4 Maggio 2019

Sabato della II Settimana di Pasqua


Oggi Gesù ci dice: «Sono io, non abbiate paura!» (Vangelo)

Vangelo - Dal Vangelo secondo Giovanni 6,16-21: Il sesto capitolo si articola in quattro parti. La prima parte va dal versetto 1 fino al versetto 15: Gesù manifesta il suo potere taumaturgico alla folla moltiplicando cinque pani d’orzo e due pesci e sfamando cinquemila uomini; la seconda parte va dal versetto 16 al versetto 21: Gesù  manifesta il suo potere ai discepoli camminando sul mare. La terza parte va dal versetto 22 al versetto 59: Gesù rivela alla folla di essere il “pane della vita”:  «Io sono il pane della vita. Chi viene a me non avrà più fame e che crede in me non avrà sete, mai!» (v. 35). Nella quarta parte, che va dal versetto 60 al versetto 71, Giovanni mette in luce la crisi dei discepoli.
Nel vangelo di oggi, “Gesù cammina sul mare”, si possono mettere a fuoco due temi: la paura dei discepoli: la barca di Pietro sta per sprofondare negli abissi del mare a motivo del mare agitato e del forte vento. Al di là della furia della natura, si può evidenziare che lì dove non vi è la “presenza di Gesù”, tutto rischia di affondare, invece, dove è presente Gesù subito si instaura un clima di gioia, di sicurezza e di pace, la barca, dove è Gesù, facilmente raggiunge il porto: “«Sono io, non abbiate paura!». Allora vollero prenderlo sulla barca, e subito la barca toccò la riva alla quale erano diretti”.
Il secondo tema, è l’iniziativa di Dio che precede sempre quella dell’uomo. Non sono i discepoli in difficoltà a invocare l’aiuto di Gesù, e Gesù che va incontro ai suoi discepoli. La salvezza è un dono, è Gesù che si “avvicina alla barca” per salvare coloro che sono destinati a un sonoro naufragio.

Gesù cammina sulle acque - Rudolf Pesch: Come il racconto della tempesta sedata, anche il camminare di Gesù sulle acque è considerato dall’indagine odierna una storia prodigiosa di un’epifania alla cui stesura ha portato non tanto (o affatto) un ricordo storico, quanto l’adesione a Cristo e l’interesse legato alla predicazione. La pericope ci è trasmessa in due diverse versioni, in Mc 6,45-52 e Gv 6,16-21; Mt 14,22-23 è un’elaborazione redazionale dell’originale di Mc con l’aggiunta del racconto di Pietro che cammina sul lago. Il taglio dato dalla predicazione al racconto originario, riconoscibile in entrambe le versioni (Mc e Gv), mira chiaramente a celebrare Gesù come il Signore che come JHWH stesso incede da signore sulle profondità del mare, sull’elemento caotico (cf. riguardo a Mc 6,48/Gv 6,19: Gb 9,8; Sal 77,20; Is 43,16). Con la formula rivelatoria “sono io” (Mc 6,50/Gv 6,20) Gesù si presenta ai discepoli e viene incontro alla loro paura, dovuta all’epifania del divino, con l’antico incoraggiamento “non temete”. Questa storia kerygmatica di un prodigio, i cui singoli elementi sono posti totalmente al servizio dell’affermazione centrale che si vuole annunciare (“Gesù come divino Signore”), non dovrebbe essere ritenuta un racconto pasquale predatato nella vita di Gesù.

Venuta intanto la sera, i  discepoli di Gesù scesero al mare, salirono sulla barca, probabilmente è la barca di Pietro, nella quale la tradizione cristiana unanimemente vede l’immagine della Chiesa. La barca è ancora distante da terra ed è scossa dalle onde, il mare era agitato e soffiava un forte vento. In questa scena, in un contesto di tempesta e di paura, emerge la tempra dei discepoli, ma anche la loro natura tutta umana. I discepoli sono uomini rotti ad ogni tipo di fatica, ma pur sempre uomini, con le loro paure, con la loro stanchezza, con quella ottusa capacità di conoscere, di capire, di cogliere in tutta la sua interezza la verità. Non riconoscono Gesù che cammina sulle acque, forse credono di vedere un fantasma. Ebbero paura, ma la voce del Maestro ricolma il loro cuore di gioia e di speranza. Allora vollero prenderlo sulla barca, e subito la barca toccò la riva alla quale erano diretti. Nell’Antico Testamento il potere camminare sulle acque, così come quello di calmare le tempeste, è attribuito a Iahvé (cfr. Sal 65,7; 77,20; 89,9-10; Gb 9,8; 26,11-12; 38,16; Sir 24,5-6; Is 43,16). Intenzionalmente è una professione di fede della comunità primitiva nella divinità di Gesù. Al di là della storicità dell’episodio, si può cogliere un messaggio altamente parenetico: Gesù risorto è sempre presente nella sua Chiesa e se i marosi sembrano far affondare la barca di Pietro occorre continuare, nonostante tutto, ad avere fiducia nella potenza della sua Presenza, la quale rende possibile la prosecuzione della navigazione. A tutti i naviganti più o meno esperti, Gesù continua a ripetere, «Sono io, non abbiate paura!».  Così l’episodio illumina la vita cristiana fatta a volte anche di affondamenti.

Sono io non abbiate paura - Giovanni Paolo II (Udienza Generale, 9 Settembre 1987): È Dio-Figlio consustanziale al Padre (e allo Spirito Santo), nell’espressione “Io Sono”, che Gesù Cristo utilizza nei riguardi della propria persona, troviamo un’eco del nome con il quale Dio ha manifestato se stesso parlando a Mosè (cf.Es 3,14). Poiché Cristo applica a se medesimo lo stesso “Io Sono” (cfr. Gv 13,19), occorre ricordare che questo nome definisce Dio non soltanto quale Assoluto (esistenza in sé dell’Essere per se stesso), ma colui che ha stipulato l’alleanza con Abramo e con la sua discendenza e che, in forza dell’alleanza, manda Mosè a liberare Israele (cioè i discendenti di Abramo) dalla schiavitù di Egitto. Così dunque quell’“Io Sono” contiene in sé anche un significato soteriologico, parla del Dio dell’alleanza che è con l’uomo (come con Israele) per salvarlo. Indirettamente parla dell’Emmanuele (cfr. Is 7,14), il “Dio con noi”. L’“Io Sono” di Cristo (soprattutto nel Vangelo di Giovanni) deve essere inteso nello stesso modo. Senza dubbio esso indica la preesistenza divina del Verbo-Figlio (se ne è parlato nella catechesi precedente), ma, nello stesso tempo, richiama il compimento della profezia d’Isaia circa l’Emmanuele, il “Dio con noi”.“Io Sono” significa quindi - sia nel Vangelo di Giovanni sia nei Vangeli sinottici - anche “io sono con voi” (cfr. Mt 28,20). “Sono uscito dal Padre e sono venuto nel mondo” (Gv 16,28) “... a cercare e a salvare ciò che era perduto” (Lc 19,10). La verità circa la salvezza (la soteriologia), già presente nell’Antico Testamento nella rivelazione del nome di Dio, viene riconfermata ed espressa fino in fondo dall’autorivelazione di Dio in Gesù Cristo. Proprio in tale senso “il Figlio dell’uomo” è vero Dio: Figlio della stessa sostanza del Padre, che ha voluto essere “con noi” per salvarci.

La rivelazione della divinità di Gesù: «Io sono»: Salvatore Alberto Panimolle (Lettura pastorale del Vangelo di Giovanni): [...] l’espressione: «Io sono» (Gv 6,20), che si trova anche nei passi paralleli dei sinottici (Mc 6,50 e par.). nel quarto vangelo riveste un significato speciale, dato il caratteristico uso giovanneo per indicare che il Cristo è il Signore. «In Gesù si manifesta la presenza di Dio maestosa e potente, libera, salvifica. Tutto questo è racchiuso nell’affermazione Io sono (v. 20), che è l’equivalente del nome divino ed è indubbiamente il punto centrale dell’intero episodio. Gesù sceglie la via del mare non tanto per affrettarsi in aiuto dei discepoli, quanto per affermare che è il Signore. l’Io sono»?”.
In realtà la locuzione «Io sono» per Giovanni significa che Gesù di Nazaret è Dio, come lo è Jahvè (Gv 8,24.28.58; ecc.). Il Verbo incarnato infatti dichiara che per non morire nei peccati bisogna credere che egli è il Signore; «Se non credete che Io sono» (Gv 8,24). Dalla croce Gesù rivelerà questa sua natura divina (Gv 8,28). Anzi allorché il Maestro pronuncia l’espressione divina «Io sono», i suoi nemici si prostrano davanti a lui (Gv l8,6).
Alla luce dell’Io sono il segno della traversata sul mare in tempesta nel quarto vangelo i presenta come un evento di rivelazione. Con questo gesto Giovanni vuoi mostrare la condizione divina di Gesù. Le parole «ego eimi» «nei sinottici sono soprattutto un modo di farsi riconoscere (non si tratta dì un fantasma!), quantunque non sfugga il tono solenne di questa epifania ... Ma per l’evangelista (Giovanni), che l’aveva già preparato (v. 17b), queste parole diventano totalmente un’autoqualificazione di Gesù, un’automanifestazione divina. Questo è, per lui, non soltanto il punto culminante, ma anche la principale ragione per cui ha accolto questo racconto nella sua esposizione”.
Il Verbo incarnato, camminando sulle acque e proclamando Io sono, si rivela come vero Dio, a somiglianza di Javhé, la cui via passava sul mare e i cui sentieri sono nelle grandi acque (Sal 77,20).
In realtà la locuzione «Ego eimi» nei LXX, soprattutto in Es 3,14 e nel libro del Deutero-Isaia, indica il nome del Signore, in quanto è fedele all’alleanza. Il quarto evangelista mette sulla bocca di Gesù questa espressione sacra per proclamare la sua divinità.

Gesù Cristo è nostro Signore secondo le due nature - Catechismo Tridentino 40: NOSTRO SIGNORE. Le sacre Scritture attribuiscono al Salvatore molteplici qualità, di cui alcune chiaramente gli spettano come Dio, altre come uomo, avendo Egli in sé, con la duplice natura, le proprietà rispettive. Rettamente dunque dicevamo che Gesù Cristo, per la sua natura divina, è onnipotente, eterno, immenso; mentre per la sua natura umana, diciamo che ha patito, è morto, è risorto. Ma, oltre questi, altri attributi convengono a entrambe le nature, come quando, in questo articolo, lo diciamo nostro Signore; a buon diritto del resto, potendosi riferire tale qualifica all’una e all’altra natura. Infatti egli è Dio eterno come il Padre; cosi pure è Signore di tutte le cose quanto il Padre. E come egli e il Padre non sono due distinti Dei, ma assolutamente lo stesso Dio, così non sono due Signori distinti. Ma anche come uomo, per molte ragioni è chiamato Signore nostro. Innanzi tutto perché fu nostro Redentore e ci liberò dai nostri peccati, giustamente ricevette la potestà di essere vero nostro Signore e meritarne il nome. Insegna infatti l’Apostolo: Si umiliò, fattosi ubbidiente fino alla morte e morte di croce; per cui Dio lo ha esaltato, conferendogli un nome, che è sopra ogni altro, onde al nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi, in cielo, in terra, nell’inferno; e ogni lingua proclami che il Signore Gesù Cristo è nella gloria di Dio Padre (Filipp. 2,8-11). Egli stesso disse di sé dopo la risurrezione: Mi è stato conferito ogni potere in cielo e sulla terra (Mt 28,18). Inoltre è chiamato Signore per aver riunito in una sola Persona due nature, la divina e l’umana. Per questa mirabile unione meritò, anche senza morire per noi, d’essere costituito quale Signore, sovrano di tutte le creature in genere, e specialmente dei fedeli che gli obbediscono e lo servono con intimo affetto.

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
**** “Gesù Cristo è vero Dio e vero uomo, uguale al Padre nella divinità, in tutto simile a noi nell’umanità, eccetto il peccato. Il Figlio eterno di Dio si è fatto uomo, per renderci partecipi della sua vita filiale e introdurci nell’intimità del Padre.” (Catechismo degli Adulti 314).
Questa parola cosa ti suggerisce?
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Preghiamo con la Chiesa: O Padre, che ci hai donato il Salvatore e lo Spirito Santo, guarda con benevolenza i tuoi figli di adozione, perché a tutti i credenti in Cristo sia data la vera libertà e l’eredità eterna. Per il nostro Signore Gesù Cristo…