6 Maggio 2019

Lunedì della III Settimana di Pasqua


Oggi Gesù ci dice: “Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio.” (Mt 4,4b).

Vangelo - Dal Vangelo secondo Giovanni 6,22-29: Alla folla, affamata di pane e di «segni» analoghi a quello della manna (6,30-31), Gesù ha manifestato il suo potere divino con la moltiplicazione dei pani (6,1-15), ai discepoli camminando sul mare (6,16-21), ora, con il discorso del pane della vita, rivela la sua identità (6,22-59). Gesù, invitando i giudei a darsi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna, li esorta a darsi da fare a credere in Lui, pane vero disceso del cielo. Come la Sapienza invita gli uomini a mangiare il suo pane e a bere il suo vino (Cf. Pr 9,1-6; Sir 24,19-22), così Gesù invita a mangiare la sua carne, il pane vero che dà la vita al mondo e a bere il suo sangue, «versato per tutti gli uomini, in remissione dei peccati» (Mt 26,28). Gesù, Sapienza increata, invita la folla a porsi alla sua sequela: Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai! Solo Gesù può dare un cibo e una bevanda veramente capaci di donare la vita eterna, in quanto superano la fragilità temporale e creaturale.

Richard Gutzwiller (Meditazioni su Giovanni): La rivelazione che il Signore fa di se stesso in questo discorso è particolarmente misteriosa: è questa la ragione per cui esordisce ponendo ai suoi ascoltatori una chiara e precisa richiesta di fede.
I Giudei non devono rimanere attaccati al transeunte, preoccupandosi di quel che perisce, ma devono sollevarsi verso le cose imperiture e procurarsi quel cibo perenne, che dà loro il Figlio di Dio, che il Padre ha contrassegna­to con il proprio sigillo. È questa una verità che essi potranno comprendere solo se tradurranno in pratica la fede in lui. Tutte le altre opere sono insignificanti se non sono sostenute dall’opera della fede; e non solo della fede in Dio, ma anche in colui che Dio ha mandato, Gesù Cristo. Lui, proprio lui, che sta dinanzi a loro come un figlio dell’uomo è in realtà il Figlio di Dio. Solo quelli che credono possono comprendere questa verità, poiché egli la comunica loro in un modo che è un mistero di fede nel vero senso della parola: « Mysterium fidei ».
La vista umana non sale più in su delle cose terrene, si arresta alle realtà concrete e tangibili. Solo la fede si innalza in una sfera superiore. La vista umana si ferma alla superficie, mentre la fede penetra oltre l’aspetto visibile nell’intima natura delle cose, passando dall’umano al divino, dal figlio dell’uomo al Figlio di Dio, dal cibo deperibile a colui, che è il cibo eterno. Solo chi crede intende il vero significato di queste parole, cariche di mistero.
Gesù ci svela l’esistenza di una terra misteriosa, nella quale si entra attraverso il portale della fede. Questo è il presupposto indispensabile, l’esigenza insopprimibile.

Rabbì, quando sei venuto qua? - Mario Galizzi (Vangelo secondo Giovanni): La prima domanda: «Rabbi, quando sei venuto qui?», si aggancia alla constatazione che Gesù non era partito con i suoi discepoli (6,22) e implicitamente dice perché si sono messi alla ricerca di Gesù, una ricerca che ora Gesù vuole vagliare.
L’espressione: In verità, in verità vi dico..., è già un indizio che la cosa è importante. Per Gesù, infatti, si tratta di aiutare la gente a superare la banalità della vita quotidiana per ricercare sempre quel che è essenziale e porta più in alto. La sua parola è qui fondata su due antitesi: non per... ma per... (6,26.27). La prima suona come rimprovero e, dopo quanto abbiamo letto nei capitoli precedenti, stupisce: «Voi mi cercate non perché avete visto segni miracolosi, ma perché avete mangiato e vi siete saziati» (6,26). Gesù vuole forse essere cercato per i «segni», per i miracoli che compie? finora non ha forse diffidato di coloro che credevano in lui per i «segni prodigiosi» che faceva? (2,23-24; 4,45.48). Sì, e continua a farlo.
La gente aveva visto il segno miracoloso del pane (6,14) e lo riconobbe come il profeta, inviato da Dio, e voleva farlo re. Anche Nicodemo, fondato sui segni prodigiosi, riconobbe Gesù come l’inviato di Dio (3,2). Ma sia Nicodemo, sia ora la folla, non vogliono procedere oltre, non vogliono vagliare fin dove porta il segno. Un Messia che risolve la materialità della vita è per loro più che sufficiente. Il Signore serve se risolve i miei problemi di quaggiù. Ma per Gesù non è sufficiente, ed eccolo che, con un’antitesi tra due cibi pro­spetta loro qualcosa di ben più valido: «Datevi da fare (letteralmente: «operate, lavorate») non per il cibo che perisce, ma per il cibo che rimane per la vita eterna, quello che il Figlio dell’uomo vi darà» (6,27).
Gesù ha messo a confronto due cibi: uno che perisce, uno che è sorgente di vita eterna. E la gente, sentendo che bisogna «darsi da fare» per ottenerlo, subito pensa alle molte opere che la Legge prescriveva per avere la vita (Dt 30,15-16). La domanda che fanno a Gesù sembra ovvia: «Che cosa dobbiamo fare per compiere le opere che Dio esige da noi?» (6,28). Com’è difficile buttare giù una mentalità legalista, una concezione della vita che impedisce all’uomo di aprirsi al «dono»! Ebbene, Gesù tenta di farlo e indica la condizione per entrare nel definitivo disegno salvifico di Dio. L’opera che Dio, oggi, esige è una sola: credere in colui che egli ha mandato (6,29). La gente capisce che Gesù sta parlando di sé e che non è possibile compiere l’opera di Dio e avere il nutrimento di vita eterna senza una totale adesione a lui per qualcosa che non può dare ora, ma che darà più tardi, quale Figlio dell’uomo (6,27). Per ora debbono credere che la darà e i segni miracolosi da lui compiuti sono più che sufficienti per dire che Dio Padre ha messo su di lui il suo sigillo (6,27).

Io sono il pane della vita - La folla sazia del pane miracoloso (Cf. Gv 6,1ss), affascinata dalla parola del Maestro (Cf. Lc 19,48), conquistata dalla dolcezza di Gesù (Cf. Mt 11,28-30), si mette alla ricerca del giovane Rabbi. Un entusiasmo non gradito, così invece di accoglienza trova un rimprovero: «Gesù rimprovera al popolo, che lo cerca, la incomprensione del miracolo come segno in cui leggere mediante la fede la rivelazione della sua persona. La loro comprensione è ancora solo naturale, materiale» (Giuseppe Segalla).
Al rimprovero segue una esortazione: Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna. Queste parole allargano gli angusti spazi spirituali del giudaismo: il pane, alimento che perisce, dà soltanto una vita che muore, il pane che il Figlio dell’uomo darà agli uomini spalanca le porte dell’eternità. L’eternità insegnata da Cristo era certamente una categoria religiosa assai lontana dalla teologia dei sadducei e dei farisei, anche se quest’ultimi, a differenza dei primi, credevano nella risurrezione.
Il Figlio dell’uomo darà questo pane perché su di lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo. Forse è un riferimento al Battesimo ricevuto da Giovanni nel fiume Giordano: potrebbe riferirsi alla voce del Padre che rivela al mondo Gesù come Figlio suo prediletto (Cf. Mt 3,17), oppure allo Spirito Santo disceso su di lui appena battezzato (Cf. Mt 3,16;  Rom 4,11), potenza di Dio per effettuare i «segni» (Cf. Mt 12,28; At 10,38; Ef 1,13.30; 2Cor 1,22).
Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio? I giudei ammettono la loro ignoranza: comprendono la necessità di lavorare per avere il pane terreno, comprendono che devono darsi da fare per il cibo che rimane per la vita eterna, ma non conoscono le condizioni che Dio pone per concederlo. Qui gioca molto la loro mentalità legalista, credono che Dio ponga un prezzo ai suoi doni e credono di poterlo pagare osservando qualche regola o precetto. Praticamente, una sorta di baratto, così come erano avvezzi a credere e a insegnare a motivo di una imperfetta educazione religiosa.
La correzione non tarda ad arrivare. L’amore di Dio e i suoi doni sono gratuiti. L’opera che Gesù vuole è unica: credere in lui.

 Angelico Poppi (I Quattro Vangeli): v. 26 «In verità, in verità, vi dico, (voi) mi cercate non perché avete visto dei segni...». Gesù, più che dare una risposta a coloro che lo cercavano (vv. 24-25), li rimprovera per la loro incomprensione. Infatti, essi non avevano colto il vero significato dei «segni» da lui operati, che rappresentavano nella loro globalità la rivelazione dell’amore del Padre in favore dell’umanità. Invece di riconoscere in Gesù il mistero della Sapienza di Dio incarnata, operante nel mondo attraverso la sua azione, avevano intravisto in lui il messia terre­no, che poteva risolvere i loro problemi materiali, guarendo gli infermi, procurando il cibo in modo quasi magico. Il discorso sul pane di vita è agganciato all’intermezzo precedente con il termine sapienziale cercare (zéteìn, vv. 24.26).
v. 27 «Operate per il cibo che non perisce...» Gesù esorta la folla a procurarsi il cibo che dà la vita piena e imperitura, «che lui solo, in quanto Figlio dell’uomo in perfetta comunione con il mondo di Dio, può comunicare» (Fabris, p. 388). Il termine «operare» (ergàzomai) è una parola-chiave nel brano 27-30. Gesù contrappone il cibo materiale, che perisce, a quello rimane per la vita eterna: è un altro esempio del «dualismo giovanneo». Soltanto lui, in quanto Figlio dell’uomo, può procurare questo cibo duraturo, che rimane (ménein, verbo tecnico in Gv), poiché dà la vita eterna. Precedentemente Gesù aveva promesso alla samaritana un’acqua viva zampillante per la vita eterna (4,14); ora, in modo analogo, parla di un cibo che rimane per la vita eterna. Il cibo (pane) e l’acqua sono associati pure in Is 55,1, dove il profeta esorta gli esiliati ebrei ad avere fiducia in Dio.
«Operate»: Gesù invita all’adesione di fede nella sua rivelazione. Egli promette un cibo misterioso, che consiste, come spiegherà più avanti, nel dono della sua «carne», cioè del suo corpo immolato in croce. Il titolo «Figlio dell’uomo» orienta verso questo senso, perché in Gv si riferisce generalmente al Verbo in quanto uo­mo, che sarà elevato in croce, per redimere l’umanità fragile e debole, incapace di salvarsi senza l’aiuto di Dio. Gesù può comunicare la vita eterna, perché «Dio l’ha segnato con il suo sigillo», cioè accreditato per la sua missione salvifica. Esphràgisen (lett. sigillo) esprime un’azione istantanea e storica. L’uso dell’aoristo indicherebbe secondo qualche esegeta il momento dell’incarnazione del Verbo oppure della consacrazione messianica di Gesù al Giordano (Gv 1,32-34); meglio riferire il verbo a tutta la sua esistenza terrena, considerata ormai conclusa (cf. Fabris, p. 399).

Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio? - Benedetto Prete (I Quattro Vangeli): Che cosa dobbiamo fare per compiere le opere di Dio?; nella replica gli interlocutori si rifanno alla stessa espressione usata da Gesù poco sopra: «Procuratevi... il cibo che rimane per la vita eterna» (vers. 27); le formule «procuratevi» e «compiere le opere» rispondono in greco allo stesso verbo (ἐργάζομαι). Le persone presenti, davanti al comando di Cristo di procurarsi il cibo che rimane per la vita eterna, domandano quali siano le opere che sono volute da Dio e che debbono essere compiute per avere tale cibo. Si noti che la domanda rivela la mentalità ebraica, poiché si mette l’accento sulle opere imposte dalla Legge.
L’opera di Dio è questache voi crediate...; risposta compendiosa ed incisiva, con la quale Gesù alle «opere» richieste dagli ebrei contrappone la fede all’inviato di Dio. Non è richiesta quindi una molteplicità di opere come quelle che imponevano gli scribi ed i farisei amanti di un formalismo legale opprimente, ma è necessaria un’unica e fondamentale opera: la fede nell’inviato di Dio. L’espressione ha una concretezza assai viva che sottolinea il realismo della fede considerata come l’opera per antonomasia, necessaria alla salvezza (cf. Romani, 3,28).

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
****  “Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio.” (Mt 4,4b).
Questa parola cosa ti suggerisce?
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Preghiamo con la Chiesa: O Dio, che manifesti agli erranti la luce della tua verità, perché possano tornare sulla retta via, concedi a tutti coloro che si professano cristiani di respingere ciò che è contrario a questo nome e di seguire ciò che gli è conforme. Per il nostro Signore Gesù Cristo...