24 Marzo 2019

Terza Domenica di Quaresima


Oggi Gesù ci dice: “Convertitevi, il regno dei cieli è vicino.” (Mt 4,17).

PRIMA LETTURA - Es 3,1-8a.13-15: La narrazione della vocazione di Mosè è vergata con elementi caratteristici e costanti in simili racconti biblici. Alla chiamata di Dio il vocato protesta la propria indegnità e le proprie perplessità che vengono superate da un segno e dalla promessa della protezione divina. Il fuoco che brucia senza consumarsi è simbolo fondamentale delle teofanie. Dio rivela a Mosè il suo nome usando il verbo essere che in ebraico è verbo attivo, cioè non indica uno stato, ma un’attività. Dio è Colui che è, colui che opera (Gv 5,17) a differenza degli idoli muti dei pagani che sono nulla: manufatti inerti «che non possono giovare né salvare, perché sono vanità» (1Sam 12,21).

SALMO RESPONSORIALE - Dal Salmo 102 (103): «Benedici il Signore, anima mia, non dimenticare tutti i suoi benefici: «Sintesi dei benefici di Dio: perdona i nostri peccati per mezzo della propiziazione che è il Cristo; ti libera dalla morte dando per la tua morte il sangue del Figlio suo; ti corona della grazia d’adozione; ti dona la speranza della risurrezione col pegno dello Spirito. Tutto questo sono i doni dello sposo alla sposa, e questa non porta che la propria fede» (Eusebio).

SECONDA LETTURA - 1Cor 10,1-6.10-12: L’apostolo Paolo invita i cristiani di Corinto a leggere con attenzione la storia biblica del popolo d’Israele «per coglierne il messaggio sempre vivo e sempre attuale per la comunità cristiana. La 1Corinzi è tutta percorsa dal forte e sferzante richiamo di Paolo a mantenersi fedeli a Cristo e al Vangelo. Per avvalorare questo richiamo, Paolo si rifà alla storia e all’esperienza del popolo biblico: anche quella storia e quell’esperienza sono macchiate dall’infedeltà e dal peccato dell’uomo. La lezione biblica deve mettere in guardia anche i cristiani di Corinto [e di ogni tempo] che sfoderano una sprezzante sufficienza: “Chi crede di stare in piedi, guardi di non cadere”» (Don Primo Gironi).

Vangelo - Dal Vangelo secondo Luca 13,1-9: Non sempre è da cercare un nesso diretto tra colpa e morte, tra peccato e infortunio, questo è l’insegnamento di Gesù. Tali fatti di violenza sono invece chiari appelli alla conversione, perché ciò che conta è non andare incontro ad una morte ancora più terribile, quella che porta all’eterna separazione da Dio. La parabola del fico sterile è un chiaro riferimento alla pazienza di Dio, ma potrebbe alludere al ritardo del giudizio finale di Dio e all’importanza di prepararvisi.

Carlo Ghidelli (Luca) - versetti 13,1-9: Lo schema è assai frequente in Luca: dopo una affermazione di Gesù (vv. 1-5) segue una illustrazione per mezzo di una parabola (vv. 6-9). L’insegnamento è questo: i segni dei tempi si leggono non solo nella storia di Gesù, ma anche nella nostra storia. È necessario però non lasciarsi fuorviare, nella loro lettura, dai nostri preconcetti (come i giudei contemporanei di Gesù, che dalla loro concezione circa la retribuzione temporale pretendevano di cogliere un castigo di Dio verso coloro che sono stati colpiti da due disgrazie).
La parabola del fico sterile - versetti 6-9: Luca non riporterà la maledizione del fico sterile durante la settimana santa (cfr Mc 11,12-14.20-25). Il contesto è diverso anche nei confronti di Mt 21,18-22. Infatti per Luca la parabola è ancora un incitamento alla conversione, per Marco e Matteo invece essa indica che il destino di Gerusalemme e di Israele è già segnato. Matteo e Marco parlano di un miracolo di Gesù, Luca invece fa uso di una parabola. Marco e Matteo parlano di un fico maledetto, Luca solo di un fico sterile, oggetto di nuove cure da parte dei suoi coltivatori e quindi oggetto di indulgenza e di misericordia.

In quel tempo si presentarono alcuni a riferire a Gesù il fatto di quei Galilei... Prendendo la parola, Gesù disse loro: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subito tale sorte? Nella riflessione biblica il tema della retribuzione ha fatto un lungo cammino, che ha portato a graduali e interessanti scoperte.
Dalla concezione di una retribuzione terrena collettiva, il popolo è responsabile in solido delle proprie azioni (il bene degli uni ricade sugli altri e così il male, i meriti e le colpe dei padri si riversano sui figli), gradualmente si arriva a una nozione di retribuzione individuale. In questa ultima riflessione, ancora imperfetta, la retribuzione che Dio dà all’uomo, è concepita come temporale; si chiude cioè nell’arco della vita terrena. Dio infatti premia o punisce con cose facilmente controllabili: ricchezza, fecondità della sposa, rispetto e amicizia dei vicini ai buoni; mancanza di prole, malattia, povertà agli empi.
Una novità interessante, ma inficiata dalla esperienza quotidiana: infatti, spesso molti empi prosperano, molti giusti soffrono. Sarà il libro della Sapienza, e soprattutto il Nuovo Testamento, a dare una risposta a questo problema: la retribuzione è spostata nella vita ultraterrena. Si chiude così il ciclo. Ma rimane sempre sottinteso che la ricompensa «che Dio dà all’uomo è un puro dono che l’uomo non può mai meritare completamente. Il rischio del fariseismo è continuamente presente. L’uomo ha sempre la tentazione di misurare la retribuzione divina sul metro delle opere che compie. L’esempio classico lo incontriamo nella parabola del fariseo e del pubblicano [Lc 18,9ss.]. Il fariseo, che pretendeva la sua giustificazione da Dio ostentando le sue opere buone, viene da [Gesù] riprovato. L’uomo non può ricevere la salvezza dalle sue opere, perché è nel peccato. La salvezza la dà solo Dio [Rm 3,23-26]» (Giuseppe Manni).
Sulla carneficina perpetrata da Pilato e sui fatti della Torre di Siloe e sulla questione della retribuzione, Gesù non assume alcuna posizione e non dà un giudizio né sui mandanti, né sulle vittime, sposta soltanto il problema: «No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo».
In questo modo, Gesù invita gli interlocutori a cambiare vita: invece di investigare è meglio convertirsi perché alla fine si potrebbe condividere la sorte di quei malcapitati morti sotto il ferro romano e sotto le pietre di una torre diruta. Anche due fatti di cronaca possono celare segni ammonitori, quindi, più che dare un giudizio sulla vita degli altri è meglio guardare alla propria condotta, sopra tutto se essa è in sintonia con la volontà di Dio. L’accento va quindi spostato sull’urgenza della conversione.

La parabola dell’albero di fichi che un tale aveva piantato nella sua vigna - L’immagine del fico infruttuoso era abbastanza nota e ricorreva spesso nella predicazione profetica quando si voleva denunciare l’infedeltà del popolo di Dio (Cf. Ger 8,13; Mi 7,1; Os 9,16). Nel brano lucano però si fa cenno anche alla vigna e potrebbe alludere alla pazienza di Dio (Cf. Is 5,1-7). Due rimandi non casuali con i quali si vogliono sfatare due equivoci: quello di chi pensa che ormai la pazienza di Dio si è spenta, e per il peccatore non vi più speranza di salvezza e di perdono; e quello di chi pensa che c’è sempre tempo per convertirsi poiché la pazienza di Dio è senza limiti, e perdona tutti e tutto. La verità sta nel mezzo: Dio è indubbiamente paziente, ma l’uomo non conosce il giorno del giudizio, da qui non può programmare o fissare tempi per la sua conversione, né tantomeno abusare della pazienza di Dio.
Mentre nel Vangelo di Matteo il fico infruttuoso viene maledetto da Gesù (Cf. Mt 21,19ss.), qui, nel racconto lucano la parabola è interrotta prima della fine, per cui non si conosce la sorte del fico sterile. Forse si vuole alludere a una futura conversione d’Israele. Per Gesù c’è ancora spazio per il ritorno d’Israele: «Non voglio infatti che ignoriate, fratelli, questo mistero, perché non siate presuntuosi: l’indurimento di una parte di Israele è in atto fino a che saranno entrate tutte le genti. Allora tutto Israele sarà salvato» (Rm 11,25-26).

Retribuzione - Enciclopedia del Cristianesimo (Retribuzione): Dottrina teologica presente nelle religioni monoteistiche, ma anche in alcune religioni orientali, seconde la quale il giudizio infallibile di Dio dona a ciascuno secondo le sue opere. La Bibbia insegna chiaramente che la giustizia è fonte di felicità c che il peccato è causa di sventura. nell’Antico Testamento questo legame è elaborato da una regola generale, sulla base di una concezione concreta c quindi sperimentabile della benedizione c della maledizione. Afferma il libro dei Proverbi che il peccatore c il pio saranno trattati ciascuno seconde le loro opere. Tutto l’Antico Testamento, salvo alcuni testi più recenti, pensa che la retribuzione, individuale (Es 1,15-21) o collettiva (1 Re 13,3-1), abbia luogo su questa terra.
Il Nuovo Testamento parla raramente della retribuzione terrena; ma a chi ha lasciato tutto per divenire suo discepolo, Gesù promette il centuplo, insieme alle  persecuzioni, già nel presente (Mc 10,29-30). In generale Gesù riferisce la retribuzione al momento della risurrezione o giudizio finale. Il criterio del giudizio finale è la fede in Gesù, manifestata attraverso le opere (Mt 25,31-46; Rm 2,5-11).

Il fico sterile - Papa Francesco (Angelus, 28 Febbraio 2016): Purtroppo, ciascuno di noi assomiglia molto a un albero che, per anni, ha dato molteplici prove della sua sterilità. Ma, per nostra fortuna, Gesù è simile a quel contadino che, con una pazienza senza limiti, ottiene ancora una proroga per il fico infecondo: «Lascialo ancora quest’anno - dice al padrone - […] Vedremo se porterà frutto per l’avvenire» (v. 9). Un “anno” di grazia: il tempo del ministero di Cristo, il tempo della Chiesa prima del suo ritorno glorioso, il tempo della nostra vita, scandito da un certo numero di Quaresime, che ci vengono offerte come occasioni di ravvedimento e di salvezza, il tempo di un Anno Giubilare della Misericordia. L’invincibile pazienza di Gesù! Avete pensato, voi, alla pazienza di Dio? Avete pensato anche alla sua irriducibile preoccupazione per i peccatori, come dovrebbero provocarci all’impazienza nei confronti di noi stessi! Non è mai troppo tardi per convertirsi, mai! Fino all’ultimo momento: la pazienza di Dio che ci aspetta. Ricordate quella piccola storia di santa Teresa di Gesù Bambino, quando pregava per quell’uomo condannato a morte, un criminale, che non voleva ricevere il conforto della Chiesa, respingeva il sacerdote, non voleva: voleva morire così. E lei pregava, nel convento. E quanto quell’uomo era lì, proprio al momento di essere ucciso, si rivolge al sacerdote, prende il Crocifisso e lo bacia. La pazienza di Dio! E fa lo stesso anche con noi, con tutti noi! Quante volte - noi non lo sappiamo, lo sapremo in Cielo -, quante volte noi siamo lì, lì… [sul punto di cadere] e il Signore ci salva: ci salva perché ha una grande pazienza per noi. E questa è la sua misericordia. Mai è tardi per convertirci, ma è urgente, è ora! Incominciamo oggi.

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
**** Dio è indubbiamente paziente, ma l’uomo non conosce il giorno del giudizio, da qui non può programmare o fissare tempi per la sua conversione, né tantomeno abusare della pazienza di Dio.
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Preghiamo con la Chiesa: Padre santo e misericordioso, che mai abbandoni i tuoi figli e riveli ad essi il tuo nome, infrangi la durezza della mente e del cuore, perché sappiamo accogliere con la semplicità dei fanciulli i tuoi insegnamenti, e portiamo frutti di vera e continua conversione. Per il nostro Signore Gesù Cristo...