30 Marzo 2019

Sabato Terza Settimana di Quaresima

Oggi Gesù ci dice: “Oggi non indurite il vostro cuore, ma ascoltate la voce del Signore.” (Cfr. Sal 94,8ab - Acclamazione al Vangelo)

Vangelo - Dal Vangelo secondo Luca 18,9-14: Per ben comprendere la parabola del fariseo e del pubblicano bisogna ricordare innanzitutto il rimprovero che Gesù muove ai farisei: “Voi siete quelli che si ritengono giusti davanti agli uomini, ma Dio conosce i vostri cuori: ciò che fra gli uomini viene esaltato, davanti a Dio è cosa abominevole” (Lc 16,15). Questo ci fa conoscere il loro vero DNA: avidi, ipocriti, amanti di lodi e onori umani, professionisti nel cavillare, guide cieche, sepolcri imbiancati (cfr. Mt 23,13-32).
Naturalmente tale descrizione non è l’abito di tutta la congrega dei farisei, tra essi ve ne erano di “buoni”, per esempio Nicodemo o Giuseppe d’Arimatea, i quali si dichiareranno a favore di Cristo.
E infine si deve fare memoria dell’insegnamento di Gesù sulla pratica della giustizia: “State attenti a non praticare la vostra giustizia davanti agli uomini per essere ammirati da loro, altrimenti non c’è ricompensa per voi presso il Padre vostro che è nei cieli” (Mt 6,1).
Possiamo dire che i protagonisti della parabola: sono l’orgoglio e l’umiltà. L’orgoglio del fariseo nasce dal credersi giusto: è consapevole di far parte di un popolo santo, eletto dalla misericordia di Dio, e poiché corrisponde con assoluta fedeltà a tutte le norme e leggi contenute nella Torah sa bene tenere in ordine il dare e l’avere. In questo modo il fariseo non si dichiara figlio, ma salariato, e siccome è scrupoloso osservante della Legge, pretende, come corrispettivo, l’amicizia, l’amore e il perdono di Dio per tutte le sue malefatte. L’umiltà del pubblicano nasce invece dalla povertà del peccato, ma ha un punto a favore. Confessando i suoi peccati sa che non ha nulla da offrire a Dio, sa che tutto è grazia, ha bene compreso che Dio vuole “l’amore e non il sacrificio, la conoscenza di Dio più degli olocàusti” (cfr. I Lettura). Il pubblicano ha compreso, a differenza del fariseo, che è perdonato non per le opere da lui compiute, ma esclusivamente dall’amore misericordioso Dio, il quale, come sua eterna abitudine, volge lo sguardo sull’umile e su chi ha lo spirito contrito (Is 66,2).

Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato - Giovanni Cereti: È il termine con cui si indica la salvezza dell’uomo peccatore operata per grazia da Dio in Gesù Cristo: Iddio “ci rende giusti” ci “fa suoi figli adottivi , riconciliati con lui, resi liberi dal peccato per servire e amare. Questo concetto si fonda sul Nuovo Testamento, in particolare sulle Lettere di Paolo ai Galati e ai Romani. A coloro che pensano che la salvezza sia meritata dall’osservanza delle opere della Torà, Paolo oppone che Dio ci salva gratuitamente, comunicandoci la propria santità.
Tale salvezza si compie in virtù della croce di Gesù, del suo sangue, e cioè in virtù del dono che Gesù ha compiuto offrendosi per amore al Padre. Il compito dell’uomo è quello di aprirsi e di abbandonarsi nella fede all’azione gratuita di giustificazione e di salvezza di Dio. Se Paolo insiste sul fatto che siamo salvati per grazia mediante la fede e non per le opere che compiamo, la Lettera di Giacomo ci ricorda che la fede fiorisce nelle opere e che quindi esse costituiscono la prova di una fede viva e autentica. La convinzione che Dio ci rende giusti con la sua grazia che dà origine a un nuovo rapporto dell’uomo con Dio ha sempre costituito un punto fondamentale della concezione cristiana

L’opera di Dio negli umili - M-F. Lacan: Dio guarda gli umili e si china verso di essi (Sal 138,6; 113,6 s); infatti, non gloriandosi che della loro debolezza (2Cor 12,9), essi si aprono alla potenza della sua grazia che, in essi, non è sterile (1Cor 15,10). Non soltanto l’umile ottiene il perdono dei suoi peccati (Lc 18,14), ma la sapienza dell’onnipotente ama manifestarsi per mezzo degli umili che il mondo disprezza (1Cor 1,25.28 s). Quale umiltà in colui che il Signore manda a preparargli la via e che desidera solo scomparire (Gv 1,27; 3,28ss). Di una umile vergine, che non vuole essere che la sua ancella, Dio fa la madre del suo Figlio, nostro Signore (Lc 1,38.43).
Colui che si umilia nella prova sotto la mano onnipotente del Dio di ogni grazia e partecipa agli abbassamenti di Cristo crocifisso, sarà, al pari di Gesù, esaltato da Dio, a suo tempo, e parteciperà alla gloria del Figlio di Dio (Mt 23,12; Rom 8,17; Fil 2,9ss; 1Piet 5,6-10). Con tutti gli umili egli canterà eternamente la santità e amore del Signore che ha fatto in essi grandi cose (Lc 1,46-53; Apoc 4,8-11; 5,11-14).
Nel VT la parola di Dio porta l ‘uomo alla gloria per la via di un’umile sottomissione a Dio, suo creatore e salvatore. Nel NT la parola di Dio si fa carne per condurre l’uomo al culmine dell’umiltà che consiste nel servire Dio negli uomini, nell’umiliarsi per amore al fine di glorificare Dio salvando gli uomini.

... chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato - Giovanni Boggio e Giuseppe Barbaglio (Schede Bibliche Pastorali - Vol. VI): L’orgoglio, l’alterigia e anche la millanteria fanno parte di alcuni cataloghi neotestamentari dei vizi. In Mc 7,22 l’orgoglio è menzionato tra le espressioni malvagie che hanno la loro radice nel cuore dell’uomo, come afferma Gesù. In Rm 1,30 Paolo enumera tra i vizi del mondo pagano, conseguenza immanente del rifiuto di riconoscere il creatore, la superbia e la millanteria. Infine 2Tm 3,2 nel novero degli uomini malvagi mette gli orgogliosi.
Ma il filone più importante del Nuovo Testamento in proposito è la dialettica contrapposizione tra esaltazione orgogliosa e umiliazione imposta da Dio, che invece esalta gli umili. Siamo dunque davanti a un rovesciamento di situazioni causato dalla grazia divina. Così nel canto del Magnificat Maria glorifica il Signore perché «ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore; ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili» (Lc 1,51-52). Soprattutto da menzionare è il detto di Gesù: «Chi s’innalza sarà abbassato (da Dio) e chi si abbassa sarà innalzato (da Dio)». Ce lo testimonia Matteo in chiusura dell’esortazione di Gesù ai discepoli di non farsi chiamare né rabbi, né padri, né maestri: «Chi si innalzerà sarà abbassato e chi si abbasserà sarà innalzato» (Mt 23,12). Ma anche Luca lo sfrutta per concludere la parabola degli invitati a pranzo che si contendono i primi posti: «Perché chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato» (Lc 14,11) e come «morale» dedotta dalla parabola del fariseo e del pubblicano: «Perché chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato» (Lc 18,14).
Simile è l’idea espressa da Gc 4,6 che, rifacendosi espressamente a Pro 3,34 LXX. dice: «Dio resiste ai superbi; agli umili invece dà la sua grazia». Lo stesso passo veterotestamentario viene citato anche da 1Pt 5,5 per motivare l’esortazione ai credenti di essere umili verso gli altri. In 1Tm 6,17 l’autore esorta i ricchi a non essere orgogliosi.
Paolo poi in Rm 11,20 riprende gli orgogliosi credenti di estrazione pagana di Roma perché non si inorgogliscano pensando ai giudei che hanno rifiutato il Vangelo, mentre essi si sono dimostrati fedeli alla chiamata divina: «Dirai certamente: Ma i rami sono stati tagliati perché vi fossi innestato io! Bene; essi sono stati tagliati a causa dell’infedeltà, mentre tu resti lì in ragione della fede. Non montare dunque in superbia, ma temi! Se infatti Dio non ha risparmiato quelli che erano rami naturali, tanto meno risparmierà te!».
Infine sembra di poter menzionare la disputa sorta tra i discepoli storici di Gesù su chi fosse il più grande e il primo e la relativa risposta del maestro: «Fra voi però non è così [come con il re e i grandi del mondo] ; ma chi vuol essere grande tra voi si farà vostro servitore, e chi vuol essere il primo tra voi sarà il servo di tutti» (Mc 10,43-44 e par). Non ricorre alcune termine indicativo del vizio della superbia, ma certo vi è in gioco l’ambizione orgogliosa dei discepoli, cui si contrappone la prospettiva di Gesù.

Tutto è grazia - Gianni Calzani: Nella teologia cristiana, la grazia è l’azione libera e gratuita con cui Dio in Cristo chiama l’uomo alla comunione con sé. Il termine corrispondente al latino gratia è il greco chàris, che traduce abitualmente i termini ebraici chen e chesed. Essi indicano non tanto un singolo gesto di benevolenza, quanto l’atteggiamento di fondo da cui questi gesti scaturiscono.
La fede biblica presenta Dio come “il Signore, Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di grazia e di fedeltà, che conserva il suo favore per mille generazioni, che perdona la colpa, la trasgressione e il peccato" (Es 34,6 s.). Questa presentazione parla di Dio come di colui che si china sull’uomo con amore e benevolenza. Questa vicinanza amorosa da una parte ricorda che Dio non rimane semplicemente misterioso e incomprensibile, ma cerca la comunione con l’uomo, e dall’altra ribadisce che in questa comunicazione non solo Dio non è sottomesso all’uomo, ma, nella sua libera e sorprendente iniziativa, ne è il Salvatore. La nozione di grazia indica Dio nel suo comunicarsi, nel suo libero donarsi. La grazia non è una realtà intermedia tra Dio e l’uomo, ma è Dio stesso nel suo libero autocomunicarsi. Dio è un Dio di grazia che trova in se stesso le ragioni della sua misericordia e che, di conseguenza, si mostra benigno e favorevole verso l’uomo. A tal punto l’agire benigno e misericordioso qualifica l’agire di Dio da poter concludere che la benignità è il modo proprio di essere di Dio: la sua stessa potenza è potenza di amore.

Veritatis Splendor 104: Mentre è umano che l’uomo, avendo peccato, riconosca la sua debolezza e chieda misericordia per la propria colpa, è invece inaccettabile l’atteggiamento di chi fa della propria debolezza il criterio della verità sul bene, in modo da potersi sentire giustificato da solo, anche senza bisogno di ricorrere a Dio e alla sua misericordia. Un simile atteggiamento corrompe la moralità dell’intera società, perché insegna a dubitare dell’oggettività della legge morale in generale e a rifiutare l’assolutezza dei divieti morali circa determinati atti umani, e finisce con il confondere tutti i giudizi di valore.
Dobbiamo, invece, raccogliere il messaggio che ci viene dalla parabola evangelica del fariseo e del pubblicano (cf Lc 18,9-14). Il pubblicano poteva forse avere qualche giustificazione per i peccati commessi, tale da diminuire la sua responsabilità. Non è però su queste giustificazioni che si sofferma la sua preghiera, ma sulla propria indegnità davanti all’infinita santità di Dio: «O Dio, abbi pietà di me peccatore» (Lc 18,13). Il fariseo, invece, si è giustificato da solo, trovando forse per ognuna delle sue mancanze una scusa. Siamo così messi a confronto con due diversi atteggiamenti della coscienza morale dell’uomo di tutti i tempi. Il pubblicano ci presenta una coscienza «penitente», che è pienamente consapevole della fragilità della propria natura e che vede nelle proprie mancanze, quali che ne siano le giustificazioni soggettive, una conferma del proprio essere bisognoso di redenzione. Il fariseo ci presenta una coscienza «soddisfatta di se stessa», che si illude di poter osservare la legge senza l’aiuto della grazia ed è convinta di non aver bisogno della misericordia.

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
****  Il fariseo ci presenta una coscienza «soddisfatta di se stessa», che si illude di poter osservare la legge senza l’aiuto della grazia ed è convinta di non aver bisogno della misericordia.
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Preghiamo con la Chiesa: O Dio, nostro Padre, che nella celebrazione della Quaresima ci fai pregustare la gioia della Pasqua, donaci di approfondire e vivere i misteri della redenzione per godere la pienezza dei suoi frutti. Per il nostro Signore Gesù Cristo...