29 Marzo 2019 

Venerdì Terza Settimana di Quaresima


Oggi Gesù ci dice: “Convertitevi perché il regno dei cieli è vicino.” (Mt 4,17).


Vangelo - Dal Vangelo secondo Marco 12,28b-34: Gesù fonde due comandamenti che sono il cuore del messaggio evangelico. Il primo, “Ascolta, Israele! Il Signore nostro Dio è l’unico Signore; amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza”, è già testimoniato nell’Antico testamento, ed era il fondamento della fede del popolo d’Israele, il secondo, “Amerai il tuo prossimo come te stesso”, nell’insegnamento di Gesù, supera il nazionalismo ebraico.
Vi erano delle leggi che suggerivano al popolo eletto di amare lo straniero, o di aiutare, in caso di necessità, il nemico, ma non si spingevano oltre e spesso erano disattese. Gesù apre i confini dell’amore per raggiungere tutta l’umanità, e a ricordarlo saranno le sue braccia spalancate sulla Croce, come se volessero abbracciare l’universo intero. L’insegnamento di Gesù sarà annunciato dagli Apostoli, e da tutti i credenti slanciati nella evangelizzazione del mondo. Nel Nuovo Testamento l’amore avrà i bei colori dell’agape (in latino caritas). A “differenza dell’amore passionale ed egoistico, la carità [agape] è un amore di dilezione che vuole il bene altrui” (Bibbia di Gerusalemme); la caritas è l’amore fraterno, gratuito, disinteressato, e allo stesso tempo è l’amore infinito e paziente di Dio nei confronti dell’umanità. Per l’apostolo Paolo la carità è tra “i carismi più grandi è la via più sublime”: “La carità è magnanima, benevola è la carità; non è invidiosa, non si vanta, non si gonfia d’orgoglio, non manca di rispetto, non cerca il proprio interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia ma si rallegra della verità. Tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. La carità non avrà mai fine” (1Cor 4-8).

In quel tempo, si avvicinò a Gesù uno degli scribi e gli domandò: «Qual è il primo di tutti i comandamenti?» - Giuseppe Barbaglio: Nel Nuovo Testamento s’impone subito all’attenzione nostra un detto di Gesù che, rispondendo alla domanda di un rabbino circa il comandamento più importante, anzitutto riporta letteralmente dal libro del Deuteronomio il comandamento dell’amore totale di Dio, ma poi aggiunge la citazione del comandamento dell’amore del prossimo di Lv 19,18 (cf. Mt 22,34-40; Mc 12,28-34; Lc 10,25-28). La conclusione del dialogo appare diversa nei tre sinottici: Luca esorta alla pratica dei due comandamenti necessaria per la vita eterna (10,28). Marco fa sussumere il rabbino che mostra il suo accordo con la risposta di Gesù e ne riceve un lusinghiero encomio (12,32-34). Matteo invece riporta il seguente detto conclusivo di Gesù: «Da questi due comandamenti dipende tutta la Legge e i Profeti» (22,40).
Già nell’Antico Testamento era presente la problematica del comandamento più importante. Nello schema della conclusione dell’alleanza era prevista la proclamazione della stipulazione fondamentale che precedeva l’elenco delle condizioni secondarie. Nel Deuteronomio  il comandamento dell’amore di Dio era inteso appunto come stipulazione principale. Gesù dunque nella prima parte della sua risposta non fa che ripetere un luogo tradizionale. Più originale invece si mostra nell’abbinare il comandamento dell’amore del prossimo.
Infatti, è vero che nel giudaismo questa prescrizione del Levitico era intesa come sintesi di tutta la legge e che non erano mancate voci che avevano accostato i due comandamenti. Ma prima di Gesù nessuno li aveva equiparati con tanta chiarezza e forza.
Ma che cosa significa di fatto parlare del comandamento più grande? Vuol dire che le esigenze divine sono ricondotte ad unità. Cristo è venuto come portavoce autorizzato della parola definitiva del Padre all’umanità: parola che, a suo giudizio, ruota attorno al perno dell’amore di Dio è dell’amore del prossimo, Il confronto di chi si apre nella fede alla prospettiva del regno annunciato da Cristo non avviene sulla base di numerose prescrizioni e proibizioni, ma in rapporto a un atteggiamento fondamentale capace di dare coesione alla vita religiosa ed etica della persona.

L’amore come scelta e come dono - Giovanni Cereti: L’amore attinge il suo vertice quando l’uomo, per dono dall’alto, giunge a orientare tutta la propria vita a Dio. Sotto l’azione della grazia, l’uomo che vive nell’amore compie una scelta fondamentale per Dio, e l’approfondisce continuamente. In questo senso l’amore, l’unico amore a Dio e al prossimo, costituisce anche l’anima, la “forma” di tutte le virtù morali, che senza di esso perderebbero ogni valore (1Cor 13,1-1), Esso non costituisce una dimensione a parte nella nostra vita; non esiste una separazione fra un mondo sacro, il mondo del culto e del rapporto con Dio, e un mondo profano, che sarebbe quello dell’esistenza quotidiana. Dio è amato in ogni forma di amore autentico, e in ogni istante e circostanza della nostra vita.
L’amore costituisce così la grande forza di umanizzazione del mondo, la grande energia volta a creare quella pienezza di comunione fra Dio e gli uomini e degli uomini fra loro e con il cosmo, alla quale tende il progetto di Dio per la creazione e per l’umanità. Tutta l’opera di educazione deve essere considerata un’educazione all’amore. L’uomo non nasce infatti già capace di amare. La capacità di amare, sul piano naturale, è il frutto di un processo di graduale maturazione. E nel cammino verso l’amore non si può mai dire di essere giunti al termine. Tutta l’esistenza terrena può essere letta come un grande apprendistato dell’amore, non solo per i singoli, ma per l’intera umanità. La pienezza dell’amore si raggiungerà solo alla conclusione del cammino. L’amore è infatti l’unica realtà della nostra esperienza terrena che secondo la fede cristiana ci accom­pagnerà, trasfigurata, nel mondo nuovo (1Cor 13,8).

La carità contenuto fondamentale della rivelazione - Gianni Colzani: La carità non va vista solo sotto il profilo della prassi, ma anche sotto quello della fede: non è solo un agire trasformante, ma è anche Rivela­zione di Dio e della sua opera salvifica. Non è solo il centro dell’esperienza cristiana, ma anche della Rivelazione di Dio. È Gesù, con la sua morte e risurrezione, a dare volto alla carità: il suo contenuto è quella comunione di vita con il Padre da cui scaturisce il dono di sé ai fratelli. La comunione con il Padre si fa vita nell’attenzione prestata ai piccoli e ai poveri, agli emarginati e ai peccatori: esige un vivere per l’altro fino ad annullare ogni distanza da lui. Attraverso la carità “l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato” (Rm 5,5). La carità, quindi, e innanzitutto il contenuto fondamentale della Rivelazione. Il criterio per conoscere Dio non è il creato, ma il Vangelo del Regno e della Pasqua, il Vangelo della carità. E la vita di Cristo a rivelarci che la carità è, insieme, singolare prossimità di Dio agli uomini e sua radicale diversità da noi. Nella carità di Gesù, infatti, non è Dio a essere a misura dei nostri bisogni, ma siamo noi a essere a misura della sua volontà di comunione; nella carità di Gesù la trascendenza di Dio è tanto vicina da assumere la nostra finitezza senza che mai, per questo, egli diventi a nostra misura. Alla luce dell’Incarnazione la nostra umanità scopre di avere nel Padre il proprio senso ultimo. Di questa singolare rivelazione della carità divina Gesù è il volto concreto: in lui la carità divina coincide con la libertà di un’esistenza che si fa dono trovandovi la sua pienezza. Questo è il Vangelo di Gesù: poiché il Padre non vive per sé ma donandosi, abbiamo qui ormai la svolta della storia, la svolta del mondo.
Dono di Dio, la carità investe l’uomo di qualcosa che non proviene da lui: attorno alla carità nasce l’uomo nuovo che rende vecchi e superati tutti i precedenti modi di esistere. Ormai solo nella condivisione della carità di­vina, solo in forza della grazia, l’uomo giungerà a realizzare se stesso: da una parte ciò che gli è necessario non gli appartiene ma lo può solo accogliere, dall’altra ciò che gli è donato si inserisce così profondamente in lui da condurlo a pienezza e verità. Di conseguenza, là dove l’uomo si rifiutasse a quella carità che chiarifica e illumina la sua persona, si incamminerebbe inevitabilmente verso l’idolatria, verso la dissoluzione della sua identità di creatura e di figlio di Dio. Sta qui, nella profonda correlazione tra amore divino e struttura umana, il paradosso cristiano della persona.

Deus caritas est 1: «Dio è amore; chi sta nell’amore dimora in Dio e Dio dimora in lui » (1Gv 4,16). Queste parole della Prima Lettera di Giovanni esprimono con singolare chiarezza il centro della fede cristiana: l’immagine cristiana di Dio e anche la conseguente immagine dell’uomo e del suo cammino. Inoltre, in questo stesso versetto, Giovanni ci offre per così dire una formula sintetica dell’esistenza cristiana: «Noi abbiamo riconosciuto l’amore che Dio ha per noi e vi abbiamo creduto».
Abbiamo creduto all’amore di Dio - così il cristiano può esprimere la scelta fondamentale della sua vita. All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva. Nel suo Vangelo Giovanni aveva espresso quest’avvenimento con le seguenti parole: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui ... abbia la vita eterna» (3,16). Con la centralità dell’amore, la fede cristiana ha accolto quello che era il nucleo della fede d’Israele e al contempo ha dato a questo nucleo una nuova profondità e ampiezza. L’Israelita credente, infatti, prega ogni giorno con le parole del Libro del Deuteronomio, nelle quali egli sa che è racchiuso il centro della sua esistenza: «Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo. Tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze» (6,4-5). Gesù ha unito, facendone un unico precetto, il comandamento dell’amore di Dio con quello dell’amore del prossimo, contenuto nel Libro del Levitico: «Amerai il tuo prossimo come te stesso» (19,18; cfr Mc 12,29-31). Siccome Dio ci ha amati per primo (cfr 1Gv 4,10), l’amore adesso non è più solo un «comandamento », ma è la risposta al dono dell’amore, col quale Dio ci viene incontro.
In un mondo in cui al nome di Dio viene a volte collegata la vendetta o perfino il dovere dell’odio e della violenza, questo è un messaggio di grande attualità e di significato molto concreto.
 
La carità nella vita del cristiano - Giovanni Moioli (L’esperienza spirituale): Non si tratta semplicemente di essere uomini per gli altri, ma di essere per gli altri come Cristo. A queste condizioni la carità, cioè il dono di se stessi, diventa un gesto sintetico di tutto il Vangelo. Infatti, non è possibile realizzare il Vangelo senza essere spinti a quel modo di interpretare la vita che è il modo della donazione e della donazione come Cristo. Dunque, l’uomo “nuovo” è colui al quale è comandato di amare come Cristo e questo perché prima gli è stato fatto il dono dell’amore di Cristo. In principio non sta il comandamento, ma la carità che diventa la legge del cristiano. Legge e grazia, per quanto antinomiche tra loro, possono coincidere. Infatti, la legge del cristiano è la carità e questo perché, prima di tutto, non c’è il comandamento, ma il dono.
L’interpretazione del dinamismo dell’uomo spirituale nella dialettica tra l’“antico” e il “nuovo” si esprime, nel riferimento alla carità, principalmente come tensione tra amori, come contrasto tra amori, tra maniere ostili di amare: lo stile dell’agape, che è quello di Cristo e di chi come Cristo vive nella stessa dimensione di gratuità, di amicizia e di dono, e la dimensione ad esso contraria. Giovanni, nel terzo capitolo della sua prima lettera, lo esprime con il contrasto tra Caino e Abele: due tipi fondamentali di uomo che ognuno di noi sperimenta continuamente dentro di sé. Come ben sappiamo, la carità non dimora in noi. In noi dimora la legge antica. La legge nuova, che si scrive nel cuore non a colpi di pietra come la legge antica, ma rinnovando il cuore, è precisamente il dono della carità.

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
**** L’amore attinge il suo vertice quando l’uomo, per dono dall’alto, giunge a orientare tutta la propria vita a Dio.
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Preghiamo con la Chiesa: Padre santo e misericordioso, infondi la tua grazia nei nostri cuori, perché possiamo salvarci dagli sbandamenti umani e restare fedeli alla tua parola di vita eterna. Per il nostro Signore Gesù Cristo...