsi nell’Eucaristia «pane della vita» (Gv 6,35.48), «pane vivo» (Gv 6,51). Sant’Ambrogio lo ricordava ai neofiti, come applicazione alla loro vita dell’evento della risurrezione: « Se oggi Cristo è tuo, egli risorge per te ogni giorno». San Cirillo di Alessandria a sua volta sottolineava che la partecipazione ai santi Misteri «è una vera confessione e memoria che il Signore è morto ed è tornato alla vita per noi e a nostro favore».
16. L’efficacia salvifica del sacrificio si realizza in pienezza quando ci si comunica ricevendo il corpo e il sangue del Signore. Il Sacrificio eucaristico è di per sé orientato all’unione intima di noi fedeli con Cristo attraverso la comunione: riceviamo Lui stesso che si è offerto per noi, il suo corpo che Egli ha consegnato per noi sulla Croce, il suo sangue che ha «versato per molti, in remissione dei peccati» (Mt 26,28). Ricordiamo le sue parole: «Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia di me vivrà per me» (Gv 6,57). È Gesù stesso a rassicurarci che una tale unione, da Lui asserita in analogia a quella della vita trinitaria, si realizza veramente. L’Eucaristia è vero banchetto, in cui Cristo si offre come nutrimento. Quando, per la prima volta, Gesù annuncia questo cibo, gli ascoltatori rimangono stupiti e disorientati, costringendo il Maestro a sottolineare la verità oggettiva delle sue parole: «In verità, in verità vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita» (Gv 6,53). Non si tratta di un alimento metaforico: «La mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda» (Gv 6,55).  
18. L’acclamazione che il popolo pronuncia dopo la consacrazione opportunamente si conclude manifestando la proiezione escatologica che contrassegna la Celebrazione eucaristica (cfr 1Cor 11,26): «nell’attesa della tua venuta». L’Eucaristia è tensione verso la meta, pregustazione della gioia piena promessa da Cristo (cfr Gv 15,11); in certo senso, essa è anticipazione del Paradiso, «pegno della gloria futura». Tutto, nell’Eucaristia, esprime l’attesa fiduciosa che «si compia la beata speranza e venga il nostro Salvatore Gesù Cristo». Colui che si nutre di Cristo nell’Eucaristia non deve attendere l’aldilà per ricevere la vita eterna: la possiede già sulla terra, come primizia della pienezza futura, che riguarderà l’uomo nella sua totalità. Nell’Eucaristia riceviamo infatti anche la garanzia della risurrezione corporea alla fine del mondo: «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno» (Gv 6,54). Questa garanzia della futura risurrezione proviene dal fatto che la carne del Figlio dell’uomo, data in cibo, è il suo corpo nello stato glorioso di risorto. Con l’Eucaristia si assimila, per così dire, il “segreto” della risurrezione. Perciò giustamente sant’Ignazio d’Antiochia definiva il Pane eucaristico «farmaco di immortalità, antidoto contro la morte».
22. L’incorporazione a Cristo, realizzata attraverso il Battesimo, si rinnova e si consolida continuamente con la partecipazione al Sacrificio eucaristico, soprattutto con la piena partecipazione ad esso che si ha nella comunione sacramentale. Possiamo dire che non soltanto ciascuno di noi riceve Cristo, ma che anche Cristo riceve ciascuno di noi. Egli stringe la sua amicizia con noi: «Voi siete miei amici» (Gv 15,14). Noi, anzi, viviamo grazie a Lui: «Colui che mangia di me vivrà per me» (Gv 6,57). Nella comunione eucaristica si realizza in modo sublime il «dimorare» l’uno nell’altro di Cristo e del discepolo: «Rimanete in me e io in voi» (Gv 15,4).  
Unendosi a Cristo, il Popolo della nuova Alleanza, lungi dal chiudersi in se stesso, diventa “sacramento” per l’umanità, segno e strumento della salvezza operata da Cristo, luce del mondo e sale della terra (cfr Mt 5,13-16) per la redenzione di tutti. La missione della Chiesa è in continuità con quella di Cristo: «Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi» (Gv 20,21). Perciò dalla perpetuazione nell’Eucaristia del sacrificio della Croce e dalla comunione col corpo e con il sangue di Cristo la Chiesa trae la necessaria forza spirituale per compiere la sua missione. Così l’Eucaristia si pone come fonte e insieme come culmine di tutta l’evangelizzazione, poiché il suo fine è la comunione degli uomini con Cristo e in Lui col Padre e con lo Spirito Santo

Come il Padre - Benedetto Prete (I Quattro Vangeli): versetto 57 La proposizione istituisce un parallelo, differentemente articolato nelle sue due parti, tra la vita di Cristo e quella del credente. Come Gesù trova nel Padre la fonte ed il fine della sua vita, così anche il credente trova in Cristo la fonte ed il fine della sua esistenza. Questa duplice considerazione deriva dalla preposizione διά (per), la quale designa il principio efficiente (in forza di...) e il motivo finale (in favore di,..). L’evangelista intende proporre questa ricchezza di senso (io vivo per il Padre; così anche colui che mi mangia vivrà per me); come Gesù vive dal Padre e per il Padre, così il suo discepolo vive da lui e per lui. Il parallelismo non si esaurisce in questo insegnamento; il testo indica che l’Eucaristia comunica ai credenti la vita divina che Gesù riceve dal Padre; il Padre infatti ha dato al Figlio di disporre della vita divina in favore dei credenti (cf. Giov., 5, 26).
versetto 58 Gesù applica all’Eucaristia le espressioni che ricorrono nei verss. 49-50; si ha così unainclusio, cioè si conclude una sezione allo stesso modo con il quale è stata introdotta. Non è come quello che hanno mangiato i padri; questa sembra essere la lezione criticamente più sicura; molti codici offrono una lettura più ampia per desiderio di maggiore chiarezza e di armonizzazione con i testi precedenti (essi aggiungono le parole: manna, vostri, oppure: nostri, nel deserto); la Volgata offre la seguente lettura: non sicut manducaverunt patres vestri manna et mortui sunt.
versetto 59 Insegnando nella sinagoga; espressione che conclude l’intero discorso di Gesù. L’evangelista rileva che il discorso fu tenuto nella sinagoga per sottolinearne l’importanza; le verità rivelate da Cristo furono esposte durante un’istruzione sinagogale. La formula quindi «nella sinagoga» (letteral.: in sinagoga) non ha un senso esclusivamente locale che richiama l’attenzione su una circostanza esterna al discorso, ma riveste un senso più determinato, perché designa una circostanza che qualifica il discorso, perché esso fu tenuto in un’assemblea sinagogale ed ebbe il carattere di insegnamento autorevole e qualificato. Il codice D ed altri codici minuscoli, dopo le parole «a Cafarnao», aggiungono la precisazione «di sabato».

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
**** “Chi  mangia la mia carne e beve il mio sangue, rimane in me e io in lui” (Gv 6,56).
Questa parola cosa ti suggerisce?
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Preghiamo con la Chiesa: Dio onnipotente, che ci hai dato la grazia di conoscere il lieto annunzio della risurrezione, fa’ che rinasciamo a vita nuova per la forza del tuo Spirito di amore. Per il nostro Signore Gesù Cristo...