22 Maggio 2019

Mercoledì della V Settimana di Pasqua


Oggi Gesù ci dice: “Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto.” (Vangelo). 

Vangelo - Dal Vangelo secondo Giovanni 15,1-8: La vigna, come segno di benedizione, nell’Antico Testamento, soprattutto nei libri profetici, raffigurava il popolo d’Israele. Ma poiché la vigna-Israele aveva prodotto «uva selvatica», dal Signore sarà trasformata in pascolo e calpestata dai suoi nemici. Il popolo eletto da Dio, «scelto come vigna scelta, tutta di vitigni genuini» (Ger 2,21), a motivo della sua infedeltà, sarà abbandonato alla ferocia degli invasori che invaderanno il paese e devasteranno la vigna (Cf. Ger 2,10). Pur tuttavia, «sebbene i profeti abbiano utilizzato la vigna come immagine che serviva ad esprimere con forza e vivacità poetica il castigo divino, l’immagine rimaneva comunque aperta ad un ulteriore sviluppo che, sulla linea del Salmo 80, si sarebbe operato in un orizzonte di speranza e di salvezza», spingendo in questo modo «il credente a guardare in avanti, verso quel futuro nel quale rifulgerà in tutta la sua pienezza l’azione imprevedibile, ma sempre amorosa, di Dio» (G. Odasso).

L’immagine della vigna richiama numerosi passi dell’Antico Testamento nei quali il popolo d’Israele viene definito una vigna (Cf. Sal 80,15; Is 3,14; 5,1-7; 27,2; Ger 2,21; 6,9; 11,17; Ez 15,2; 17,5-10; 19,10; Os 10,1; Na 2,2). Sir 24,17 raffigura la Sapienza a una vite: «Io come vite ho prodotto splendidi germogli e i miei fiori danno frutti di gloria e ricchezza».
Nel brano giovanneo il Padre è l’agricoltore e poiché nella parabola si parla di una vite, può essere inteso in senso più restrittivo come vignaiolo. Il Figlio è la «vite vera» (Cf. Sal 84,16).
Se i Profeti paragonavano Israele a una vigna ed esprimevano rincrescimento per la scarsità e la cattiva qualità dei frutti, Gesù nel paragonare se stesso alla «vite vera» e i discepoli ai tralci vuole suggerire ai suoi amici che in avvenire non ci sarà più scarsezza di frutti per difetto della vigna; una fecondità che sarà donata anche alla sua Chiesa, ai suoi discepoli: se resteranno fedelmente uniti lui, essi faranno frutti abbondanti e duraturi.
L’evangelista Giovanni, nel riprendere l’immagine della vite, vuole illustrare e sottolineare soprattutto la necessità dell’unione profonda dei discepoli con Gesù. E lo fa usando con insistenza l’espressione rimanere in. Un’espressione a lui tanto cara da ripeterla ben cinque volte in questo brano.
Rimanere in, per l’autore del IV Vangelo, indica prima di tutto una relazione personale tra Gesù e i suoi discepoli-amici (Cf. Gv 8,31.35; 15,9-10.15; Sap 3,9), ma per comprendere il senso della esortazione nella sua valenza più pregnante occorre ricordare che l’invito è preceduto da due oscure e dolorose profezie fatte da Gesù prima di consegnarsi nelle mani dei carnefici: quella della sua morte (Cf. Gv 12,1-7) e quella dell’apostasia di un suo discepolo (Cf. Gv 13,21-30).
Gesù, dunque, mentre si avvicina la sua ultima ora, l’ora dei suoi nemici («l’impero delle tenebre» Lc 22,53; Cf. Lc 4,13), raccomanda ai suoi amici di rimanere uniti a lui e lo fa intenzionalmente perché «vuole impedire che la sua passione e la sua morte imminenti interrompano il rapporto che lega lui ai discepoli, quelli che lo hanno seguito durante il suo ministero in Palestina. Ma si rivolge anche chiaramente a tutti i suoi discepoli futuri, ai membri della sua Chiesa, per affermare con forza la necessità che essi restino uniti a lui e al suo Vangelo, che non interrompano il canale che comunica a loro la sua vita: solo così essi prenderanno parte già fin d’ora al grande dono della vita eterna [11,25-26]» (Don Alfonso Sidoti).
Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto: solo se il credente-tralcio, potato amorevolmente dal Padre, rimane unito alla Vite divina potrà portare abbondanti frutti di vita eterna: «Se infatti siamo stati intimamente uniti a lui a somiglianza della sua morte, lo saremo anche a somiglianza della sua risurrezione» (Rom 6,5). In altre parole, restare uniti a Gesù significa ricevere il dono della lettura intelligente e sapienziale della sua passione e della sua morte: il discepolo conoscerà «lui, la potenza della sua risurrezione, la comunione alle sue sofferenze, facendomi conforme alla sua morte, nella speranza di giungere alla risurrezione dai morti» (Fil 3,10-11).
In questo è glorificato il Padre mio: ogni volta che i discepoli si sforzano, con l’aiuto della grazia, di portare copiosi frutti, il loro agire è anche manifestazione della gloria del Padre (Cf. Gv 14,3).

Israele, vigna infedele a Dio. - M. F. Lacan: Sposo e vignaiolo, il Dio di Israele ha la sua vigna, che è il suo popolo. Per Osea, Israele è una vigna feconda che rende grazie della sua fecondità ad altri che a Dio, quel Dio che, mediante l’alleanza, è il suo sposo (Os 10,1; 3,1). Per Isaia, Dio ama la sua vigna, ha fatto tutto per essa, ma invece del frutto di giustizia che attendeva, essa gli ha dato l’acerba vendemmia del sangue versato; egli l’abbandonerà ai devastatori (Is 5,1-7). Per Geremia, Israele è una vigna scelta, inselvatichita e divenuta sterile (Ger 2,21; 8,13), che sarà divelta e calpestata (Ger 5,10; 12,10). Ezechiele infine paragona ad una vigna feconda, poi inaridita e bruciata, ora Israele infedele al suo Dio (Ez 19,10-14; 15,6ss), ora il re infedele ad un’alleanza giurata (17,5-19). Verrà un giorno in cui la vigna fiorirà sotto la custodia vigilante di Dio (Is 27,2s). A tale scopo Israele invoca l’amore fedele di Dio: possa egli salvare questa vigna che ha trapiantato dall’Egitto nella sua terra e che ha dovuto abbandonare allo sterminio ed al fuoco! Ormai essa gli sarà fedele (Sal 80,9-17). Ma non sarà Israele a mantenere questa promessa. Riprendendo la parabola di Isaia, così Gesù riassume la storia del popolo eletto: Dio non ha cessato di aspettare i frutti della sua vigna; ma invece di ascoltare i profeti da lui mandati, i vignaioli li hanno maltrattati (Mc 12,15). Colmo dell’amore: egli manda ora il suo Figlio diletto (12,6); in risposta i capi del popolo porteranno al colmo la loro infedeltà, uccidendo il Figlio di cui la vigna è l’eredità. Perciò i colpevoli saranno castigati, ma la morte del Figlio aprirà una nuova tappa del disegno di Dio: affidata a vignaioli fedeli, la vigna darà finalmente il suo frutto (12,7ss; Mt 21,41ss). Quali saranno questi vignaioli fedeli? Le proteste platoniche non servono a nulla: occorre un lavoro effettivo, il solo che renda (Mt 21,28-32). Per fare la sua vendemmia, Dio accoglierà tutti gli operai: lavorando fin dal mattino, od assoldati all’ultima ora, tutti riceveranno la stessa ricompensa. Infatti la chiamata al lavoro e l’offerta del salario sono doni gratuiti e non diritti che l’uomo possa rivendicare: tutto è grazia (Mt 20, 1-15).

Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore - Benedetto Prete (I Quattro Vangeli): Io sono la vite vera; «io sono...» è la nota formula di rivelazione che ricorre di frequente nel quarto vangelo (cf.: io sono la luce del mondo; io sono il pane di vita, ecc.). L’insegnamento che Gesù propone con l’immagine della vite (verss. 1-6) contiene elementi allegorici ed elementi parabolici; tuttavia nel racconto prevalgono gli elementi allegorici. La vite richiama l’immagine della vigna, immagine molto usata, particolarmente dai profeti, per illustrare le relazioni tra Israele, il popolo eletto, e Jahweh suo Dio (cf. Osea, 10,1-2; Isaia, 5, 1-7; 27,2-5; Geremia, 2,21-22; 12,10-11; Ezechiele, 15,1-8; 17,5-10; 19,10-14; Salmo, 80 [79],9-17); tuttavia l’immagine della vigna, nei testi indicati, serve a mettere in luce il contrasto tra l’amore di Dio per Israele e l’incorrispondenza di questo popolo. Israele è una vigna che ha deluso le aspettative di Dio e che non ha dato il raccolto atteso; di conseguenza questo popolo sarà punito con l’abbandono e la rovina. La formula usata da Cristo si ricollega alle formule che ricorrono nei libri sapienziali. L’Ecclesiastico applica il simbolo della vite alla Sapienza divina ed invita gli uomini ad andare a nutrirsi dei suoi frutti (cf Ecclesiastico, 24, 17, 18,20). Il Salvatore impiega l’immagine della vigna per strutturarne una parabola del regno dei cieli (cf. Mt., 20,1-8; 31,28-31,33-41; Mc.,12,1-12; Lc., 20,9-19) e trae dal «frutto della vite» l’Eucaristia, il sacrificio della Nuova Alleanza (Mt., 26,29; Mc., 14,25; Lc., 22,16). La novità dell’immagine usata nel presente testo consiste nell’affermazione che Gesù è la vite vera. Dallo sviluppo del racconto si vedrà come questa vite è una vite che comunica la vita; in tal modo la formula che ricorre sulle labbra del Maestro richiama l’altra nella quale egli afferma: «Io sono il pane della vita» (Giov.,6,35). Il Padre mio è l’agricoltore; noi avremmo detto: vignaiolo; in Palestina, data l’estensione della cultura della vite, ogni agricoltore era vignaiolo, doveva cioè occuparsi della vigna.

Cristo è la vera vite - Lumen gentium 6: La Chiesa è il podere o campo di Dio (cfr. 1Cor 3,9). In quel campo cresce l’antico olivo, la cui santa radice sono stati i patriarchi e nel quale è avvenuta e avverrà la riconciliazione dei Giudei e delle Genti (cfr. Rm 11,13-26). Essa è stata piantata dal celeste agricoltore come vigna scelta (Mt 21,33-43, par.; cfr. Is 5,1ss). Cristo è la vera vite, che dà vita e fecondità ai tralci, cioè a noi, che per mezzo della Chiesa rimaniamo in lui, e senza di lui nulla possiamo fare (cfr. Gv 15,1-5).

Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete fare nulla: CCC 2074: Gesù dice: “Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla” (Gv 15,5). Il frutto indicato in questa parola è la santità di una vita fecondata dall’unione con Cristo. Quando noi crediamo in Gesù Cristo, comunichiamo ai suoi misteri e osserviamo i suoi comandamenti, il Salvatore stesso viene ad amare in noi il Padre suo ed i suoi fratelli, Padre nostro e nostri fratelli. La sua Persona diventa, grazie allo Spirito, la regola vivente ed interiore della nostra condotta. “Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati” (Gv 15,12).

Chi rimane in me - Felipe F. Ramos (Vangelo di Giovanni): In questa sezione, il verbo «rimanere» è usato ben undici volte: il computo stesso fa comprendere che questa è il tema dominante. Anche durante la sua assenza, i discepoli devono rimanere uniti a Cristo. Egli promette la sua presenza in essi. La sua unione con essi è un’unione essenziale che consente loro di dare frutti, cioè di vivere la vita divina produrre le opere buone che Dio si attende da essi.
L’uomo, abbandonato a se tesso, non può dare questo genere di frutti. L’autosufficienza, portata fino alla sua conseguenza più estrema, allontana da Dio e spezza l’unione con lui. L’immagine usata dall’evangelista si riferisce alla separazione che avverrà nell’ultimo giorno. Solo che come è abitudine di Giovanni quest’immagine è usata per descrivere, già qui e ora, il significato della mancanza d’unione con Dio. La vite che produce frutto può essere definita come la vita d’unione con Dio, nella quale è sempre praticata la preghiera.

Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano - L’inferno, tragica possibilità - Catechismo degli Adulti 1218: La nostra libertà ha una drammatica serietà: siamo chiamati alla vita eterna, ma possiamo cadere nella perdizione eterna. «Davanti agli uomini stanno la vita e la morte; a ognuno sarà dato ciò che a lui piacerà» (Sir 15,17). Dio vuole che tutti siano salvati e vivano come suoi figli in Cristo, eppure per ciascuno c’è la triste possibilità di dannarsi: mistero inquietante, ma richiamato tante volte nella Bibbia, con parole accorate di minaccia e di ammonimento. Riguardo al diavolo e ai suoi angeli, sappiamo che sono già condannati di fatto. Per gli uomini invece si tratta di un rischio reale. La Scrittura non fa previsioni, ma rivolge appelli pressanti alla conversione, come volesse dire: ecco che cosa vi può succedere, ma non deve assolutamente accadere. Anche questa rivelazione è un atto di misericordia.

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** “Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete fare nulla.” (Vangelo).
Questa parola cosa ti suggerisce?
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Preghiamo con la Chiesa: O Dio, che salvi i peccatori e li rinnovi nella tua amicizia, volgi verso di te i nostri cuori: tu che ci hai liberato dalle tenebre con il dono della fede, non permettere che ci separiamo da te, luce di verità. Per il nostro Signore Gesù Cristo...