21 Marzo 2019

Giovedì della Seconda Settimana di Quaresima


Oggi Gesù ci dice: “Beati coloro che custodiscono la parola di Dio con cuore integro e buono e producono frutto con perseveranza.” (Cfr. Lc 8,15).


Vangelo - Dal Vangelo secondo Lc 16,19-31: Ci vuol così poco per finire nelle fauci dell’Inferno…, potrebbe essere questo il messaggio della parabola di oggi, ma vi è un altro messaggio più pregnante ed è la carità, l’amore verso il prossimo. Il ricco “epulone” di carità ne aveva ben poco, e ad essere sinceri non faceva nulla di male, l’unico torto era quello di essere “cieco”. Va bene la letizia, ma è ottima e cristiana quando si condivide con il prossimo, soprattutto con i poveri, con coloro che portano sulla carne il sigillo della povertà, della fame, della miseria. Egoismo e cecità sono due strade abbastanza larghe per condurre l’uomo in mezzo a compagnie poco raccomandabili. Non basta “non fare il male”, occorre fare il bene. Chi accusa l’uomo “cieco” non è la mensa ben bandita di succulenti cibi, ma i peccati di omissione, avere omesso di guardare con occhi di pietà il povero Lazzaro, e di non aver aperto le mani per porgergli un po’ di cibo. Se larga è la via che conduce alla perdizione eterna, il modo per evitarla è abbastanza semplice, ed è questa semplicità, che si traduce in carità, che fa evitare all’uomo fetore e un po’ di caldo infernale, per introdurlo nella beata e gioiosa frescura che soffia eternamente nella casa del Padre. 

P. Massimo Biocco: Il Vangelo è denuncia profetica e condanna di ogni situazione sociale, disumana e ingiusta. Ed è anche lo smantellamento e la condanna le cause di tutte le ingiustizie e le sopraffazioni. Infatti, è rivelazione e affermazione della giustizia e della santità di Dio. La giustizia e la santità saranno presenti e faranno sentire il loro peso nel futuro dell’esistenza umana. Il presente contiene una dimensione ineliminabile nelle prospettive del futuro. Nel presente noi ci giochiamo il futuro per la presenza la giustizia di Dio, che alla fine giudica, condanna o assolve.
Il rapporto dell’uomo con l’uomo ha una incidenza decisiva nel giudizio di Dio.
Egli condanna o assolve nel contesto di comunione e di solidarietà con gli altri. L’uomo non può fare man bassa dell’urgenza di giustizia, conculcando la dignità altrui: far finta che gli altri non esistono, strumentalizzarli per il proprio tornaconto e il proprio interesse. Chi si comporta così nella società, accumula su di sé la vendetta dei poveri nel presente, e l’ira di Dio che sarà pronta a rovesciarsi su di lui nel futuro per l’eternità.
La giustizia e la santità di Dio sono difesa e baluardo per il povero, puniscono il ricco, che tiene chiuso il cuore all’indigente e al bisognoso; sollevano il povero dalla miseria e lo arricchiscono per l’eternità. Aprirsi alle istanze della giustizia è decisivo per tutti. Lo è per il ricco: perché viva nel timore di Dio e faccia sulla terra un’opera di giustizia, nella quale anche il povero sia accolto in un contesto umano, in cui tutti abbiano benessere, amicizia e libertà. Lo è per il povero: perché, non trovando egli accoglienza tra coloro che dovrebbero trattarlo come fratello, trovi in Dio sicurezza e conforto, secondo la ricchezza della sua misericordia e della sua bontà di Padre.
Nella logica del Vangelo è assicurata anche la legge del buon vivere temporale e terreno, secondo la giustizia umana e la comprensione cristiana dell’amicizia e dell’amore.

Il rispetto della persona umana - Gaudium et spes 27: Scendendo a conseguenze pratiche di maggiore urgenza, il Concilio inculca il rispetto verso l’uomo: ciascuno consideri il prossimo, nessuno eccettuato, come un altro «se stesso», tenendo conto della sua esistenza e dei mezzi necessari per viverla degnamente, per non imitare quel ricco che non ebbe nessuna cura del povero Lazzaro. Soprattutto oggi urge l’obbligo che diventiamo prossimi di ogni uomo e rendiamo servizio con i fatti a colui che ci passa accanto: vecchio abbandonato da tutti, o lavoratore straniero ingiustamente disprezzato, o esiliato, o fanciullo nato da un’unione illegittima, che patisce immeritatamente per un peccato da lui non commesso, o affamato che richiama la nostra coscienza, rievocando la voce del Signore: « Quanto avete fatto ad uno di questi minimi miei fratelli, l’avete fatto a me» (Mt 25,40). Inoltre tutto ciò che è contro la vita stessa, come ogni specie di omicidio, il genocidio, l’aborto, l’eutanasia e lo stesso suicidio volontario; tutto ciò che viola l’integrità della persona umana, come le mutilazioni, le torture inflitte al corpo e alla mente, le costrizioni psicologiche; tutto ciò che offende la dignità umana, come le condizioni di vita subumana, le incarcerazioni arbitrarie, le deportazioni, la schiavitù, la prostituzione, il mercato delle donne e dei giovani, o ancora le ignominiose condizioni di lavoro, con le quali i lavoratori sono trattati come semplici strumenti di guadagno, e non come persone libere e responsabili: tutte queste cose, e altre simili, sono certamente vergognose. Mentre guastano la civiltà umana, disonorano coloro che così si comportano più ancora che quelli che le subiscono e ledono grandemente l’onore del Creatore.

Deus caritas est 14-15: Un’Eucaristia che non si traduca in amore concretamente praticato è in se stessa frammentata. Reciprocamente … il «comandamento» dell’amore diventa possibile solo perché non è soltanto esigenza: l’amore può essere «comandato» perché prima è donato.
È a partire da questo principio che devono essere comprese anche le grandi parabole di Gesù. Il ricco epulone (cfr Lc 16,19-31) implora dal luogo della dannazione che i suoi fratelli vengano informati su ciò che succede a colui che ha disinvoltamente ignorato il povero in necessità. Gesù raccoglie per così dire tale grido di aiuto e se ne fa eco per metterci in guardia, per riportarci sulla retta via. La parabola del buon Samaritano (cfr Lc 10,25-37) conduce soprattutto a due importanti chiarificazioni. Mentre il concetto di «prossimo» era riferito, fino ad allora, essenzialmente ai connazionali e agli stranieri che si erano stanziati nella terra d’Israele e quindi alla comunità solidale di un paese e di un popolo, adesso questo limite viene abolito. Chiunque ha bisogno di me e io posso aiutarlo, è il mio prossimo. Il concetto di prossimo viene universalizzato e rimane tuttavia concreto. Nonostante la sua estensione a tutti gli uomini, non si riduce all’espressione di un amore generico ed astratto, in se stesso poco impegnativo, ma richiede il mio impegno pratico qui ed ora. Rimane compito della Chiesa interpretare sempre di nuovo questo collegamento tra lontananza e vicinanza in vista della vita pratica dei suoi membri. Infine, occorre qui rammentare, in modo particolare, la grande parabola del Giudizio finale (cfr Mt 25,31-46), in cui l’amore diviene il criterio per la decisione definitiva sul valore o il disvalore di una vita umana. Gesù si identifica con i bisognosi: affamati, assetati, forestieri, nudi, malati, carcerati. «Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25,40). Amore di Dio e amore del prossimo si fondono insieme: nel più piccolo incontriamo Gesù stesso e in Gesù incontriamo Dio.

Non l’avete fatto a me: Catechismo della Chiesa Cattolica nn. 2462-2463: L’elemosina fatta ai poveri è una testimonianza di carità fraterna: è anche un’opera di giustizia che piace a Dio. Nella moltitudine di esseri umani senza pane, senza tetto, senza fissa dimora, come non riconoscere Lazzaro, il mendicante affamato della parabola? Come non risentire Gesù: «Non l’avete fatto a me» (Mt 25,45)?

L’opzione, o amore preferenziale per i poveri - Sollicitudo rei socialis 42: È, questa, una opzione, o una forma speciale di primato nell’esercizio della carità cristiana, testimoniata da tutta la Tradizione della Chiesa. Essa si riferisce alla vita di ciascun cristiano, in quanto imitatore della vita di Cristo, ma si applica egualmente alle nostre responsabilità sociali e, perciò, al nostro vivere, alle decisioni da prendere coerentemente circa la proprietà e l’uso dei beni. Oggi poi, attesa la dimensione mondiale che la questione sociale ha assunto, questo amore preferenziale, con le decisioni che esso ci ispira, non può non abbracciare le immense moltitudini di affamati, di mendicanti, di senzatetto, senza assistenza medica e, soprattutto, senza speranza di un futuro migliore: non si può non prendere atto dell’esistenza di queste realtà. L’ignorarle significherebbe assimilarci al «ricco epulone», che fingeva di non conoscere Lazzaro il mendico, giacente fuori della sua porta (Lc 16,19).
La nostra vita quotidiana deve essere segnata da queste realtà, come pure le nostre decisioni in campo politico ed economico. Parimenti i responsabili delle Nazioni e degli stessi Organismi internazionali, mentre hanno l’obbligo di tener sempre presente come prioritaria nei loro piani la vera dimensione umana, non devono dimenticare di dare la precedenza al fenomeno della crescente povertà. Purtroppo, invece di diminuire, i poveri si moltiplicano non solo nei Paesi meno sviluppati, ma, ciò che appare non meno scandaloso, anche in quelli maggiormente sviluppati.
Bisogna ricordare ancora una volta il principio tipico della dottrina sociale cristiana: i beni di questo mondo sono originariamente destinati a tutti. Il diritto alla proprietà privata è valido e necessario, ma non annulla il valore di tale principio: su di essa, infatti, grava «un’ipoteca sociale», cioè vi si riconosce, come qualità intrinseca, una funzione sociale, fondata e giustificata precisamente sul principio della destinazione universale dei beni. Né sarà da trascurare, in questo impegno per i poveri, quella speciale forma di povertà che è la privazione dei diritti fondamentali della persona, in particolare del diritto alla libertà religiosa e del diritto, altresì, all’iniziativa economica. 

Una vita più bella - Catechismo degli Adulti 143: Chi si converte, si apre alla comunione: ritrova l’armonia con Dio, con se stesso, con gli altri e con le cose; riscopre un bene originario, che in fondo da sempre attendeva. Zaccheo, capo degli esattori delle tasse a Gèrico, non aveva fatto altro che accumulare ricchezze, sfruttando la gente e procurandosi esecrazione da parte di tutti. Quando Gesù gli si mostra amico e va a cena da lui, comincia a vedere la vita con occhi nuovi: «Signore, io do la metà dei miei beni ai poveri; e se ho frodato qualcuno, restituisco quattro volte tanto» (Lc 19,8). Zaccheo deve rinunciare, almeno in parte, alle sue ricchezze; ma non si tratta di una perdita. Solo adesso, per la prima volta, è veramente contento, perché si sente rinascere come figlio di Dio e come fratello tra i fratelli.
La bellezza e il fascino del regno di Dio consentono di compiere con gioia le rinunce e le fatiche più ardue. Il bracciante agricolo che è andato a lavorare a giornata e zappando ha scoperto un tesoro, corre a vendere tutti i suoi averi per acquistare il campo e quindi impadronirsi del tesoro; il mercante, che ha trovato una perla di grande valore, vende tutto quello che possiede per poterla comprare. Il discepolo, che ha preso su di sé il «giogo» di Gesù, lo porta agevolmente, come un «carico leggero» (Mt 11,29-30).
Le rinunce, che Gesù chiede, sono in realtà una liberazione per crescere, per essere di più. Il sacrificio è via alla vera libertà, nella comunione con Dio e con gli altri. Chi riconosce Dio come Padre e fa la sua volontà, sperimenta subito il suo regno e riceve energie per una più alta moralità, per una storia diversa, personale e comunitaria, che ha come meta la vita eterna.

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
**** Chiunque ha bisogno di me e io posso aiutarlo, è il mio prossimo.
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Preghiamo con la Chiesa: O Dio, che ami l’innocenza, e la ridoni a chi l’ha perduta, volgi verso di te i nostri cuori e donaci il fervore del tuo Spirito, perché possiamo esser saldi nella fede e operosi nella carità. Per il nostro Signore Gesù Cristo...