2 Maggio 2019

Giovedì della II Settimana di Pasqua


Oggi Gesù ci dice: “Il Padre ama il Figlio e gli ha dato in mano ogni cosa.” (Vangelo). 

Dal Vangelo secondo Giovanni 3,16-21: Il Padre ama il Figlio e gli ha dato in mano ogni cosa: per volontà del Padre, tutto è in mano del Figlio, cioè tutto è in suo potere (cfr. Gv 13,3). Tale potestà è il fondamento della regalità del Cristo che egli inaugurerà il giorno della sua esaltazione (cfr. Gv 12,32), quando il principe di questo mondo sarà gettato fuori (Gv 12,31).

Benedetto Prete (I Quattro Vangeli): I verss. 31-36 costituiscono una sezione a parte che non presenta dei legami logici con quanto è stato detto precedentemente (verss. 25-30). Numerosi esegeti ritengono che in questi verss. siano contenute delle riflessioni dell’evangelista, aggiunte dopo che egli ha riferito la testimonianza del Precursore. Come si è già accennato, vari studiosi pensano che la presente sezione (verss. 31-36) vada congiunta con i verss. 16-21 e che formi con essi un unico blocco letterario. In tal modo si otterrebbe il seguente ordine di fatti: a) l’incontro di Gesù con Nicodemo (3,1-15); b) il commento dell’evangelista sul mistero dell’incarnazione (3,16-21,31-36); c) la disputa dei discepoli di Giovanni con il giudeo (3,22-30); d) la partenza di Gesù per la Galilea (4,1-4). Non si può negare che i verss. 31-36 tocchino un argomento differente da quello sviluppato nei versetti precedenti (verss. 27-30), ma è difficile imporre dei rigidi criteri di logica ad uno scrittore come Giovanni, che ha un suo genio letterario e segue un proprio metodo personale e indipendente; egli infatti ama ripetersi ritornando su quanto ha detto, così come ama compiere delle digressioni. Chi viene dall’alto è al di sopra di tutti; l’espressione indica chiaramente Gesù, colui che viene dall’alto (ἄνωθεν) e dal cielo (ἐκ τοῦ οὐρανοῦ).Chi è dalla terra appartiene alla terra...; abbiamo tradotto fedelmente il testo greco che ripete tre volte l’espressione ἐκ τῆς γῆς (resa in italiano differentemente: dalla terra; alla terra; della terra). Gli esegeti non sono concordi nell’indicare la persona o le persone a qui alludono le parole: «chi è dalla terra». Molti ritengono che l’espressione designi il Battista, che è considerato come un semplice uomo; sembra tuttavia poco verosimile che il quarto evangelista si esprima in tal modo per indicare il Precursore, di cui riconosce la posizione privilegiata di inviato di Dio e di testimonio del Messia. Altri pensano che l’autore voglia accennare ai discepoli di Giovanni, i quali hanno mostrato di essere «della terra», perché non hanno afferrato il senso della testimonianza del loro maestro. Probabilmente l’espressione va intesa come una formula indeterminata con la quale l’evangelista designa gli uomini in generale; in tal modo si distingue nettamente l’origine celeste di Gesù e l’origine terrestre di tutti gli uomini. Chi viene dal cielo è al di sopra di tutti; la seconda parte della proposizione manca in alcuni manoscritti; alcuni critici la omettono e traducono: «Chi viene dal cielo attesta ciò che ha veduto ed ascoltato» (così traduce la Bible de Jérusalem). Altri critici, al contrario, accolgono la ripetizione «è al di sopra di tutti», perché è dello stile del quarto evangelista ripetersi ed amare le ridondanze espressive.

Mario Galizzi (Vangelo di Giovanni): Ci sembra fin troppo chiaro che qui non è il Battista che parla, ma l’evangelista che, senza ripetersi troppo, riflette sulla trascendenza di Gesù e, come nella precedente meditazione (3,16-21), ci parla del Padre quale mandante, del Figlio quale inviato e degli uomini in relazione alla missione di Ge­sù, il Figlio.
Prima si era detto: «Tanto Dio ha amato il mondo»; ora si dice: Dio ama il Figlio e ha posto tutto nelle sue mani, un’affermazione che avrà ampi sviluppi nei seguenti capitoli, ma che trova già qui una prima applicazione.
Il Figlio vi appare rivestito di ogni potere e dotato della pienezza dello Spirito. È perciò perfettamente qualificato per il suo compito messianico. Tanto più che egli, a differenza di coloro che sono dalla terra, viene dal cielo, e quale Figlio di Dio è davvero al di sopra di tutti. Venendo dal cielo, egli può davvero dare testimonianza di ciò che ha visto e udito; quale inviato può davvero comunicarci le parole di Dio (3,32.34). Egli infatti quale Figlio unigenito è sempre accanto al Padre ed è l’unico che può rivelarci il Padre (1,18).
L’evangelista lo contempla in questa sua attività e, osservando la reazione degli uomini, usa, come ha fatto in 1,11 e 3,19, una frase assoluta e dice: Nessuno accoglie la sua testimonianza (3,32), ma subito, come nei due passi preceden­ti, si corregge, e qui aggiunge: Chi però l’accoglie certifica che Dio è veritiero (3,33). La fede non è solo adesione e accoglienza di Gesù, l’inviato: è anche riconoscimento dell’amore del Padre, dichiarazione solenne, contrassegnata dal proprio sigillo (per rendere meglio l’originale), che Dio è veritiero, cioè leale, fedele, perché in Gesù rivela pienamente la sua fedeltà alle promesse e si rivela come «un Dio di vita»: Chi infatti crede nel Figlio ha la vita eterna, cioè partecipa fin d’ora alla vita divina.
Non così chi non crede. Costui viene definito come colui che non ubbidisce al Figlio (3,36). Di lui si è detto in 3,18 che è già condannato ... , qui si dice che su di lui rimane l’ira di Dio, cioè la riprovazione di Dio e, usando il futuro, si afferma che non vedrà la vita, cioè: finché rimane nella disubbidienza, è tagliato fuori dalla vita.
Il Figlio quindi non si presenta soltanto come l’unico e definitivo rivelatore, ma anche come l’unico Salvatore. È il tema del capitolo 4.

Chi viene dall’alto è al di sopra di tutti... - Silvano fausti (Una comunità legge il Vangelo di Giovanni): v. 31: chi viene dall’alto, ecc. Giovanni, da qui al v. 36, fa propria la testimonianza di Gesù davanti a Nicodemo.
chi è dalla terra, ecc. Mosè e i profeti sono terra (v. 12). Da loro viene la legge (1,17) e la testimonianza della luce (1,6-9). Ma non sono la vita né la luce. Ciò che è generato dalla carne è carne (v. 6). Da Gesù invece riceviamo grazia su grazia (1,16), perché egli è la luce e la vita: da lui riceviamo il dono dello Spirito, che ci genera dall’alto e ci fa diventare figli di Dio.
La terra non può salire al cielo, ma può attenderlo e accoglierlo, perché scende dall’alto.

Chi crede nel Figlio ha la vita eterna - Benedetto XVI (Udienza Generale, 2 novembre 2011): L’uomo ha bisogno di eternità ed ogni altra speranza per lui è troppo breve, è troppo limitata. L’uomo è spiegabile solamente se c’è un Amore che superi ogni isolamento, anche quello della morte, in una totalità che trascenda anche lo spazio e il tempo. L’uomo è spiegabile, trova il suo senso più profondo, solamente se c’è Dio. E noi sappiamo che Dio è uscito dalla sua lontananza e si è fatto vicino, è entrato nella nostra vita e ci dice: «Io so­no la risurrezione e la vita; chi crede in me anche se muore vivrà; chiunque vive e crede in me non morirà in eterno» (Gv 11,25-26). Pensiamo un momento alla scena del Calvario e riascoltiamo le parole che Gesù, dall’alto della Croce, rivolge al malfattore crocifisso alla sua destra: «In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso» (Lc 23,43). Pensiamo ai due discepoli sulla strada di Emmaus, quando, dopo aver percorso un tratto di strada con Gesù Risorto, lo riconoscono e partono senza indugio verso Gerusalemme per annunciare la Risurrezione del Signore (cfr. Lc 24,13-35). Alla mente ritornano con rinnovata chiarezza le parole del Maestro: «Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore. Se no non vi avrei mai detto: “Vado a prepararvi un posto”?» (Gv 14,1-2). Dio si è veramente mostrato, è diventato accessibile, ha tanto amato il mondo «da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna» (Gv 3,16), e nel supremo atto di amore della Croce, immergendosi nell’abisso della morte, l’ha vinta, è risorto ed ha aperto anche a noi le porte dell’eternità. Cristo ci sostiene attraverso la notte della morte che Egli stesso ha at­traversato; è il Buon Pastore, alla cui guida ci si può affidare senza alcuna paura, poiché Egli conosce bene la strada, anche attra­verso l’oscurità.

La vita eterna altro non è che la partecipazione dei credenti alla vita stessa di Gesù risorto: Giovanni Paolo II (Udienza Generale, 16 dicembre 1998): Punto di partenza della nostra riflessione sono le parole del Vangelo, che ci additano in Gesù il Figlio e il Rivelatore del Padre. Il suo insegnamento, il suo ministero, il suo stesso stile di vita, tutto in Lui rinvia al Padre (cfr. Gv 5,19.36; 8,28; 14,10; 17,6). Questi è il centro della vita di Gesù, e a sua volta Gesù è l’unica via per accedere al Padre. “Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me” (Gv 14,6). Gesù è il punto di incontro degli esseri umani con il Padre, che in Lui si è reso visibile: “Chi ha visto me ha visto il Padre. Come puoi dire: Mostraci il Padre? Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me?” (Gv 14,9-10). La manifestazione più espressiva di questo rapporto di Gesù col Padre si ha nella sua condizione di risorto, vertice della sua missione e fondamento di vita nuova ed eterna per quanti credono in Lui. Ma l’unione tra il Figlio e il Padre, come quella tra il Figlio e i credenti, passa attraverso il mistero dell’“innalzamento” di Gesù, secondo una tipica espressione del Vangelo di Giovanni. Col termine “innalzamento” l’evangelista indica sia la crocifissione che la glorificazione di Cristo; ambedue si riflettono sul credente: “Bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in Lui abbia la vita eterna. Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna” (Gv 3,14-16). Questa “vita eterna” altro non è che la partecipazione dei credenti alla vita stessa di Gesù risorto e consiste nell’essere inseriti in quella circolazione d’amore che unisce il Padre e il Figlio, i quali sono una cosa sola (cfr. Gv 10,30; 17,21-22).

L’ira di Dio - Liselotte Mattern: L’Antico Testamento parla molto spesso dell’ira, poiché essa caratterizza proprio il Dio santo e ardente. L’ira non è, tuttavia, un ribollimento iracondo; è ben lontana anche da una passione o un’eccitazione. È piuttosto la reazione alla disubbidienza dell’uomo. Essa non è in contraddizione con la giustizia, ma designa il giusto giudizio di Dio. L’ira è rivolta soprattutto contro Israele. L’elezione del popolo e l’alleanza di Dio con esso non garantiscono a Israele la sicurezza della salvezza, ma lo impegnano alla fedeltà, all’alleanza e all’obbedienza. I profeti mettono continuamente in guardia dalla mormorazione contro la guida di Dio, soprattutto da una caduta nell’idolatria, dalla disubbidienza verso i comandamenti, la quale può esprimersi anche come comportamento ingiusto in campo sociale, economico e politico. Il giorno di JHWH atteso da molti israeliti come giorno di gioia si rivolterà altrimenti, come giorno dell’i., contro il proprio popolo disubbidiente. [...] Per il Nuovo Testamento l’idea dell’ira, è ovvia; essa è la definizione del futuro giudizio di Dio. Non si tratta certo del fatto che nel Nuovo Testamento al posto dell’ira, subentri un amore di Dio “a buon mercato”. Nei Vangeli, tuttavia, il concetto di ira si trova solo raramente. Secondo Giovanni Battista soltanto la conversione può ormai salvare dall’ira imminente. In bocca a Gesù la parola “ira” si trova solo nell’allusione alla distruzione di Gerusalemme in Lc 21,23. Paolo invece parla molto spesso dell’ira. Anche per Paolo ira esprime il giudizio universale. Alla fine del tempo, il giorno dell’ira porta con sé il giusto giudizio su tutti i popoli. Tutta l’umanità vive nell’empietà e nell’ingiustizia e pertanto è sottoposta già oggi al giudizio che viene Soltanto la  fede giustifica e può salvare il cristiano dall’incombente giudizio dell’ira e della distruzione. Secondo Gv 3,36 il non-credente sottostà all’ira, il credente invece possiede già oggi la vita. L’Apocalisse parla con colori sfavillanti della futura ira. Nel giorno della grande ira si berrà dalla coppa del vino dell’ira; sarà il giorno dell’ira dell’agnello (Ap 14,10; 6,16).

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
**** “Chi crede nel Figlio ha la vita eterna; chi non obbedisce al Figlio non vedrà la vita, ma l’ira di Dio rimane su di lui.” (Vangelo).
Questa parola cosa ti suggerisce?
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Preghiamo con la Chiesa: Dio di infinita sapienza, che hai suscitato nella tua Chiesa il vescovo sant’Atanasio, intrepido assertore della divinità del tuo Figlio, fa’ che per la sua intercessione e il suo insegnamento cresciamo sempre nella tua conoscenza e nel tuo amore. Per il nostro Signore Gesù Cristo...