6 Marzo 2019

Mercoledì delle Ceneri


Oggi Gesù ci dice: “Oggi non indurite il vostro cuore, ma ascoltate la voce del Signore” (Cfr. Sal 94,8).  

Dal Vangelo secondo Matteo 6,1-6.16-18): Oggi con l’imposizione delle ceneri, inizia la Quaresima, tempo di penitenza, revisione e introspezione di sé. Ed è il tempo propizio per maturare, nella preghiera, propositi e decisioni che ci permetteranno di pronunciare il nostro si alla volontà di Dio e alla sua Legge, preparandoci in questo modo fruttuosamente alla Pasqua. Ecco perché è importante per noi cristiani accostarci alla Liturgia della Ceneri, poiché ci invita a riflettere sulla nostra condotta di vita e ci spinge a intraprendere un cammino più adatto all’essere umano creato a immagine e somiglianza di Dio. Le ceneri poste sul nostro capo ci ricordano la potenza creatrice di Dio: noi eravamo polvere che l’Onnipotente ha plasmato e a cui ha dato vita, attraverso il suo soffio generatore (Gen 2,6). Ma ci ricorda anche la nostra contingenza: «Con il sudore del tuo volto mangerai il pane, finché non ritornerai alla terra, perché da essa sei stato tratto: polvere tu sei e in polvere ritornerai» (Gen 3,19). La Quaresima ci ricorda il nostro peccato, e la vita nuova che ci è stata donata in Cristo. Ci ricorda la misericordia di Dio, e, allo stesso tempo, il nostro impegno per conquistare, con l’aiuto della grazia divina, la vita eterna.

State attenti a praticare la vostra giustizia davanti agli uomini - Angelo Lancillotti (Matteo): 6,1-18: la pratica della giustizia superiore. Dopo le «antitesi» fra la nuova e l’antica Legge Gesù applica il principio della « giustizia superiore » alla vita pratica, contrapponendo la vera pietà dei figli del Regno a quella falsa dei Farisei. Sono contemplati tre casi: l’elemosina (vv. 2-4), la preghiera (vv. 5-15) e il digiuno (vv. 16-18), le tre principali componenti della pietà giudaica (cf Tb 12,8). Tutto il brano è proprio di Matteo, ad eccezione della preghiera del Pater, che peraltro Luca colloca in un contesto del tutto diverso.
la vostra giustizia: qui « giustizia» prende un senso concreto abbracciando quelle opere meritorie, in modo speciale l’elemosina, la preghiera e il digiuno, che erano ritenute le più accette a Dio. Gesù non mette in questione il valore di tali pratiche, ma stigmatizza il modo con cui venivano compiute, che le privava del merito soprannaturale.

La giustizia - Piccolo Dizionario Biblico - Dio è «giusto» (Gen 18,25); ciò significa in qualche modo: «Dio è degno di affidamento» (cfr. Is 26,4), si attiene al patto, elargisce la grazia (cfr. Sal 103,17; Ger 9,24), combatte i nemici della salvezza che egli vuole portare (Is 10,22; 41,ls; cfr. Rm 10,3). L’uomo che aderisce al piano di Dio è anche egli stesso «giusto » (Gb 17,9), specialmente il messia (Is 11,4s). Il popolo non si regolava secondo questo piano di Dio e perciò ha abbandonato la giustizia (Am 5,7). Giustizia in senso biblico non è da intendersi in senso giuridico (cfr. però Is 41,1); essa esprime piuttosto la «giusta» relazione tra Dio e l’uomo. Al tempo di Gesù era molto diffusa una concezione piuttosto unilaterale: la giustizia doveva consistere nell’adempimento fedele delle prescrizioni della legge.
A Dio toccava solo fare dopo il bilancio tra le osservanze e le mancanze. Che si dessero però anche altre concezioni risulta p. es. dall’uso della parola « giusto» nel vangelo dell’infanzia di Lc (1,6; 2,25).
Dio realizza la giustizia «per mezzo di Gesù Cristo» (Fil 1,11). I cristiani perciò diventano giusti non per mezzo della legge, ma rimettendosi totalmente a Cristo, per mezzo della fede («giustificazione per mezzo della fede»: Rm 3,28) e attraverso la grazia e la misericordia di Dio (Tt 3,7). Da questo dono deriva, per chi è diven­tato giusto, «una nuova vita» (Rm l6,4; 12s) nell’amore. Gesù stesso «ha adempiuto tutta la giustizia» «Mt 3,15) e l’ha raccomandata (Mt 5,6; fame e sete di giustizia). In realtà i cristiani debbono «fare la giustizia» (1Gv 2,29); ma la piena giustizia non è stata ancora accordata al mondo 2Pt 3,13 .

L’elemosina per il Regno dei Cieli - I. Roncagli: Il motivo per cui l’elemosina costituisce la chiave del regno viene esposto dallo stesso Gesù nel grande discorso escatologico (Mt 26,31-40) in cui egli ci insegna a scoprire e a servire la sua stessa persona in tutti i fratelli che invocano il nostro aiuto.
La rinuncia completa ai beni terreni, distribuendoli ai poveri, diviene quindi lo strumento ideale per il conseguimento dell’unione con Cristo. Ecco la richiesta che Gesù rivolge al giovane ricco desideroso di avere la vita eterna: «Una cosa ancora ti manca; vendi tutto quello che hai, distribuiscilo ai poveri e avrai un tesoro nei cieli; poi vieni e seguimi» (Lc 18,22).
Chi ha compreso queste parole è come l’uomo che ha scoperto il tesoro nascosto in un campo e, «pieno di gioia, vende tutto il suo avere» per comprarlo (Mt 13,44).
Evidentemente siamo ben lontani dall’interpretazione corrente della parola «elemosina»; la scala dei valori è completamente capovolta, e il cosiddetto «benefattore», che con la rinuncia sia pure integrale a dei beni perituri consegue il possesso del bene eterno, è in realtà il vero «beneficato». O meglio, nella rispettiva donazione e accettazione, sono beneficati entrambi dal dono incomparabile della divina carità che lo Spirito santo diffonde nei loro cuori (cf. Rm 5,5).

E quando pregate... - Claude Tassin (Vangelo di Matteo): L’ammaestramento sulla preghiera occupa i vv. 5-15. Questa piccola sezione si divide in due parti: in primo luogo un biasimo della preghiera ostentata e prolissa (vv. 5-8), quindi il testo del Padre nostro (vv. 9-13), infine, vv. 14-15, un commento dell’ultima richiesta del Padre nostro.
Per cogliere meglio l’ entità della lezione occorre tener presente la sinagoga del I secolo. Il giorno di sabato ci si riunisce soprattutto per ascoltare la parola di Dio. La funzione inizia con alcune benedizioni piuttosto concise, di cui, giustamente, il Padre nostro suggerisce lo stile: così, la sinagoga non era il luogo delle preghiere interminabili. Molti giudei criticavano certamente anche coloro che approfittavano di quest’assemblea per ostentare la propria devozione, ad esempio mantenendosi in piedi quando gli altri erano seduti. Presso i cristiani, Matteo non condanna affatto la preghiera comune, ma soltanto l’esibizionismo di alcuni. Il dialogo intimo che è la preghiera personale richiede la riservatezza, «nella tua camera». Ancora una volta, ogni tentativo per acquistare reputazione per mezzo della pietà viene condannato come una deviazione.

E quando digiunate... - Ortensio Da Spinetoli (Matteo): Il discorso riprende la logica interrotta dalla preghiera domenicale (vv. 9-15). Il digiuno è un’altra importante pratica della vecchia e nuova «giustizia». Anche a prescindere da prassi particolari (prescrizioni levitiche per sacerdoti, i nazirei o i recabiti), le astensioni dai cibi o le limitazioni dei medesimi per la durata di giorni, una o più settimane, erano frequenti nel mondo giudaico.
Il digiuno è un atto penitenziale che completa e coadiuva la preghiera. Esso umilia l’uomo e mortifica le sue disordinate aspirazioni, quindi purifica, espia, impetra grazie e favori. Il giorno del digiuno per eccellenza era quello del Kippur o della grande purificazione (Lv. 16,29; 23,27-32).
Il digiuno veniva accompagnato da cerimonie che sottolineavano anche esteriormente il suo significato penitenziale: lamentazioni, grida, indossamento di vesti servili, aspersioni con polvere o cenere, rinuncia ai rapporti matrimoniali, alla cura del corpo, ai bagni, agli unguenti, deposizione dei calzari, omissione del saluto, dormire per terra, partecipazione alle riunioni liturgiche.
Gesù, come i profeti, non condanna il digiuno ma il modo con cui veniva qualche volta compiuto. Invece di esprimere la propria umiliazione esso diventava una manifestazione di orgoglio, tutto all’opposto di quello che il digiuno doveva significare. Invece di un atto di pentimento e di ritorno a Dio era un’affermazione di vanità.
La conversione era solo rappresentazione teatrale, non reale; il cuore, la mente, rimanevano quelli di prima, lontani ancora da Dio.
Il digiuno cristiano, come l’elemosina e la preghiera, deve essere compiuto nascostamente. Gesù non propone una nuova tattica di estetica penitenziale ma invita a rivedere le intenzioni che spingono a tali pratiche. Il cristiano non deve fare ostentazione, almeno di proposito, della sua penitenza, deve anzi nasconderla con un atteggiamento ilare e gioioso. Lavarsi, ungersi e profumarsi sono atti che preludono a una festa più che a un lutto, per questo celano le rinunce che il penitente sta infliggendosi. In realtà il cristiano che digiuna può assumere di fatto un atteggiamento di festa perché sa del valore che la sua penitenza ha davanti a Dio. Per questo egli si comporta come se andasse a un convito invece che a una veglia.
Il digiuno, come ogni altra sofferenza, è una fonte di gioia perché accorda un maggior avvicinamento a Dio. La privazione è un diletto invece che un motivo di umiliazione.
L’invito di Gesù ad assumere un atteggiamento giulivo invece che tetro, sottolinea il significato definitivo della penitenza cristiana: poter soffrire è una grazia, la stessa cosa è poter digiunare.

Benedetto XVI (Omelia, 17 Febbraio 2010): ... nelle letture bibliche del Mercoledì delle Ceneri è ben presente il tema della giustizia. Innanzitutto, la pagina del profeta Gioele e il Salmo responsoriale – il Miserere – formano un dittico penitenziale, che mette in risalto come all’origine di ogni ingiustizia materiale e sociale vi sia quella che la Bibbia chiama “iniquità”, cioè il peccato, che consiste fondamentalmente in una disobbedienza a Dio, vale a dire una mancanza d’amore. “Sì – confessa il Salmista – le mie iniquità io le riconosco, / il mio peccato mi sta sempre dinanzi. / Contro te, contro te solo ho peccato, / quello che è male ai tuoi occhi, io l’ho fatto” (Sal 50/51,5-6). Il primo atto di giustizia è dunque riconoscere la propria iniquità, e riconoscere che questa è radicata nel “cuore”, nel centro stesso della persona umana. I “digiuni”, i “pianti”, i “lamenti” (cfr Gl 2,12) ed ogni espressione penitenziale hanno valore agli occhi di Dio solo se sono segno di cuori sinceramente pentiti. Anche il Vangelo, tratto dal “discorso della montagna”, insiste sull’esigenza di praticare la propria “giustizia” - elemosina, preghiera, digiuno - non davanti agli uomini, ma solo agli occhi di Dio, che “vede nel segreto” (cfr Mt 6,1-6.16-18). La vera “ricompensa” non è l’ammirazione degli altri, ma l’amicizia con Dio e la grazia che ne deriva, una grazia che dona pace e forza di compiere il bene, di amare anche chi non lo merita, di perdonare chi ci ha offeso.

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
**** La Quaresima ci ricorda il nostro peccato, e la vita nuova che ci è stata donata in Cristo.
Questa parola cosa ti suggerisce?
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Preghiamo con la Chiesa: O Dio, nostro Padre, concedi al popolo cristiano di iniziare con questo digiuno un cammino di vera conversione, per affrontare vittoriosamente con le armi della penitenza il combattimento contro lo spirito del male. Per il nostro Signore Gesù Cristo..