23 Maggio 2019

Giovedì della V Settimana di Pasqua


Oggi Gesù ci dice: “Le mie pecore ascoltano la mia voce, e io le conosco ed esse mi seguono.” (Gv 10,27 - Acclamazione al Vangelo).


Vangelo - Dal Vangelo secondo Giovanni 15,9-11: La pericope evangelica odierna è tratta dai «discorsi dell’addio»: Gesù, prima della morte, rivela ai discepoli i misteri più grandi della vita divina. Il brano svolge il tema della carità fraterna, dell’osservanza dei comandamenti, della gioia che ne deriva nell’osservarli e dell’elezione divina.

Amore e ubbidienza - Basilio Caballero (La Parola per Ogni Giorno): L’idea centrale del vangelo odierno è l’unione permanente del discepolo a Gesù attraverso l’amore, cioè a traverso l’osservanza dei suoi comandamenti. Questo breve testo è il passaggio tra la similitudine della vite e la dichiarazione d’amicizia che farà poi Gesù a coloro che fino a quel momento erano solo i suoi discepoli
L’amore reciproco del Padre e del Figlio si trasfonde da Cristo al discepolo e da questi ai fratelli. Di Gesù: «Come il Padre ha amato me, così anch’io ho amato voi. Rimanete nel mio amore». Gesù afferma adesso dell’amore ciò che prima aveva detto della vite nel discorso sul pane della vita: «Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia di me vivrà per me» (Gv 6,57). Amore e vita sono concetti intercambiabili e realtà equivalenti nella letteratura giovannea.
E come si rimane nell’amore di Cristo? «Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore come io ho osservato i comandamenti del Padre e rimango nel suo amore», dice Gesù, perché «se mi ama, osserverà la mia parola». Le espressioni «uno mi ama» e «rimarrete nel mio amore», intese luce di tutto il messaggio di Cristo, equivalgono a «ama il fratello ama me». Perché, chi può essere sicuro di amare Dio e Gesù, che non vede, se non amando il fratello che vede? Per questo, più avanti, Gesù insisterà sull’amore fraterno, come vedremo domani.
Amare Gesù equivale a osservare i suoi comandamenti. Amore e ubbidienza non sono termini che si escludono a vicenda, ma dipendono l’uno dall’altro. Perché l’amore nasce dall’ubbidienza, e questa, a sua volta, esprime e aumenta l’amore, come succede con Cristo rispetto al Padre. La relazione tra amore e ubbidienza è molto stretta; si sostengono e si completano a vicenda. Quando l’amore porta a sacrificare il proprio volere per conformarsi alla volontà dell’altro, ottenendo una fusione di volontà, allora l’amore è maturo e avviene quello che diceva san Giovanni della Croce: «Amata nell’Amato trasformata». La felicità in relazione diretta alla capacità di sacrificio.

Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi - Alain Marchadour (Vangelo di Giovanni): Il «come» ripetuto due volte è importante, perché esprime il mistero più profondo della rivelazione: non è anzitutto un paragone, è essenzialmente un radicamento, un fondamento. L’amore del Padre e di Gesù si esprime nell’incarnazione e nella morte che ne mostra il punto di arrivo e il senso. Alcuni hanno visto nell’insistenza sulla reciprocità Padre-Figlio, Gesù-comunità, discepoli­discepoli una limitazione dell’amore senza limiti di Mt 5,44.46: «Io vi dico: amate i vostri nemici ... affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli ... Qualora infatti amaste sono quelli che vi amano, che ricompensa avreste? ». Ma Giovanni parla qui d’altro, di quell’amore intimo tra il Padre e il Figlio che si esprime sulla croce (3,16), modello e riferimento che fonda la nuova comunità: «Noi dobbiamo amare, perché lui per primo ci ha amati» (1Gv 4,19). In questa parte del discorso la minaccia del castigo non ha più ragione di essere; gli avversari sono scomparsi i lasciando il posto soltanto agli amici, quelli che sono stati eletti e che hanno eletto.

Rimanete nel mio amore... Giuliano Vigini (Dizionario del Nuovo Testamento): Da un punto di vista teologico, il NT offre un quadro molto esteso e articolato dell’amore, soprattutto con Giovanni e Paolo, ma numerosi aspetti e manifestazioni dell’amore trovano ampio spazio e rilievo anche nei sinottici e concorrono a definire il volto dell’amore e la sua concreta attuazione nella vita cristiana.
Da Dio, fonte originaria e unica dell’amore (“L’amore è da Dio” 1Gv 4,7), si parte per arrivare all’amore di Cristo, rivelatore del disegno d’amore di Dio e concludersi con l’amore dell’uomo, chiamato a farsi annunciatore e testimone dell’amore di Dio in Cristo. La fede e l’esistenza cristiana si compendiano e illuminano nell’esperienza di questo amore, modellato sull’amore di Colui che ci ha amati per primo (1Gv 4,10.19). Il “Dio dell’amore e della pace” (2Cor 13,11) si è reso visibile nel Figlio e Cristo si è fatto via d’amore del Padre per la salvezza degli uomini.
In questa circolarità dell’amore divino, dove tutto si richiama e si salda, sta la meta e ìl cammino dei cristiani, che cercano ogni giorno di imparare a conoscere l’amore di Cristo (Ef 3,19) per viverlo in fedeltà e pienezza come frutto dello Spirito (Gal 5,22).
Nel momento in cui l’amore riversato nei nostri cuori (Rm 5,5) viene interiormente accolto, prende forma, diventa vita e azione - cioè esercizio d’amore -, allora esso si rivela in tutta la sua fecondità. Perché da pura conoscenza si è trasformato in partecipazione intima ed imitazione convinta dell’amore creatore e salvifico di Dio portato da Cristo: “Io ho fatto conoscere loro il tuo nome e lo farò conoscere, perché l’amore con il quale mi hai amato sia in essi e io in loro” (Gv 17,26).
L’impegno dei credenti in Cristo è proprio di far tesoro del dono ricevuto e di crescere ogni giorno come comunità nel segno visibile di questo amore.

I due amori - Claude Wiéner: Da un capo all’altro del NT l’amore del prossimo appare indissociabile dall’amore di Dio: i due comandamenti sono il vertice e la chiave della legge (Mc 12,28-33 par.); la carità fraterna è la realizzazione di ogni esistenza morale (Gal 5,14; 6,2; Rom 13,8s; Col 3,14), è in definitiva l’unico comandamento (Gv 15,12; 2Gv 5), l’opera unica e multiforme di ogni fede viva (Gal 5,6.22): «Chi non ama il fratello che vede, non può amare quel Dio che non vede ... amiamo i figli di Dio quando amiamo Dio» (1Gv 4,20 s). Non si potrebbe affermare meglio che, in sostanza, non c’è che un solo amore.
L’amore del prossimo è quindi essenzialmente religioso; non è una semplice filantropia. Anzitutto è religioso per il suo modello: imitare l’amore stesso di Dio (Mt 5,44s; Ef 5,1s.25; 1Gv 4,11s). Poi, e soprattutto, per la sua sorgente, perché è l’opera di Dio in noi: come potremmo essere misericordiosi come il Padre celeste (Lc 6,36), se il Signore non ce lo insegnasse (1Tess 4,9), se lo Spirito non lo effondesse nei nostri cuori (Rom 5,5; 15,30)? Questo amore viene da Dio ed esiste in noi per il fatto stesso che Dio ci prende come figli (1Gv 4,7). E, venuto da Dio, esso ritorna a lui: amando i nostri fratelli, amiamo il Signore stesso (Mt 25,40), perché tutti assieme forniamo il corpo di Cristo (Rom 12,5-10; 1Cor 12,12-17). Questo è il modo in cui possiamo rispondere all’amore con cui Dio ci ha amati per primo (1Gv 3,16; 4,19 s).
In attesa della parusia del Signore, la carità è l’esigenza essenziale, in base alla quale gli uomini saranno giudicati (Mt 25,31-46). Questo è il testamento lasciato da Gesù: «Amatevi gli uni gli altri, come io vi ho amati» (Gv 13,34s). L’atto d’amore di Cristo continua ad esprimersi attraverso gli atti dei discepoli. Questo comandamento, benché antico perché legato alle sorgenti stesse della rivelazione (1Gv 2,7s), è nuovo: di fatto Gesù ha inaugurate una nuova era mediante il suo sacrificio, fondando la nuova comunità annunziata dai profeti, donando ad ognuno lo Spirito che crea dei cuori nuovi. Se dunque i due comandamenti sono uniti, si è perché l’amore di Cristo continua ad esprimersi attraverso la carità che i discepoli manifestano tra loro.

La gioia della nuova vita - André Ridouard e Marc-François Lacan: La parola di Gesù ha prodotto il suo frutto: coloro che credono in lui hanno in sé la pienezza della sua gioia (Gv 17,13); la loro comunità vive in una letizia semplice (Atti 2,46) e la predicazione della buona novella è dovunque fonte di grande gioia (8,8); il battesimo riempie i fedeli di una gioia che viene dallo Spirito (13,52; cfr. 8,39; 13,48; 16,34) e che fa cantare gli apostoli nelle prove peggiori (16,23ss).
1. Le fonti della gioia spirituale. - Di fatto la gioia è un frutto dello Spirito (Gal 5,22) ed una nota caratteristica del regno di Dio (Rom 14,17). Non si tratta dell’entusiasmo passeggero che la parola suscita e la tribolazione distrugge (cfr. Mc 4,16), ma della gioia spirituale dei fedeli che, nella prova, sono di esempio (1Tess l,6s) e che, con la loro generosità gioiosa (2Cor 8,2; 9,7), con la loro perfezione (2 Cor 13,9), con la loro unione (Fil 2,2), con la loro docilità (Ebr 13,17) e la loro fedeltà alla verità (2Gv 4; 3Gv 3s), sono presentemente e saranno nel giorno del Signore la gioia dei loro apostoli (1Tess 2,19s).
La carità che rende i fedeli partecipi della verità (1Cor 13,6) procura loro una gioia costante che è alimentata dalla preghiera e dal ringraziamento incessanti (1Tess 5,16; Fil 3,1; 4,4ss). Come rendere grazie al Padre di essere trasferiti nel regno del suo Figlio diletto, senza essere nella gioia (Col 1,11ss.)? E la preghiera assidua è fonte di gioia perché la anima la speranza e perché il Dio della speranza vi risponde colmando di gioia il fedele (Rom 12,12; 15,13). Pietro lo invita quindi a benedire Dio con esultanza; la sua fede, che l’afflizione mette alla prova, ma che è sicura di ottenere la salvezza, gli procura una gioia ineffabile che è la pregustazione della gloria (1Piet 1,3-9).
2. La testimonianza della gioia nella prova - Ma questa gioia non appartiene che alla fede provata. Per essere nella letizia al momento della rivelazione della gloria di Cristo, bisogna che il suo discepolo si rallegri nella misura in cui partecipa alle sue sofferenze (1Piet 4,13). Come il suo maestro, egli preferisce in terra la croce alla gioia (Ebr 12,2); accetta con gioia di essere spogliato dei suoi beni (Ebr 10,34), considerando come gioia suprema l’essere messo alla prova in tutti i modi (Giac 1,2). Per gli apostoli, come per Cristo, la povertà e la persecuzione portano alla gioia perfetta.
Nel suo ministero apostolico, Paolo gusta questa gioia della croce, che è un elemento della sua testimonianza: «afflitti», i ministri di Dio sono «sempre lieti» (2Cor 6,10). L’apostolo sovrabbonda di gioia nelle sue tribolazioni (2Cor 7,4); con un disinteresse totale egli si rallegra purché Cristo sia annunciato (Fil 1,17s) e trova la sua gioia nel soffrire per i suoi fedeli e per la Chiesa (Col 1,24). Invita persino i Filippesi a condividere la gioia che egli avrebbe nel versare il proprio sangue come suprema testimonianza di fede (Fil 2,17s).

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** “Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore.” (Vangelo).
Questa parola cosa ti suggerisce?
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Preghiamo con la Chiesa: O Dio, che per la tua grazia da peccatori ci fai giusti e da infelici ci rendi beati, custodisci in noi il tuo dono, perché, giustificati mediante la fede, perseveriamo nel tuo servizio. Per il nostro Signore Gesù Cristo...