16 Maggio 2019

Giovedì della IV Settimana di Pasqua


Oggi Gesù ci dice: “Chi accoglie colui che manderò, accoglie me.” (Cfr. Vangelo).

Vangelo - Dal Vangelo secondo Giovanni 13,16-20: Le parole di Gesù sono incastonate in una cornice di intimità, di familiarità. Nel brano giovanneo, oltre alla lavanda dei piedi e l’annuncio del tradimento di Giuda, va messo in evidenza il mandato apostolico: come Gesù è stato mandato dal Padre, così egli manda gli Apostoli. Tra Gesù, colui che manda, e gli Apostoli, coloro che sono mandati, si crea una perfetta comunione, una piena identificazione, per cui chi accoglie gli Apostoli accoglie Colui che li manda.

In verità, in verità io vi dico - Henri van de Bussche (Giovanni): Gesù ha appena compiuto il servizio dello schiavo. Se sottolinea l’incompatibilità normale di questo servizio con la sua dignità (cfr. vv. 3-4), è per stimolare gli apostoli a trarne la conclusione logica, che egli esprime servendosi di una costruzione tipicamente ebraica: quanto più voi stessi dovete agire in tal modo!
Questa spiegazione simbolica della lavanda dei piedi ci sta bene. I discepoli dovranno a loro volta aiutarsi scambievolmente, non solo sul suo esempio, ma a motivo di lui. La carità e l’umiltà cristiana non sono fondate, nel Nuovo Testamento, su princìpi di pura morale naturale, di cui l’esempio del Maestro non sarebbe che una dimostrazione, ma sul suo stesso modo di agire. La carità è una virtù specificamente cristiana, perché ha il suo fondamento nella realtà del fatto cristiano e appare nell’amore del Signore spinto fino alla morte. Essa si presenta come la legge fondamentale che regge la vita della comunità cristiana dopo la partenza del Signore, e anche come la fonte della sua sicurezza e della sua costanza quando sarà lasciata a se stessa (13,33-34). Questa comunità avrà la consapevolezza di vivere, mediante la carità, un’esperienza radicalmente nuova, le cui origini non devono essere cercate se non nel Cristo. Per cui, per definire questa carità, sarebbe più esatto parlare di amore fraterno che di amore del prossimo (1 Gv. 3,11-18 23).
L’amore fraterno è così, per essenza, un modo di seguire il Cristo e di seguirlo fino alla morte. È questo che vuole inculcare con una decisione solenne e sotto il sigillo del giuramento - In verità, in verità vi dico - la sentenza in forma di detto sapienziale, di cui anche i sinottici ci hanno trasmesso il testo: il servo non è più grande del suo padrone, né l’apostolo è superiore a chi lo ha mandata.

Colui che mangia il mio pane ha alzato contro di me il suo calcagno, profezia ma anche tanta amarezza. Parole amare, ma anche una esortazione che cerca di aprire gli occhi di tanti cristiani che credendosi furbi sono convinti di poterla fare franca, d’altronde, comunemente si pensa che Dio è misericordia e perdona tutto e tutti. Amarezza…, Giuda, apostolo, responsabile della cassa apostolica, un incarico assai delicato, e da affidare a persone fidate, eppure, lui, Giuda ha alzato il calcagno contro il Figlio dell’Uomo. Si rimane esterrefatti, non  tanto per l’ingratitudine o il tradimento, qualche volta anche noi abbiamo messo i panni di Giuda, ma per il fatto che Giuda, come apostolo e amico di Gesù, aveva visto miracoli strepitosi come la moltiplicazione dei pani così abbondante da sfamare cinquemila uomini, o la risurrezione di Lazzaro, da tre giorni nel sepolcro, e i tanti malati, lebbrosi, paralitici guariti istantaneamente, e i molti posseduti da Satana liberati con parole imperiose, eppure aveva gli occhi annebbiati, perché l’unica luce che teneva acceso il suo sguardo, ma anche il suo cuore e la sua mente, era il denaro. Sì, il denaro, perché, come dice san Giovanni, era ladro. E chi è ladro è un po’ avaro, e chi è avaro vuole guadagnare sempre di più, e così vendendo Gesù pensava di mettere da parte un buon capitale. Riuscì anche a comprarsi un campo, ma finì con il collo tra le spire di una corda. Possiamo tirare alcune somme. È vero siamo un po’ tutti Giuda, ma attenzione a non essere ladri. Come Giuda c’è sempre la possibilità di convertirsi, ma quando si è ladri, essendo schiavi del denaro, la possibilità di convertirsi è assai rara e molto difficile, e la cronaca nera ci fa da maestra. Siamo ladri quando boriosi pensiamo di fare a meno della grazia di Dio, siamo ladri quando ostentiamo come nostra la farina che non è del nostro mulino, siamo ladri quando pensiamo di poter stare sempre in piedi, siamo ladri quando pensiamo di poter fare a meno di tutti, e anche di Dio. Possiamo accumulare fama, onori e medaglie più o meno varie, al valore civile o militare, ma restiamo un po’ Giuda, è la nostra seconda pelle, e sopra tutto ladri, che è il marchio di Satana. E la fine meschina di Giuda dovrebbe servirci da sussidiario: la storia del ladro Giuda viene da sempre rappresentata sul palcoscenico del mondo, un mondo che a volte, o spesso, è giuda e ladro. E come ci suggerisce la sacra Scrittura chi vuol farsi compagno di questo povero mondo si fa nemico di Dio.. Meglio poveri e onesti, meglio poveri e amici di Dio!

Silvano Fausti (Una comunità legge il Vangelo di Giovanni): levò contro di me il suo calcagno. Continua la citazione dal Sal 41,10. Levare il calcagno significa fare lo sgambetto, far cadere. La parola «calcagno» richiama la promessa di Gen 3,15: sarà schiacciata la testa del nemico che insidia il «calcagno» della discendenza di Eva. In realtà la menzogna del serpente antico è vinta da colui che lava i piedi e dà la vita per chi leva contro di lui il calcagno.
La parola «calcagno» ricorda anche il nome di Giacobbe (Israele), che significa «il tallonatore», che sta alle calcagna (Gen 25,26) e «soppianta» Esaù, sottraendogli la primogenitura (Gen 27,36). Il Vangelo di Giovanni dice che Giuda era «ladro» (12,6). Ora suggerisce che, come il padre Giacobbe rubò la primogenitura, così Giuda rubò al Padre l’Unigenito, soppiantando il primogenito di ogni creatura. Giuda è il prototipo dell’uomo peccatore, che il Padre tanto ama da cedere per lui il Figlio (3,16), il quale, a sua volta, si offre a lui nel boccone immerso e dato (cf. v. 26).
Il fatto che il Signore dia da mangiare il suo pane a chi leva contro di lui il calcagno, è il compimento della Scrittura, rivelazione di Dio come amore assoluto per l’uomo. Gesù, dando la vita per Giuda e per quanti in lui si riconoscono, veramente schiaccia la testa del serpente e vince la menzogna che ci allontanò da Dio. Il suo boccone ripara il danno del primo boccone, con il quale satana ci fece lo sgambetto, facendoci decadere dalla no tra condizione di figli.

Dignità e pretese del servo - Felipe F. Ramos: ... il servo non è da più del suo padrone (v. Gv 15,20 e Mt 10,24). Il proverbio è ricordato qui per insegnare che il discepolo non subirà meno persecuzioni che il suo maestro. Probabilmente il proverbio sorse dal silenzio o dalla protesta per le parole di Gesù: fate anche voi come ho fatto io (le pronunziò dopo aver lavato i piedi e furono intese alla lettera). L’aggiunta al proverbio: «né un apostolo è più grande di chi lo ha mandato» ha lo stesso senso, ma aggiunge un aspetto illustrativo sommamente interessante sulla relazione fra Gesù e i suoi discepoli.
Secondo un proverbio antico, un messaggero, un ambasciatore aveva la stessa dignità di colui che lo aveva mandato. Maltrattarlo voleva dire offendere gravemente colui che egli rappresentava; circondarlo d’onori era come onorare colui che rappresentava. Qui (come in Mt 10,40), l’analogia è applicata ai seguaci di Gesù, agli apostoli, che sono inviati da lui, come egli fu inviato dal Padre. Questa immagine di colui che invia e di colui che è inviato ricomparirà al termine di questa breve sezione. Il pensiero è il seguente: sebbene sia certo che l’inviato non è superiore a colui che lo invia, colui che accoglie l’inviato - nel testo, l’intenzione fa chiaro riferimento all’«inviato di Gesù» - accoglie non solo Gesù - che lo ha inviato - ma anche il Padre, che ha inviato Gesù. Si arriva così alla radice ultima di questa missione.
Probabilmente abbiamo qui un riferimento a una frase detta prima (v. 14) circa la necessità di lavarsi i piedi gli uni gli altri. Uno dei modi, forse il più importante, di lavare i piedi è quello di essere inviato ad altri per annunziare loro Cristo, rappresentandolo in mezzo a loro.
Gli insegnamenti erano belli senza dubbio. Gesù aggiunge che la felicità sarà raggiunta solo da chi li mette in pratica. Infatti la conoscenza religiosa è efficace solo quando si traduce in azione: allora, è efficace per colui che la possiede e serve di testimonianza per gli altri.
Giuda fu escluso da questa felicità per il suo tradimento. L’affermazione di Gesù in questa occasione pare contraddire le parole pronunziate in occasione del discorso eucaristico. Allora si diceva (6,70) che Gesù aveva eletto tutti, Giuda compreso, pur sapendo che lo avrebbe tradito. Ora ci è data la spiegazione della elezione di Giuda: perché si adempisse la Scrittura. Il testo al quale si fa riferimento è il salmo 41,9: tradimento da parte d’un amico intimo. Gesù lo annunzia prima che avvenga, affinché quando sarà avvenuto la fede dei suoi discepoli resti rafforzata. Questo aspetto «funzionale» di Giuda mira a mettere in rilievo la conoscenza soprannaturale di Gesù: egli sapeva in anticipo... Giuda è presentato con lo scopo di far risaltare un aspetto cristologico.

In verità, in verità io vi dico: un servo non è più grande del padrone... - Giovanni Paolo II  (Omelia, 6 Maggio 1982): Ha fatto una profonda impressione sugli Apostoli il fatto che Gesù, il loro Maestro, il Messia, prima dell’Ultima Cena abbia lavato i piedi a loro, i suoi discepoli. In quel momento essi hanno immediatamente capito: qui è il centro di tutte le azioni e le parole di Gesù. La sua vita significa servizio, dono di sé; la potenza del Messia è l’amore.
Dai suoi discepoli Gesù aspetta la medesima cosa. Lo abbiamo appena sentito dire nel Vangelo: “... un servo non è più grande del suo padrone, né un apostolo è più grande di chi lo ha mandato” (Gv 13,16). Se egli serve, noi non possiamo essere padroni; se egli ama, noi non possiamo chiuderci; se egli si curva verso gli uomini, non possiamo ritenerci superiori. “Sapendo queste cose, sarete beati se le metterete in pratica” (Gv 13,17). Sì, Gesù ci invita tutti a prendere lui stesso come criterio del nostro vivere e del nostro comportamento, così come lui ha scelto il Padre suo celeste come unico criterio e punto focale della sua vita.
Alla fine del Vangelo odierno egli dice perfino: “Chi accoglie colui che io manderò, accoglie me; chi accoglie me, accoglie colui che mi ha mandato” (Gv 13,20). Si può dire, care guardie, che le molte persone, che voi incontrate nel vostro quotidiano servizio qui in Vaticano, “siano mandate da Gesù”? Se consideriamo questa circostanza abbastanza profondamente con gli occhi della Provvidenza, penso proprio che possiamo intendere così questo fatto. Anche se alcuni si avvicinano ai nostri cancelli e alle nostre porte senza fede e con animo freddo, tuttavia portano in sé almeno delle domande, domande alla chiesa, domande a noi cristiani, domande ai discepoli di Gesù: “sono mandate da Gesù!”. Se voi le accogliete con amore e con attenzione, in esse accogliete dunque Gesù stesso.

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** “In verità, in verità io vi dico: chi accoglie colui che io manderò, accoglie me; chi accoglie me, accoglie colui che mi ha mandato” (Gv 13,20).
Questa parola cosa ti suggerisce?
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Preghiamo con la Chiesa: O Dio, che hai redento l’uomo e lo hai innalzato oltre l’antico splendore, guarda all’opera della tua misericordia, e nei tuoi figli, nati a vita nuova nel Battesimo, custodisci sempre i doni della tua grazia. Per il nostro Signore Gesù Cristo...