4 Aprile 2019

Giovedì della IV Settimana di Quaresima


Oggi Gesù ci dice: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito; chiunque crede in lui ha la vita eterna.” (Cfr. Gv 3,16).

Dal Vangelo secondo Giovanni 5,31-47: L’unità tra il Padre e il Figlio consiste nella assoluta armonia che esiste tra l’attività del Padre e quella del Figlio, il che ovviamente esige radicalmente un’identità di natura. Il mistero delle Persone divine e del loro operare viene esplicitato in relazione alla salvezza: il Figlio, vero Dio e vero Uomo, si trova nel mondo per compiere l’opera del Padre, che è quella di portare agli uomini la salvezza. Il principio di questa comunanza di attività tra il Padre e il Figlio è l’amore: il credente che si fa raggiungere da questo amore riceve il dono immediato della vita e non incorre nel giudizio.

Gesù evoca tre testimoni, Giovanni il Battista mandato da Dio: Egli era la lampada che arde e risplende; i miracoli da lui compiuti: le opere che il Padre mi ha dato da compiere, quelle stesse opere che io sto facendo, testimoniano di me che il Padre mi ha mandato; e infine il Padre: E anche il Padre, che mi ha mandato, ha dato testimonianza di me. La testimonianza  del Padre, più che a un singolo avvenimento (come il battesimo o la trasfigurazione di Gesù) rimanda alla testimonianza  globale della sacra Scrittura: Voi scrutate le Scritture, pensando di avere in esse la vita eterna: sono proprio esse che danno testimonianza di me (cfr. Lc 24,25-27: «[Gesù] Disse loro [ai discepoli di Emmaus]: “Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti! Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?”. E, cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui).
Ma nonostante queste lapalissiane testimonianze, i giudei non credono, non credono colpevolmente per due motivi. Innanzitutto, perché non hanno mai ascoltato la voce del Padre né hanno mai visto il suo volto, e la sua parola non rimane in loro; infatti non credete a colui che egli ha mandato. E infine, perché non hanno in loro l’amore del Padre.
Il paradosso è che i giudei pur scrutando le Scritture, nelle quali pensano di avere la vita eterna, non riescono a cogliere che sono proprio esse che danno testimonianza di Gesù, come Colui che deve venire, il Cristo atteso da Israele.  Alla fine il testimone a carico che accuserà il popolo ebraico non sarà Gesù, ma sarà Mosè nel quale ripongono la loro speranza: «Non crediate che sarò io ad accusarvi davanti al Padre; vi è già chi vi accusa: Mosè, nel quale riponete la vostra speranza. Se infatti credeste a Mosè, credereste anche a me; perché egli ha scritto di me. Ma se non credete ai suoi scritti, come potrete credere alle mie parole?».

I tre testimoni: Silvano Fausti (Una comunità legge il Vangelo di Giovanni): v. 35: egli era la lampada. Giovanni non è la luce (1,8), ma la lampada ravvivata dalla luce che diffonde.
voi non voleste rallegrarvi unora sola alla sua luce. Giovanni suscitò un grande entusiasmo, che subito si spense. La luce della sua testimonianza durò ben poco tra i suoi contemporanei. I figli di Abramo sono ben diversi da lui, che si «rallegrò» alla vista del giorno di Gesù, il Figlio (cf. 8,56): non visse per altro! I suoi figli invece cercano di ucciderlo.
v. 36: io ho la testimonianza più grande di Giovanni. Giovanni, secondo il suo desiderio, «diminuisce», perché lui cresca (cf. 3,30); così anche la sua testimonianza cede il posto ad una più grande.
le opere che il Padre mi ha dato perché le compia. Ciò che si fa, testimonia ciò che si è. Gesù compie le tesse opere del Padre! Suo cibo è fare la sua volontà: in lui, il Figlio, si compie la sua opera a favore degli uomini.
le stesse opere che faccio testimoniano di me, ecc. Queste opere sono i miracoli nei quali Gesù rivela che tanto Dio ha amato il mondo da dare il suo unico Figlio per salvarlo (3,16): rivelano Dio come Padre, lui come Figlio e noi come suoi fratelli amati.
v. 37: il Padre, che mi ha inviato, egli ha testimoniato di me. Dopo aver parlato del Battista e delle proprie opere, Gesù torna alla testimonianza dell’ Altro (v. 32). Il Padre ha testimoniato di lui non solo attraverso le sue opere di Figlio, come ha appena detto. Chi accoglie la Parola, dentro di sé ascolta la voce e vede il volto del Padre, che il Figlio è venuto a mostrarci. Questo avviene perché, se la Parola dimora in noi, il nostro cuore si illumina della sua verità: è la testimonianza interiore dello Spirito,concessa a chi ha in sé l’amore di Dio, che gli fa comprendere la Scrittura (vedi il v. 42). È quell’attrazione interiore del Padre (6,44), che rende l’uomo disponibile ad essere «teodidatta», discepolo di Dio (6,45). Secondo una tradizione ebraica, un israelita, prima di nascere, conosce già tutta la Bibbia a memoria e i suoi misteri gli sono chiari. Ma alla nascita un angelo, con una pressione sulla fossetta del mento, gli fa dimenticare tutto, perché abbia la gioia e il merito di riscoprirlo attraverso la Parola. C’è infatti nell’uomo una conoscenza e un amore virtuale della verità, che si risveglia all’ascolto della Parola: appena la sente, riconosce che lì sta di casa.
La stessa testimonianza degli uomini e della Scrittura è accolta come vera perché cade su un terreno fecondo: un cuore di figlio, che è nostalgia del Padre. Alla Parola esteriore sempre si accompagna un’attrazione interiore, che ci fa scoprire in essa la nostra verità nascosta.
né la voce mai avete udito, ecc. Quando fu data la legge, il popolo vide la gloria e udì la voce del Signore (Dt 5,24). Gesù rimprovera i suoi accusatori di non essere aperti alla rivelazione che è stata loro conce a. Si sono fermati alla parola, senza sentire a guardare chi parla. È una forma di autismo spirituale: chi guarda alla parola senza entrare in comunione con colui che parla, nega il senso primo della parola stessa.

Le Scritture - Mario Galizzi (Vangelo secondo Giovanni): Israele ha udito la voce di Dio il giorno del Sinai (Es cc. 19-20). Israele sempre l’ascolta, quando si proclamano le Scritture. C’è però il fatto che questa parola, in alcuni almeno dei contemporanei di Gesù, non si è radicata in essi (5,38), non l’hanno veramente accolta. Possono essere, come Nicodemo, maestri d’Israele, ma di fatto ignorano dove la parola di Dio li vuole portare. La loro indagine è attenta, rigorosa, amorosa, perché essi pensano di avere nelle Scritture o per mezzo di esse la vita eterna (5,39). Non le hanno mai comprese come un cammino verso colui che, accolto, dà la vita a chi vuole (5,21). Le hanno assolutizzate.
Come l’acqua del pozzo di Giacobbe, come quella della piscina di Betzatà, così le Scritture non sono la sorgente della vita, ma conducono verso colui che è, con il Padre, la Sorgente. È quanto vuole insegnare Gesù quando dice: «Le Scritture danno testimonianza di me, ma voi non volete venire a me per avere la vita» (5,39-40). Perché avviene ciò? Quali ostacoli ci possono essere in una persona per credere in Gesù e avere la vita? Gesù lo sa e con coraggio lo dice ai suoi interlocutori, e oggi a noi.

Cristo completa la Rivelazione Dei Verbum 4: Dopo aver a più riprese e in più modi, parlato per mezzo dei profeti, Dio « alla fine, nei giorni nostri, ha parlato a noi per mezzo del Figlio» (Eb 1,1-2). Mandò infatti suo Figlio, cioè il Verbo eterno, che illumina tutti gli uomini, affinché dimorasse tra gli uomini e spiegasse loro i segreti di Dio (cfr. Gv 1,1-18). Gesù Cristo dunque, Verbo fatto carne, mandato come «uomo agli uomini», «parla le parole di Dio» (Gv 3,34) e porta a compimento l’opera di salvezza affidatagli dal Padre (cfr. Gv 5,36; 17,4). Perciò egli, vedendo il quale si vede anche il Padre (cfr. Gv 14,9), col fatto stesso della sua presenza e con la manifestazione che fa di sé con le parole e con le opere, con i segni e con i miracoli, e specialmente con la sua morte e la sua risurrezione di tra i morti, e infine con l’invio dello Spirito di verità, compie e completa la Rivelazione e la corrobora con la testimonianza divina, che cioè Dio è con noi per liberarci dalle tenebre del peccato e della morte e risuscitarci per la vita eterna. L’economia cristiana dunque, in quanto è l’Alleanza nuova e definitiva, non passerà mai, e non è da aspettarsi alcun’altra Rivelazione pubblica prima della manifestazione gloriosa del Signore nostro Gesù Cristo (cfr. 1Tm 6,14 e Tt 2,13).

Il Padre - Catechismo degli Adulti 328: Gesù, pur nella continuità con lAntico Testamento, ci dà unimmagine di Dio assolutamente nuova. Egli solo conosce il Padre nella sua identità più vera; egli solo lo può rivelare. Lo scopo supremo della sua missione è far conoscere agli uomini il suo nome, glorificarlo.
329 Attraverso di lui il Padre si manifesta come amore senza limiti. Ama non solo i giusti, i sofferenti e gli oppressi, ma anche i peccatori, gli oppressori e i bestemmiatori, perfino i crocifissori del suo Figlio. Li ama così come sono. Prende su di sé il peso dei loro peccati. Dà quanto ha di più caro, per salvarli: «Dio dimostra il suo amore verso di noi perché, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi» (Rm 5,8).
330 Gesù stesso riceve tutto dal Padre, anche ciò che gli appartiene più intimamente, le opere che compie, l’amore per i fratelli, la vita stessa: «Chi ha visto me ha visto il Padre... Le parole che io vi dico, non le dico da me; ma il Padre che è con me compie le sue opere. Credetemi: io sono nel Padre e il Padre è in me» (Gv 14,9-11). Il Figlio viene dal Padre e va al Padre; e tutto in lui viene dal Padre come dono e torna incessantemente al Padre come lode, gratitudine o obbedienza. Chi accoglie Gesù partecipa alla sua vita filiale e riceve in sé lo Spirito che gli fa gridare: «Abbà, Padre!» (Rm 8,15). Allora conosce Dio in modo nuovo.
331 Il nome “Padre”, attribuito a Dio già nell’Antico Testamento, assume un significato ben più profondo, per il fatto che Dio si rivela nel Figlio unigenito e comunica agli uomini lo Spirito del suo Figlio. Con questo nuovo significato diventa il nome definitivo: «Il nome che conviene propriamente a Dio è quello di “Padre” piuttosto che di “Dio”... Dire “Dio” significa indicare il dominatore di tutte le cose; dire “Padre” significa invece raggiungere una proprietà intima... “Padre” è dunque in certo modo il nome più vero di Dio, il suo nome proprio per eccellenza».
332 Il termine “Padre” è analogico; indica il principio da cui il Figlio riceve tutto ciò che è e fa. In realtà Dio si colloca al di là delle differenze di sesso e riunisce in sé i valori della paternità e della maternità. È il Padre materno, autorità che responsabilizza e tenerezza accogliente. È comunque un soggetto personale, che pone davanti a sé altre persone e non un tutto indefinito, immergendosi nel quale ognuno perde la propria identità.

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
**** «Le Scritture danno testimonianza di me, ma voi non volete venire a me per avere la vita» (5,39-40).
Questa parola cosa ti suggerisce?
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Preghiamo con la Chiesa: O Padre, che ci hai dato la grazia di purificarci con la penitenza e di santificarci con le opere di carità fraterna, fa’ che camminiamo fedelmente nella via dei tuoi precetti, per giungere rinnovati alle feste pasquali. Per il nostro Signore Gesù Cristo...