17 Aprile 2019

Mercoledì della Settimana Santa

Oggi Gesù ci dice: “Uno di voi mi tradirà... Non canterà il gallo, prima che tu non m’abbia rinnegato tre volte.” (Vangelo).  

Vangelo - Dal vangelo Mt 26,14-25: Gesù celebra la Pasqua con i suoi amici, e nell’ombra già si staglia imperiosa la croce sulla quale sarà inchiodato per la salvezza del mondo. Giuda ha spalancato irreversibilmente il suo cuore a Satana, in lui non vi resipiscenza, ha deciso di consegnare il Maestro ai sinedriti. Soltanto Matteo precisa la somma che Giuda riceve per la consegna di Gesù. Il tempo è vicino, tutto è compiuto, e la vittima è pronta per essere offerta sull’altare dell’amore, gradita e piacevole a Dio.

Quando volete darmi perché io ve lo consegni: Benedetto Prete (I Quattro Vangeli): Matteo riprende il racconto della passione interrotto da quello dell’unzione di Betania (26,6-13). Probabilmente si è ancora nel mercoledì dell’ultima settimana di Gesù. Giuda Iscariota andò dai gran sacerdoti; gli evangelisti non c’indicano le cause di questo tradimento, che schiude improvvisamente allo sguardo l’abisso nel quale è caduto un apostolo. Il fatto di Betania è un piccolo indizio del pervertimento di Giuda, ma non è sufficiente a spiegare l’atto del traditore. Giuda costituisce un mistero storico; egli, per giungere a tradire Cristo, doveva aver provato una forma di disinganno totale su l’insegnamento, su l’opera e su la persona del Maestro. Ed essi gli fissarono trenta (sicli) d’argento; Zaccaria, 11,12, di cui Matteo ha qui presente il passo, ha: gli pesarono trenta (sicli) d’argento (cf. Mt., 27,3 segg.); gli fissarono è equivalente di: gli promisero, come hanno Marco e Luca. Trenta sicli d’argento, non già trenta denari (come si dice correntemente) fu la somma pattuita ed equivaleva a 120 denari. Venne spontaneo ai gran sacerdoti d’indicare quella somma, poiché secondo la Legge (cf. Esodo, 21,32) essa costituiva il prezzo di uno schiavo. Alcuni codici hanno: (trenta) stateri (cf. Mt., 17,24).

Il tradimento di Giuda - Papa Francesco (Udienza Generale, 16 Aprile 2014): Oggi, a metà della Settimana Santa, la liturgia ci presenta un episodio triste: il racconto del tradimento di Giuda, che si reca dai capi del Sinedrio per mercanteggiare e consegnare ad essi il suo Maestro. «Quanto mi date se io ve lo consegno?». Gesù in quel momento ha un prezzo. Questo atto drammatico segna l’inizio della Passione di Cristo, un percorso doloroso che Egli sceglie con assoluta libertà. Lo dice chiaramente Lui stesso: «Io do la mia vita... Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo» (Gv 10,17-18). E così, con questo tradimento, incomincia quella via dell’umiliazione, della spogliazione di Gesù. Come se fosse nel mercato: questo costa trenta denari... Una volta intrapresa la via dell’umiliazione e della spogliazione, Gesù la percorre fino in fondo.

Il primo giorno degli Ázzimi - Wolfgang Trilling (Vangelo secondo Matteo): È la vigilia della festa. La domanda sul luogo in cui trascorrerli viene dai discepoli che sentono la responsabilità di trovare una sala dove si possa celebrare la Pasqua secondo le prescrizioni della leggi. Gesù forma con loro una famiglia e viene interrogato dai suoi con padre di famiglia. Egli celebrerà con loro la Pasqua, come ogni padre di famiglia in Israele la celebra con i familiari, i servi e le serve di casa. La sua però è una famiglia di libera elezione e vocazione.
Rimane sconosciuto l'uomo che metterà a disposizione la sala (cf. però Mc 14,13); il suo nome, le circostanze esterne, il modo in cui viene trovata la sala, non interessano l'evangelista Matteo. Tuttavia l'ordine dato da Gesù è determinato e pieno di maestà, come quando chiese di provvedere la cavalcatura per il suo ingresso in Gerusalemme (21,1-3). La breve frase: Il mio tempo è vicino, rende ciò palese; non il tempo della cena pasquale, ma il suo tempo.
La cena di Pasqua raduna tutte le famiglie israelite nella loro casi, ma questa cena dev'essere consumata da Gesù solo con i dodici, in casa d'altri e senza estranei. Perché «il mio tempo», non è sempre, ma solo ora. È il tempo di un evento unico e irripetibile. Il tempo lo ha prestabilito il Padre; ma Gesù sa che è ormai vicino e agisce in conformità alla legge di quest'ora, in anticipo. Viene trovato il luogo e si fanno tutti i preparativi: la preparazione della sala e della mensa, l'acquisto dell'agnello e dei vari cibi e bevande. Nella scena della moltiplicazione dei pani nel deserto Gesù aveva incaricato i discepoli di far accomodare la gente e poi di distribuire il pane e i pesci; anche ora è lui che dà l'incarico di apprestare tutto. La scuola ai discepoli continua fino all'ultimo minuto. In tutto egli è il Maestro e il Signore; a lui essi ubbidiscono.

Rabbì, sono forse io? - Claude Tassin (Vangelo di Matteo): La cena è cominciata. Gesù preannuncia di nuovo: « Uno di voi mi tradirà » (v. 21 ). Si pensa che il clamore della tavolata permetta a ciascuno di sussurrare la domanda: «Sono forse io, Signore?» (v. 22). La tristezza li invade, poiché la predizione rivela la fragilità del loro attaccamento al Signore.
Gesù insiste (v. 23). Il tradizionale recipiente di acqua salata è posto sulla tavola e ognuno vi intinge le erbe secondo il rito. Quest'intimità di mensa, un amico (cfr. 26,50) sta per tradirla, tradimento profeticamente annunciato da un antico salmista (Sal 41,10). Al turbamento dei discepoli si contrappone la determinazione del Figlio dell'uomo (v. 24): il fatto che egli sia consegnato rientra nel piano divino annunciato dalle Scritture, cosa che non diminuisce la responsabilità del traditore il cui destino è decisamente miserevole e che si vede ormai smascherato.
In disparte senza dubbio, Giuda si rivolge a sua volta a Gesù: «Sono forse io, Rabbi?» (v. 25). Gli altri interro­gavano il loro Signore, mentre questi non è per Giuda che un rabbi tra gli altri. «Tu l'hai detto!», conclude Gesù, accettando che tutto avvenga come egli ha predetto. Tuttavia l'ultimo passo non è ancora compiuto; Giuda potrebbe ancora pentirsi.
Tradire il Cristo costituisce una minaccia per ogni discepolo; ma finché quest'ultimo si appella con fede al suo Signore, non è un traditore e non deve turbarsi per la defezione dei propri fratelli; ecco in verità il messaggio di questa scena che non si preoccupa di far sapere che Giuda si è allontanato e ha raggiunto i cospiratori.

Perché Giuda tradì Gesù? - Benedetto XVI (Udienza Generale, 18 Ottobre 2006): La questione è oggetto di varie ipotesi. Alcuni ricorrono al fattore della sua cupidigia di danaro; altri sostengono una spiegazione di ordine messianico: Giuda sarebbe stato deluso nel vedere che Gesù non inseriva nel suo programma la liberazione politico-militare del proprio Paese. In realtà, i testi evangelici insistono su un altro aspetto: Giovanni dice espressamente che “il diavolo aveva messo in cuore a Giuda Iscariota, figlio di Simone, di tradirlo” [Gv 13,2]; analogamente scrive Luca: “Allora satana entrò in Giuda, detto Iscariota, che era nel numero dei Dodici” [Lc 22,3]. In questo modo, si va oltre le motivazioni storiche e si spiega la vicenda in base alla responsabilità personale di Giuda, il quale cedette miseramente ad una tentazione del Maligno. Il tradimento di Giuda rimane, in ogni caso, un mistero. Gesù lo ha trattato da amico [cfr. Mt 26,50], però, nei suoi inviti a seguirlo sulla via delle beatitudini, non forzava le volontà né le premuniva dalle tentazioni di Satana, rispettando la libertà umana. In effetti, le possibilità di perversione del cuore umano sono davvero molte. L’unico modo di ovviare ad esse consiste nel non coltivare una visione delle cose soltanto individualistica, autonoma, ma al contrario nel mettersi sempre di nuovo dalla parte di Gesù, assumendo il suo punto di vista. Dobbiamo cercare, giorno per giorno, di fare piena comunione con Lui. Ricordiamoci che anche Pietro voleva opporsi a lui e a ciò che lo aspettava a Gerusalemme, ma ne ricevette un rimprovero fortissimo: “Tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini” [Mc 8,32-33]! Pietro, dopo la sua caduta, si è pentito ed ha trovato perdono e grazia. Anche Giuda si è pentito, ma il suo pentimento è degenerato in disperazione e così è divenuto autodistruzione. E’ per noi un invito a tener sempre presente quanto dice san Benedetto alla fine del fondamentale capitolo V della sua “Regola”: “Non disperare mai della misericordia divina”. In realtà Dio “è più grande del nostro cuore”, come dice san Giovanni [1Gv 3,20]. Teniamo quindi presenti due cose. La prima: Gesù rispetta la nostra libertà. La seconda: Gesù aspetta la nostra disponibilità al pentimento ed alla conversione; è ricco di misericordia e di perdono. Del resto, quando, pensiamo al ruolo negativo svolto da Giuda dobbiamo inserirlo nella superiore conduzione degli eventi da parte di Dio. Il suo tradimento ha condotto alla morte di Gesù, il quale trasformò questo tremendo supplizio in spazio di amore salvifico e in consegna di sé al Padre [cfr. Gal 2,20; Ef 5,2.25]. Il Verbo “tradire” è la versione di una parola greca che significa “consegnare”. Talvolta il suo soggetto è addirittura Dio in persona: è stato lui che per amore “consegnò” Gesù per tutti noi [cfr. Rm 8,32]. Nel suo misterioso progetto salvifico, Dio assume il gesto inescusabile di Giuda come occasione del dono totale del Figlio per la redenzione del mondo».

Abbiamo bisogno del suo perdono: Giovanni Paolo II (Udienza Generale, 31 Marzo 1999): La Settimana Santa ci conduce a meditare sul senso della Croce, in cui “la rivelazione dell’amore misericordioso di Dio raggiunge il suo culmine” (cfr. Dives in Misericordia, 8). In maniera tutta particolare, ci stimola a tale riflessione il tema di questo terzo anno di immediata preparazione al Grande Giubileo del Duemila, dedicato al Padre. Ci ha salvati la sua infinita misericordia. Egli, per redimere l’umanità, ha liberamente donato il suo Figlio Unigenito. Come non ringraziarlo? La storia è illuminata e guidata dall’evento incomparabile della redenzione: Dio, ricco di misericordia, ha effuso su ogni essere umano la sua infinita bontà, per mezzo del sacrificio di Cristo. Come manifestare in modo adeguato la nostra riconoscenza? La liturgia di questi giorni, se da un lato ci fa elevare al Signore, vincitore della morte, un inno di ringraziamento, ci chiede, al tempo stesso, di eliminare dalla nostra vita tutto ciò che ci impedisce di conformarci a lui. Contempliamo Cristo nella fede e ripercorriamo le tappe decisive della salvezza da lui operata. Ci riconosciamo peccatori e confessiamo la nostra ingratitudine, la nostra infedeltà e la nostra indifferenza di fronte al suo amore. Abbiamo bisogno del suo perdono che ci purifichi e ci sostenga nell’impegno di interiore conversione e di perseverante rinnovamento dello spirito.

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** Ci riconosciamo peccatori e confessiamo la nostra ingratitudine, la nostra infedeltà e la nostra indifferenza di fronte al suo amore. Abbiamo bisogno del suo perdono che ci purifichi e ci sostenga nell’impegno di interiore conversione e di perseverante rinnovamento dello spirito.
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Preghiamo con la Chiesa: Padre misericordioso, tu hai voluto che il Cristo tuo Figlio subisse per noi il supplizio della croce per liberarci dal potere del nemico; donaci di giungere alla gloria della risurrezione. Per il nostro Signore...