11 Marzo 2019

Lunedì della Prima Settimana di Quaresima

Oggi Gesù ci dice: “Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me.” (Vangelo).
 
 Vangelo - Dal Vangelo secondo Matteo 25,31-46: Gesù verrà nella sua gloria, alla fine del mondo, come Giudice di tutti gli uomini. Gli uomini saranno giudicati non per le loro azioni eccezionali (Mt 7,22s), ma per le opere di misericordia (Is 58,7; Gb 22,6s; Sir 7,32s; ecc.) . Per gli eletti, i misericordiosi, è riservato il regno di Dio, per i vili e gli increduli, gli abietti e gli omicidi, gli immorali, i maghi, gli idolatri e per tutti i mentitori è riservato lo stagno ardente di fuoco e di zolfo (Ap 21,8).

Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria: CCC 1040-1041: Il giudizio finale avverrà al momento del ritorno glorioso di Cristo. Soltanto il Padre ne conosce l’ora e il giorno, egli solo decide circa la sua venuta. Per mezzo del suo Figlio Gesù pronunzierà allora la sua parola definitiva su tutta la storia. Conosceremo il senso ultimo di tutta l’opera della creazione e di tutta l’Economia della salvezza, e comprenderemo le mirabili vie attraverso le quali la provvidenza divina avrà condotto ogni cosa verso il suo fine ultimo. Il giudizio finale manifesterà che la giustizia di Dio trionfa su tutte le ingiustizie commesse dalle sue creature e che il suo amore è più forte della morte. Il messaggio del giudizio finale chiama alla conversione fin tanto che Dio dona agli uomini «il momento favorevole, il giorno della salvezza» (2Cor 6,2). Ispira il santo timor di Dio. Impegna per la giustizia del regno di Dio. Annunzia la «beata speranza» (Tt 2,13) del ritorno del Signore il quale «verrà per essere glorificato nei suoi santi ed essere riconosciuto mirabile in tutti quelli che avranno creduto» (2Ts 1,10).   

Venite, benedetti del Padre mio - La descrizione del giudizio finale presenta Gesù come un re che viene a separare «gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre», avendo come criterio discriminante le opere di misericordia. Davanti al Giudice saranno radunati tutti i popoli, espressione che include sia i pagani che i giudei. Prima della fine il «vangelo del regno sarà annunziato in tutto il mondo» (Mt 24,14). Il Re-Pastore separerà «le pecore dalle capre, e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra». Il criterio di giudizio saranno le azioni di misericordia fatte a uno dei «fratelli più piccoli» di Gesù. Tra i «più piccoli» forse vanno annoverati anche gli stessi discepoli di Gesù, accolti e rifocillati amorevolmente dagli uomini a cui portano la Buona Notizia (cfr. Mt 10,40-42; Lc 9,48; 10,16). La sorpresa dei giusti è nel sentire che tutte le volte che hanno soccorso qualcuno nel bisogno lo hanno fatto al Signore. È la stessa sorpresa degli empi, ai quali Gesù dirà: «In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l’avete fatto a me». Gli uomini per ricevere in «eredità il regno» preparato per loro «fin dalla creazione del mondo» dovranno quindi superare un esame, la cui unica materia da vagliare sarà l’amore. Il regno di Gesù è un regno di santità, di pace e di amore e vi può entrare soltanto chi ama e compie opere di misericordia verso gli afflitti. Il Re che siede sul trono della gloria e che raccoglie dinanzi al suo tribunale tutti gli uomini, afferma con chiarezza che atto formale di riconoscimento della sua regalità sono le attenzioni usate a quanti hanno fame e sete, ai forestieri, agli indigenti, ai poveri, ai malati e ai carcerati. Perché soltanto «questo è il punto che ci qualifica definitivamente davanti a Dio. Non contano tanto i sentimenti e le intenzioni, l’ideologia e le parole, cioè “Signore, Signore”, quello che uno fu e fece, che apprezzò e rappresentò, che lavorò o soffrì, creò e organizzò, quanto se amò o non amò i fratelli. Perché questa è la volontà di Dio, che chi lo ama, ami anche i fratelli» (Basilio Caballero). Solo l’amore può costruire all’uomo una casa eterna dove abitano la gioia e la pace.

Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare - Misericordiae Vultus 15: Riscopriamo le opere di misericordia corporale: dare da mangiare agli affamati, dare da bere agli assetati, vestire gli ignudi, accogliere i forestieri, assistere gli ammalati, visitare i carcerati, seppellire i morti. E non dimentichiamo le opere di misericordia spirituale: consigliare i dubbiosi, insegnare agli ignoranti, ammonire i peccatori, consolare gli afflitti, perdonare le offese, sopportare pazientemente le persone moleste, pregare Dio per i vivi e per i morti.
Non possiamo sfuggire alle parole del Signore: e in base ad esse saremo giudicati: se avremo dato da mangiare a chi ha fame e da bere a chi ha sete. Se avremo accolto il forestiero e vestito chi è nudo. Se avremo avuto tempo per stare con chi è malato e prigioniero (cfr Mt 25,31-45). Ugualmente, ci sarà chiesto se avremo aiutato ad uscire dal dubbio che fa cadere nella paura e che spesso è fonte di solitudine; se saremo stati capaci di vincere l’ignoranza in cui vivono milioni di persone, soprattutto i bambini privati dell’aiuto necessario per essere riscattati dalla povertà; se saremo stati vicini a chi è solo e afflitto; se avremo perdonato chi ci offende e respinto ogni forma di rancore e di odio che porta alla violenza; se avremo avuto pazienza sull’esempio di Dio che è tanto paziente con noi; se, infine, avremo affidato al Signore nella preghiera i nostri fratelli e sorelle. In ognuno di questi “più piccoli” è presente Cristo stesso. La sua carne diventa di nuovo visibile come corpo martoriato, piagato, flagellato, denutrito, in fuga… per essere da noi riconosciuto, toccato e assistito con cura. Non dimentichiamo le parole di san Giovanni della Croce: «Alla sera della vita, saremo giudicati sull’amore».

.. maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli: La pena dell’inferno: Catechismo degli Adulti 1222: La pena va intesa come esclusione dalla comunione con Dio e con Cristo: «Allontanatevi da me voi tutti operatori d’iniquità!» (Lc 13,27). «Costoro saranno castigati con una rovina eterna, lontano dalla faccia del Signore e dalla gloria della sua potenza» (2Ts 1,9). L’esclusione però non è subita passivamente: con tutto se stesso, a somiglianza degli angeli ribelli, il peccatore rifiuta l’amore di Dio: «Ogni peccatore accende da sé la fiamma del proprio fuoco. Non che sia immerso in un fuoco acceso da altri ed esistente prima di lui. L’alimento e la materia di questo fuoco sono i nostri peccati». L’inferno è il peccato diventato definitivo e manifestato in tutte le sue conseguenze, la completa incapacità di amare, l’egoismo totale. La pena è eterna, perché il peccato è eterno. Il dannato soffre, ma si ostina nel suo orgoglio e non vuole essere perdonato. Il suo tormento è collera e disperazione, «stridore di denti» (Lc 13,28), lacerazione straziante tra la tendenza al bene infinito e l’opposizione ad esso. L’amore di Dio, respinto, diventa fuoco che divora e (cfr. Dt 4,24; Is 10,17) consuma; lo sguardo di Cristo brucia come fiamma. Dio ama il peccatore, ma ovviamente non si compiace di lui: la sua riprovazione pesa terribilmente.

Premio dei buoni e condanna degli empi - Catechismo Tridentino 93-94 (Articolo Settimo): Venite, benedetti dal Padre mio, possedete il regno preparato a voi fin dalla fondazione del mondo (Mt 15,34). Non ci sono parole più gioconde di queste: e ben lo intenderà chi le porrà a paragone con la condanna degli empi. Con esse gli uomini giusti e pii sono chiamati dalle fatiche al riposo, da questa valle di lacrime al sommo gaudio, dalle miserie alla beatitudine sempiterna, meritata con le opere di carità.
Rivolto poi a quelli che staranno alla sua sinistra, fulminerà contro di essi la sua giustizia con queste parole: Via da me, maledetti, al fuoco eterno, preparato per il diavolo ed i suoi angeli (Mt 25,41). Con le prime, “Via da me”, viene espressa la maggiore delle pene che colpirà gli empi, con l’essere cacciati il più possibile lungi dal cospetto di Dio, né li potrà consolare la speranza che un giorno potranno fruire di tanto bene. Questa è dai teologi chiamata pena del danno; per la quale gli empi saranno privati per sempre, nell’inferno, della luce della visione divina. L’altra parola: “maledetti”, aumenterà sensibilmente la loro miseria e calamità. Se mentre sono cacciati dalla presenza di Dio fossero stimati degni almeno di qualche benedizione, questo tornerebbe a grande loro sollievo; ma poiché nulla di simile potranno aspettarsi, che allievi la loro disgrazia, la divina giustizia, cacciandoli giustamente, li colpisce con ogni sua maledizione.

Chi va all’inferno - Claudio Crescimanno (I Novissimi): «Dio non predestina nessuno ad andare all’inferno (cf. Concilio di Orange II, 397; Concilio di Trento, 1567); questo è la conseguenza di un’avversione volontaria a Dio (un peccato mortale) in cui si persiste sino alla fine» (Catechismo della Chiesa Cattolica, n° 1037). Dunque non è così facile, ma purtroppo non è impossibile. Infatti «non possiamo essere uniti a Dio se non scegliamo liberamente di amarlo. Ma non possiamo amare Dio se pecchiamo gravemente contro di Lui, contro il nostro prossimo o contro noi stessi» (Catechismo della Chiesa Cattolica, n° 1033), poiché non si può essere amici di qualcuno e poi fare consapevolmente e deliberatamente ciò che a lui dispiace. È dunque inevitabile che «morire in peccato mortale senza esserne pentiti e senza accogliere l’amore misericordioso di Dio, significa rimanere separati per sempre da Lui per una nostra libera scelta» (Catechismo della Chiesa Cattolica, n° 1033). In sintesi: ognuno di noi dà un orientamento alla propria vita, verso Dio o contro Dio; Dio stesso ci illumina con la Rivelazione e nell’intimo della coscienza, e con la sua grazia ci sostiene o ci corregge perché tale orientamento sia per il bene; se nonostante questo, liberamente, l’uomo decide di vivere sino alla fine rifiutando Dio, Dio rispetta questa decisione e permette all’uomo di proseguire per sempre nella scelta fatta.

L’inferno come rifiuto definitivo di Dio - Giovanni Paolo II (Udienza Generale, 28 Luglio 1999): Le immagini con cui la Sacra Scrittura ci presenta l’inferno devono essere rettamente interpretate. Esse indicano la completa frustrazione e vacuità di una vita senza Dio. L’inferno sta ad indicare più che un luogo, la situazione in cui viene a trovarsi chi liberamente e definitivamente si allontana da Dio, sorgente di vita e di gioia. Così riassume i dati della fede su questo tema il Catechismo della Chiesa Cattolica: «Morire in peccato mortale senza esserne pentiti e senza accogliere l’amore misericordioso di Dio, significa rimanere separati per sempre da lui per una nostra libera scelta. Ed è questo stato di definitiva auto-esclusione dalla comunione con Dio e con i beati che viene designato con la parola ‘inferno’» (n. 1033).
La ‘dannazione’ non va perciò attribuita all’iniziativa di Dio, poiché nel suo amore misericordioso egli non può volere che la salvezza degli esseri da lui creati. In realtà è la creatura che si chiude al suo amore. La ‘dannazione’ consiste proprio nella definitiva lontananza da Dio liberamente scelta dall’uomo e confermata con la morte che sigilla per sempre quell’opzione. La sentenza di Dio ratifica questo stato.
La fede cristiana insegna che, nel rischio del ‘sì’ e del ‘no’ che contraddistingue la libertà creaturale, qualcuno ha già detto no. Si tratta delle creature spirituali che si sono ribellate all’amore di Dio e vengono chiamate demoni (cfr Concilio Lateranense IV: DS 800-801). Per noi esseri umani questa loro vicenda suona come ammonimento: è richiamo continuo ad evitare la tragedia in cui sfocia il peccato e a modellare la nostra esistenza su quella di Gesù che si è svolta nel segno del ‘sì’ a Dio.
La dannazione rimane una reale possibilità, ma non ci è dato di conoscere, senza speciale rivelazione divina, quali esseri umani vi siano effettivamente coinvolti. Il pensiero dell’inferno - tanto meno l’utilizzazione impropria delle immagini bibliche - non deve creare psicosi o angoscia, ma rappresenta un necessario e salutare monito alla libertà, all’interno dell’annuncio che Gesù Risorto ha vinto Satana, donandoci lo Spirito di Dio, che ci fa invocare “Abbà, Padre” (Rm 8,15; Gal 4,6).
Questa prospettiva ricca di speranza prevale nell’annuncio cristiano. Essa viene efficacemente riflessa nella tradizione liturgica della Chiesa, come testimoniano ad esempio le parole del Canone Romano: “Accetta con benevolenza, o Signore, l’offerta che ti presentiamo noi tuoi ministri e tutta la tua famiglia ... salvaci dalla dannazione eterna, e accoglici nel gregge degli eletti”.

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
****  La dannazione rimane una reale possibilità.
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Preghiamo con la Chiesa: Convertici a te, o Padre, nostra salvezza e formaci alla scuola della tua sapienza, perché l’impegno quaresimale lasci una traccia profonda nella nostra vita. Per il nostro Signore Gesù Cristo..