7 Marzo 2019

Giovedì dopo le Ceneri

Oggi Gesù ci dice: “Convertitevi perché il regno dei cieli è vicino.” (Cfr. Mt 4,17).

Dal Vangelo secondo Luca 9,22-25: Chi vuole salvare la propria vita, la perderà... Gesù deve soffrire molto, essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso per giungere alla risurrezione. Il discepolo di Cristo non può pensare di percorrere un cammino diverso. Anche lui, come il suo Maestro, deve portare ogni giorno la sua croce, continuando in sé il martirio e la passione del Signore: “Ora io sono lieto nelle sofferenze che sopporto per voi e do compimento a ciò che, dei patimenti di Cristo, manca nella mia carne, a favore del suo corpo che è la Chiesa” (Col 2,24).

Il Figlio dell’uomo..., è spesso usato nel Nuovo Testamento e Gesù amava riferirlo a stesso, «ora per descrivere le sue umiliazioni (Mt 8,20; 11,19;  20,28), soprattutto quelle della passione (Mt 17,22, ecc.), ora per annunziare il suo trionfo escatologico della risurrezione (Mt 17,9), del ritorno glorioso (Mt 24,30) e del giudizio (Mt 25,31). Questo titolo infatti, di sapore aramaico e che in origine significa «uomo» (Ez 2,1), per l’originalità della locuzione attirava l’attenzione sull’umiltà della sua condizione umana; ma nello stesso tempo, applicato da Dn 7,13 e in seguito dall’apocalittica giudaica (Enoch) al personaggio trascendente, d’origine celeste, che riceve da Dio il regno escatologico, esso suggeriva, in maniera misteriosa ma sufficientemente chiara (Cf. Mc 1,34; Mt 13,13), il carattere del suo messianismo» (Bibbia di Gerusalemme).
Il messianismo di Gesù passerà attraverso la sofferenza, il rifiuto da parte dei sinedriti, le guide spirituale del popolo eletto, l’agonia dell’Orto, il dolore dei chiodi, la morte cruenta sulla Croce. Queste parole di Gesù sono da paragonare ad un annuncio sconvolgente sopra tutto perché precedute da quel deve che doveva suonare nel cuore dei discepoli al pari di una bestemmia. Lo attesta otre tutto il rimprovero che Pietro muove a Gesù, così come è riferito dall’evangelista  Matteo (16,22).
Poi, a tutti, diceva... si amplia l’assemblea, ora Gesù si rivolge a tutti gli uomini: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua».
Rinneghi..., prenda... segua..., tre imperativi che indicano l’unica strada che conduce al discepolato e alla salvezza: «Dire un no radicale a me stesso non significa odiarmi, perché, al contrario, si tratta di amare il mio prossimo come stesso [Lc 10,27], di non pormi come centro di me stesso. Si tratta di rendere attuale la “via crucis”. È la mia propria croce di cui devo caricarmi, quella che la vita mi pone addosso; è inutile fantasticare un’altra croce! Qui non c’è davvero alcuna forma di masochismo, ma la certezza che io non posso amare il Signore e gli altri senza sacrificarmi in qualche modo e senza passare attraverso la sofferenza. Imitando in questo modo il Cristo, io sarò davvero suo discepolo» (Hugues Cousin).
Ai tempi di Luca la Chiesa era nella morsa della persecuzione e i cristiani erano tentati di ritornare al mondo per salvare la vita, non sapendo che così la perdevano. Per salvarla invece era necessario perderla, un paradosso per il mondo, ma non per chi ama vivere il Vangelo sine glossa.

Il Figlio dell’uomo deve soffrire molto - Bibbia di Navarra (I Quattro Vangeli): Il Signore profetizza la sua Passione e Morte per rendere più agevole la fede dei discepoli. In pari tempo rivela di accettare per sua volontà le sofferenze cui andrà incontro. «Cristo non ha voluto gloriarsi, ma è voluto venire spoglio di ogni gloria per patire la sofferenza; e tu, nato senza onori, vuoi gloriarti? È sulla via percorsa da Cristo che devi camminare. Questo significa riconoscerlo, questo imitarlo nella ignominia e nella buona fama, sì che tu possa gloriarti della Croce, come Gesù se n’è gloriato. Tale fu il comportamento di Paolo, e perciò l’Apostolo se ne gloria dicendo: “Quanto a me invece non ci sia altro vanto che nella Croce del Signore nostro Gesù Cristo” (Gal 6,14)» (Sant’Ambrogio - Expositio Evang. sec. Lucam. in loc.).

Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso - Giovanni Vanucci - Roberto Tufariello - Giuseppe Barbaglio (Discepolo - Schede Bibliche Pastorali): Nei vangeli l’essere discepolo è descritto come un porsi alla sequela di Gesù. D termine usato per indicare l’azione del discepolo che risponde alla chiamata del maestro è «seguire» (akolouthéin); esso indica l’azione di chi segue una guida, un maestro, un condottiero, e insieme designa un modo particolare di vivere. Seguire, infatti, indica l’azione di spogliarsi delle proprie vedute per dirigere la propria attività personale secondo una norma esterna, una legge o il comando di un altro.
Discepolo di Gesù è colui che lo segue, e «seguire Gesù» indica l’attaccamento alla sua persona. Per questo il verbo seguire e usato anche per esprimere la fedeltà con cui le turbe seguivano Gesù, avide della sua parola (Mt 4,25; 8,1), oppure la gratitudine dei guariti o la riconoscenza dei peccatori (Lc 18,43; Mc 2,15). Dal discepolo vero e proprio Gesù comunque richiede un particolare coraggio, domanda una chiara valutazione delle proprie forze, perché egli non accetta al suo seguito chi è mosso da motivi non veri e da emozioni superficiali. Di plastica evidenza è la parola di Lc 9,58, citata sopra, in cui Gesù dichiara che seguire lui vuol dire condividere la vita del Figlio dell’uomo che non ha alcuna sicurezza umana («dove posare il capo»).
Non solo la sequela di Cristo implica sacrificio, richiede lo spogliamento totale del proprio egoismo e l’accettazione della differente realtà di Cristo; ciò non è possibile senza dolorose rinunce. Gesù ricorda ripetutamente questo aspetto doloroso della sua sequela: «Se uno viene a me e non odia suo padre, sua madre, la moglie, i fìgli, i fratelli, le sorelle e perfino la sua vita, non può essere mio discepolo. Chi non porta la propria croce e non viene dietro di me, non può essere mio discepolo (...). Così chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo» (Lc 14,26-27 e 33).

La croce, segno del cristiano - J. Audusseau e X. Léon-Dufour: 1. La croce di Cristo. - Rivelando che i due testimoni erano stati martirizzati «là dove Cristo fu crocifisso» (Apoc 11,8), l’Apocalisse identifica la sorte dei discepoli e quella del maestro. Lo esigeva già Gesù: «Chi vuole seguirmi, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua» (Mt 16,24 par.). Il discepolo non deve soltanto morire a se stesso: la croce che porta è il segno che egli muore al mondo, che ha spezzato tutti i suoi legami naturali (Mt 10,33-39 par.), che accetta la condizione di perseguitato, a cui forse si toglierà la vita (Mt 23,34). Ma nello stesso tempo essa è pure il segno della sua gloria anticipata (cfr. Gv 12,26).
2. La vita crocifissa. - La croce di Cristo, che, secondo Paolo, separava le due economie della legge e della fede, diventa nel cuore del cristiano la frontiera tra i due mondi della carne e dello spirito. Essa è la sua sola giustificazione e la sua sola sapienza.
Se si è convertito, è stato perché ai suoi occhi furono dipinti i tratti di Gesù in croce (Gal 3,1). Se è giustificato, non è per le opere della legge, ma per la sua fede nel crocifisso; infatti egli stesso è stato crocifisso con Cristo nel battesimo, cosicché è morto alla legge per vivere a Dio (Gal 2,19) e non ha più nulla a che vedere con il mondo (6,14). Egli pone quindi la sua fiducia nella sola forza di Cristo, altrimenti si mostrerebbe «nemico della croce » (Fil 3,18).
3. La croce, titolo di gloria del cristiano. - Nella vita quotidiana del cristiano, «l’uomo vecchio è crocifisso» (Rom 6,6), cosicché è pienamente liberato dal peccato. Il suo giudizio è trasformato dalla sapienza della croce (1Cor 2). Mediante questa sapienza egli, sull’esempio di Gesù, diventerà umile ed «obbediente fino alla morte, ed alla morte di croce» (Fil 2,1-8). Più generalmente, egli deve contemplare il «modello» del Cristo, che «sul legno ha portato le nostre colpe nel suo corpo, affinché, morti alle nostre colpe, viviamo per la giustizia» (1Piet 2,21-24). Infine, se è vero che deve sempre temere l’apostasia, che lo porterebbe a «crocifiggere nuovamente per proprio conto il Figlio di Dio» (Ebr 6,6), egli può tuttavia esclamare fieramente con Paolo: «Per me, non sia mai che io mi glori d’altro all’infuori della croce del nostro Signore Gesù Cristo, grazie al quale il mondo è per me crocifisso, ed io lo sono per il mondo» (Gal 6,14).

Portare, ogni giorno, la nostra croce: Paolo VI (Omelia, 15 Settembre 1971): Noi tutti ricordiamo certamente che se davvero siamo cristiani dobbiamo partecipare alla Passione del Signore (cfr. Col 1,24), e dobbiamo portare dietro i passi di Gesù, ogni giorno, la nostra croce (cfr. Lc 9,23). Cristo Crocifisso è l’esempio (cfr. Gal 6,14). Ma dappertutto, anche in ambienti cristiani, oggi vediamo come si tenta di abbattere la Croce proprio là dove essa è necessaria, nella coscienza del peccato a cui essa sola può portare rimedio. Il rimedio oggi è un altro; è l’indifferenza morale, la spregiudicatezza. Il peccato, si dice, non esiste, è «tabù» è fantasia di gente psichicamente debole; esso si annulla togliendo ogni sensibilità morale, abolendo ogni scrupolo, soffocando ogni rimorso; e che cosa resta dell’uomo che così inganna e degrada se stesso? E tutto il nostro sforzo per riconciliare l’uomo col mondo anche quando è tutto penetrato dal male? (cfr. Gv 5,19) Non è anch’esso un’ipocrita attentato di togliere la Croce di mezzo e di saldare malamente la frattura che essa ha posto a confine dei due regni, di Dio e del diavolo? Si ritorna mondani col pretesto di ritornare uomini, e si scivola sui sentieri equivoci della secolarizzazione con la comoda illusione di salvare il mondo confondendosi con i suoi gusti, i suoi abiti, i suoi costumi. Non v’è pericolo che con questo artificio «sia vanificata la Croce di Cristo?» (cfr. 1Cor 1,17). Riflettiamo, se vogliamo essere, come oggi si dice, autentici. E non temiamo che la Croce renda imbelle e triste la nostra vita, se questa ne porta con amore le stigmate dolorose e gloriose: Cristo crocifisso «è virtù di Dio, e sapienza di Dio»!

Infatti, quale vantaggio ha un uomo che guadagna il mondo intero, ma perde o rovina se stesso?: Gaudium et spes 39: [...] siamo avvertiti che niente giova all’uomo se guadagna il mondo intero ma perde se stesso. Tuttavia l’attesa di una terra nuova non deve indebolire, bensì piuttosto stimolare la sollecitudine nel lavoro relativo alla terra presente, dove cresce quel corpo della umanità nuova che già riesce ad offrire una certa prefigurazione, che adombra il mondo nuovo.
Pertanto, benché si debba accuratamente distinguere il progresso terreno dallo sviluppo del regno di Cristo, tuttavia, tale progresso, nella misura in cui può contribuire a meglio ordinare l’umana società, è di grande importanza per il regno di Dio.

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
**** «Chi vuole salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia, la salverà. Infatti, quale vantaggio ha un uomo che guadagna il mondo intero, ma perde o rovina se stesso?». 
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Preghiamo con la Chiesa: Ispira le nostre azioni, Signore, e accompagnale con il tuo aiuto, perché ogni nostra attività abbia sempre da te il suo inizio e in te il suo compimento. Per il nostro Signore Gesù Cristo...