24 Maggio 2019

Venerdì della V Settimana di Pasqua


Oggi Gesù ci dice: “Vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi.”  (Gv 15,15b - Acclamazione al Vangelo).


Vangelo - Dal Vangelo secondo Giovanni 15,12-17: L’amore che Gesù chiede ai suoi deve essere espansivo, totale, senza riserve: esso deve consumarsi fino al dono di se stessi: «In questo abbiamo conosciuto l’amore, nel fatto che egli ha dato la sua vita per noi; quindi anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli» (1Gv 3,16).
Voi siete miei amici... perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi: nell’Antico Testamento Mosè, Giosuè e Davide sono chiamati servi di Dio (Cf. Dt 34,5; Gs 24,29; Sal 89,21); solo Abramo è definito amico di Dio e a motivo di questa amicizia il Signore gli svela i suoi intimi pensieri (Cf. Gen 18,17; 2Cr 20,7; Is 41,8).
Era uso nel mondo giudaico scegliersi un maestro, Gesù sottolinea invece che la chiamata, esplicitamente gratuita, è venuta dalla sua volontà. Nessuno può arrogarsi il diritto di essere suo discepolo se Egli non lo chiama al suo seguito. Ed è Lui che li ha costituiti perché vadano e portino frutto. Dal contesto il mandato non sembra intendersi in una prospettiva missionaria ma, più genericamente riferirsi alla vita cristiana come impegno di portar frutto. Il frutto rimane perché i discepoli sono innestati alla vera vite: la fecondità ai tralci viene data dalla vite. Precipua preoccupazione dei discepoli è quindi quella di rimanere in Cristo.
Oltre la gioia, la comunione con la Vite vera arreca ai discepoli un altro dono: tutto quello che chiederete al Padre nel mio Nome egli ve lo concederà.
La preghiera sarà sempre accolta perché l’orante cercherà unicamente il Regno del Padre: infatti, «è sempre esaudito chi chiede per sé cose necessarie alla salvezza con pietà e perseveranza» (San Tommaso d’Aquino)

Amore e amicizia di Gesù - Basilio Caballero: (La Parola per Ogni Giorno): Il vangelo di oggi esprime due idee fondamentali: l’amicizia di Gesù per i suoi discepoli e, come conseguenza, l’amore fraterno. Il testo inizia e termina con lo stesso precetto, il comandamento del Signore sull’amore fraterno: «Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati ... Questo vi comando: amatevi gli uni gli altri». Gesù dice che è il «suo» comandamento; in un altro brano di congedo lo qualifica come «nuovo» e attribuisce all’amore fraterno perfino la qualità di segno esteriore di identificazione per i suoi discepoli (Gv 13,31s).
Secondo il desiderio e il comandamento di Cristo, i credenti devono amarsi reciprocamente. Perché? Perché sono stati prima amati da lui: amatevi come io v ho amati. Che prove ci sono di questo amore? Molte e specialmente la più grande di tutte: morire per gli amici. «Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici». L’amore che si sacrifica è quello più autentico. «Vi ho chiamati amici», dice Gesù a quelli che fino a questo momento erano per lui, maestro e Signore, dei discepoli. Sorprendente!
L’amicizia si definisce solitamente in termini di uguaglianza e non di superiorità e inferiorità. Lo dicevano già i classici: l’amicizia presuppone che gli amici siano uguali, o è lei stessa che li rende uguali. Ma chiaramente
non ci può essere uguaglianza tra Gesù e i suoi discepoli, tra Dio e noi. Tuttavia Cristo stabilisce un’amicizia con i suoi. Come? Facendo valere nuove ragioni che rendono possibile un’amicizia e un’intimità in cui è lui ad avere l’iniziativa. Vediamo che cosa dice.
«Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici. Voi siete miei amici, se farete ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l’ho fatto conoscere a voi. Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi». Da ciò che precede si desume che tre sono, tra le altre, le ragioni per l’amicizia di Gesù con i suoi: perché egli dà la vita per loro; perché ha rivelato loro tutti i suoi segreti; perché, semplicemente, li ha scelti come amici. La conclusione logica è che il Padre concederà agli amici di Gesù tutto ciò che gli chiederanno nel nome del Figlio.

Nessuno ha un amore più grande... - Lumen fidei 16: La prova massima dell’affidabilità dell’amore di Cristo si trova nella sua morte per l’uomo. Se dare la vita per gli amici è la massima prova di amore (cfr Gv 15,13), Gesù ha offerto la sua per tutti, anche per coloro che erano nemici, per trasformare il cuore.
Ecco perché gli evangelisti hanno situato nell’ora della Croce il momento culminante dello sguardo di fede, perché in quell’ora risplende l’altezza e l’ampiezza dell’amore divino. San Giovanni collocherà qui la sua testimonianza solenne quando, insieme alla Madre di Gesù, contemplò Colui che hanno trafitto (cfr Gv 19,37): «Chi ha visto ne dà testimonianza e la sua testimonianza è vera; egli sa che dice il vero, perché anche voi crediate» (Gv 19,35). F. M. Dostoevskij, nella sua opera L’Idiota, fa dire al protagonista, il principe Myskin, alla vista del dipinto di Cristo morto nel sepolcro, opera di Hans Holbein il Giovane: «Quel quadro potrebbe anche far perdere la fede a qualcuno». Il dipinto rappresenta infatti, in modo molto crudo, gli effetti distruttivi della morte sul corpo di Cristo. E tuttavia, è proprio nella contemplazione della morte di Gesù che la fede si rafforza e riceve una luce sfolgorante, quando essa si rivela come fede nel suo amore incrollabile per noi, che è capace di entrare nella morte per salvarci. In questo amore, che non si è sottratto alla morte per manifestare quanto mi ama, è possibile credere; la sua totalità vince ogni sospetto e ci permette di affidarci pienamente a Cristo.

Voi siete miei amici - Claude Wiéner: Inviando il Figlio suo in mezzo a noi, Dio s’è mostrato « amico degli uomini » (Tito 3,4); e Gesù lo ha descritto come colui che si lascia incomodare dall’amico importuno (Lc 11,5-8). Soprattutto, Gesù ha dato a questa amicizia un volto di carne: ha amato il giovane ricco (Mc 10,21), ha amato teneramente Lazzaro e, attraverso di lui, tutti colore che per mezzo della fede dovevano risorgere dalla tomba (Gv 11,3.11.35s).
Ebbe dei « compagni » che condivisero la sua esistenza (Mc 3,14), ma non tutti divennero suoi « amici » (gr. fìlos); così Giuda è ancora chiamato «compagno» (gr. hetàiros) (Mt 26,50; cfr. 20,13; 22,12), mentre agli altri discepoli Gesù dichiara: «Non vi chiamo più servi, ma amici» (Gv 15,15): essi hanno condiviso le sue prove, sono pronti ad affrontare la notte della passione (Lc 22,28s); Gesù quindi comunica loro i segreti del Padre suo (Gv 15,15), come tra amici. Il tipo dell’amico di Gesù, fedele fino alla croce, è « il discepolo che Gesù amava » (cfr. Gv 13,23; 21,7.20) e che affida alla propria madre (19,26).
Coloro che il Signore ha scelto come amici non possono mancare di sentirsi legati tra loro da amicizia. Certo, non senza tempeste: così Paolo, unito ai fratelli da tanti solidi legami (cfr. Rom 16,1-16) e così preoccupato in ogni occasione di tutto quanto li riguarda (cfr. 1Tess 2,7-12; 2 Cor 11,28s), incontra serie difficoltà con Barnaba (Atti 15, 36-39); addirittura con Pietro stesso (Gal 2,11-14); al tramonto della vita, si sentirà quasi solo, privo di ogni amicizia (2 Tim 4, 9-14). Ma al di là di queste crisi, permane la certezza che la volontà del Signore è l’amore fraterno tra i suoi (Gv 15,12 ss); l’immagine dell’amicizia che regnava nella comunità primitiva (Atti 2,44ss-4,32) resta per tutti i cristiani un ideale e una forza.

Non voi avete scelto me - Benedetto Prete (I Quattro Vangeli): Non voi avete scelto me...; un’amicizia così stretta ed intima tra Cristo e i discepoli non è originata da doti, né da benemerenze personali, non deriva da una opzione dell’uomo, ma è determinata da una scelta di Dio (cf. vers. 19); essere discepoli di Cristo è conseguenza di una chiamata da parte sua, è una grazia, come l’elezione del popolo ebraico (cf. Deuteronomio, 7,6-7). E vi ho costituito [amiciperché andiate e portiate frutto...; l’elezione fa sì che il discepolo sia fecondo e ricco di frutti nel bene e nella santità. Alcuni esegeti hanno pensato che queste espressioni (vi ho costituito; perché andiate) indichino il mandato apostolico di cui furono investiti i Dodici, ma il contesto non favorisce tale interpretazione (cf. 20,21). [Ed anche]perché quello che chiederete al Padre...; il vers. ha due proposizioni parallele e coordinate introdotte ambedue con la preposizione ἴνα (affinché, perché); le due proposizioni si integrano. Dopo la dichiarazione che i discepoli sono gli amici di Gesù, queste parole assumono un significato più profondo (cf. 14,13-14; 15,7); l’amore che Gesù nutre per il credente offre a questi una sincera garanzia di essere esaudito dal Padre quando lo prega «nel nome» di Gesù.

L’amore come scelta e come dono - Giovanni Cereti: L’amore attinge il suo vertice quando l’uomo, per dono dall’alto. giunge a orientare tutta la propria vita a Dio. Sotto l’azione della grazia, l’uomo che vive nell’amore compie una scelta fondamentale per Dio, e l’approfondisce continuamente. In questo senso l’amore, l’unico amore a Dio e al prossimo, costituisce anche l’anima, la “forma” di tutte le virtù morali, che senza di esso perderebbero ogni valore (1Cor 13,1-3). Esso non costituisce una dimensione a parte nella nostra vita; non esiste una separazione fra un mondo sacro, il mondo del culto e del rapporto con Dio, c un mondo profano, che sarebbe quello dell’esistenza quotidiana. Dio è amato in ogni forma di amore autentico, e in ogni istante e circostanza della nostra vita.
L’amore costituisce così la grande forza di umanizzazione del mondo, la grande energia volta a creare quella pienezza di comunione fra Dio e gli uomini c degli uomini fra loro c con il cosmo, alla quale tende il progetto di Dio per la creazione c per l’umanità. Tutta l’opera di educazione deve essere considerata un’educazione  all’amore. L’uomo non nasce infatti già capace di amare. La capacità di amare, sul piano naturale, è il frutto di un processo di graduale maturazione. E nel cammino verso l’amore non si può mai dire di essere giunti al termine. Tutta l’esistenza terrena può essere letta come un grande apprendistato dell’amore, non solo per i singoli, ma per l’intera umanità. La pienezza dell’amore si raggiunge solo alla conclusione del cammino. L’amore è infatti l’unica realtà della nostra esperienza terrena che secondo la fede cristiana ci accompagnerà, trasfigurata, nel mondo nuovo (1Cor 13,11).

Amare concretamente - Catechismo degli Adulti: 163 Che cosa voglia dire amare, Gesù lo esemplifica nelle parole del giudizio finale: «Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi» (Mt 25,36-36); e lo riassume formulando in termini positivi la cosiddetta “regola d’oro”: «Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro: questa infatti è la Legge e i Profeti» (Mt 7,12). Amare, dunque, significa fare concretamente il bene, con premura e creatività. La misura è Gesù stesso: «Come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri» (Gv 13,34).
164 I discepoli di Gesù vivono in comunione tra loro come fratelli e sono attivamente solidali con tutti, come il samaritano della parabola evangelica.

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** “Amare, dunque, significa fare concretamente il bene, con premura e creatività”.
Questa parola cosa ti suggerisce?
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Preghiamo con la Chiesa: Donaci, o Padre, di uniformare la nostra vita al mistero pasquale che celebriamo nella gioia, perché la potenza del Signore risorto ci protegga e ci salvi. Per il nostro Signore Gesù Cristo...