9 Febbraio 2019

Sabato IV Settimana T. O.


Oggi Gesù ci dice: «Le mie pecore ascoltano la mia voce, e io le conosco ed esse mi seguono.» (Gv 10,27 - Acclamazione al Vangelo).

Vangelo - Dal vangelo secondo Marco 6,30-34: Nel brano evangelico troviamo alcuni temi molto cari all’Antico Testamento: il tema del riposo che richiama il riposo di Dio dopo la creazione, oppure l’entrata del popolo d’Israele nella Terra Promessa; le pecore senza pastore sono un’immagine che ricorda l’“amarezza e il dolore” di Dio a motivo della infingardaggine dei pastori d’Israele che invece di pascere le pecore a loro affidate pascono se stessi. Sarà Gesù, vero Dio e vero Uomo, il buon Pastore che concederà il riposo alle sue pecore e per la loro salvezza offrirà la sua vita sul legno della Croce.

Venite in disparte - Gli apostoli, precedentemente inviati (Mc 6,7), di ritorno dalla missione, riferiscono al Maestro «tutto quello che avevano fatto e quello che avevano insegnato» (Mc 6,30): Gesù «rimane al centro di tutta la loro attività. Li aveva inviati e ora tornano a rendergli conto del loro lavoro, a fare il punto con lui, come servi presso il padrone» (I quattro vangeli commentati).
È importante la sottolineatura «tutto quello che avevano fatto» che precede «quello che avevano insegnato»: l’insegnamento deve essere reso valido dalla coerenza della condotta.
«La predica - suggerisce sant’Antonio di Padova - è efficace, ha una sua eloquenza, quando parlano le opere... “Una legge, dice Gregorio, si imponga al predicatore: metta in atto ciò che predica”. Inutilmente vanta la conoscenza della legge colui che con le opere distrugge la sua dottrina».
Gli apostoli avevano scacciato i demoni, guarito gli infermi e avevano predicato la conversione (Mc 6,12-13): fare e insegnare, le stesse cose che compie Gesù ora diventano mandato e primario impegno degli apostoli. La Chiesa primitiva è chiamata a riconoscere proprio in questa attività, ancorata al ministero di Gesù e degli apostoli, il compito fondamentale della sua attività di evangelizzazione. 
Gesù invita gli apostoli a farsi in disparte con lui e a «riposare». Questa chiamata in un luogo in disparte non è una fuga, ma il tentativo di ritrovare un po’ di pace e di intimità in quanto la folla, che seguiva Gesù fin dagli inizi della sua predicazione, li pressava da ogni parte e non lasciava loro «neanche il tempo di mangiare» (Mc 6,31; Cf. Mc 1,33.37.45; 2,2; 3,20.32; 4,1; 5,21.31).
Il tema del riposo, caro all’Antico Testamento e che richiama l’ingresso del popolo eletto nella Terra promessa (Cf. Dt 3,20; 12,10; 25,19; Gs 1,13.15), indica la partecipazione al sabato eterno, alla vita stessa di Dio (Cf. Eb 3,11-18; 4,3-11). Nel brano di Marco, anticipa l’immagine di Gesù come ‘buon pastore’ (Gv 10,1ss) che concede il riposo alle sue pecore (Cf. Is 65,10; Ez 34,15; Sal 22,2).
Gesù invita ad appartarsi in un “luogo deserto”. Nella sacra Scrittura, il deserto è il luogo ideale dove Dio parla al cuore dell’uomo: il luogo «ove l’aria è più pura, il cielo più aperto, e Dio più familiare ... per riposarsi nella preghiera, vivere con gli Angeli e per invocare il Signore e sentirlo rispondere: “Ecco sono qui” [Es 33,4]» (Origene). Ritirarsi con Gesù in un luogo desertico è esigenza essenziale e vitale per ogni comunità missionaria come lo era per Gesù che spesso si ritirava in intima comunione con il Padre. È importante che «Gesù e i Dodici abbiano il tempo per riposarsi, pregare, prender le distanze rispetto alla loro attività e ritrovarsi insieme. Si noti questa sollecitudine molto umana di Gesù. Il riposo, la distensione e anche il tempo di riflessione e di ripresa sono indispensabili a ogni uomo, compresi gli operai del Vangelo» (I Quattro Vangeli Commentati).

...  gli riferirono tutto quello che avevano fatto e quello che avevano insegnato: Catechismo della Chiesa Cattolica 472: L’anima umana che il Figlio di Dio ha assunto è dotata di una vera conoscenza umana. In quanto tale, essa non poteva di per sé  essere illimitata: era esercitata nelle condizioni storiche della sua esistenza nello spazio e nel tempo. Per questo il Figlio di Dio, facendosi uomo, ha potuto voler “crescere in sapienza, età e grazia” (Lc 2,52)  e anche  doversi informare intorno a ciò che nella condizione umana non si può apprendere che attraverso l’esperienza. Questo era del tutto consono alla realtà del suo volontario umiliarsi nella “condizione di servo” (Fil 2,7).
473 Al tempo stesso, però, questa conoscenza veramente umana del Figlio di Dio esprimeva la vita divina della sua persona. «Il figlio di Dio conosceva ogni cosa; e ciò per il tramite dello stesso uomo che egli aveva assunto; non per la natura (umana), ma per il fatto che essa stessa era unita al Verbo [...]. La natura umana, che era unita al Verbo, conosceva ogni cosa, e tutto ciò che è divino lo mostrava in se stesso per la sua maestà». È, innanzi tutto, il caso della conoscenza intima e immediata che il Figlio di Dio fatto uomo ha del Padre suo. Il Figlio di Dio anche nella sua conoscenza umana mostrava la penetrazione divina che egli aveva dei pensieri segreti del cuore degli uomini.

Ma molti «però li videro partire e capirono, e da tutte le città accorsero là a piedi e li precedettero»: Questa intrusione inopportuna non genera stizza o rabbia; infatti, Gesù, sceso dalla barca, vedendo quell’immensa folla, «ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore» (Mc 6,34). Un’immagine molto ricorrente nell’Antico Testamento per indicare il popolo che vaga senza meta perché senza guide (Cf. Num 27,17; 1Re 22,17; Ez 34,5).
La commozione di Gesù per la folla importuna non è semplicemente un sentimento di pietà o di commiserazione: la motivazione sta nel fatto che erano come pecore senza pastore e Gesù è il “buon Pastore” secondo il cuore di Dio, mandato dal Padre a radunare l’umanità dispersa in un solo ovile (Gv 10,16). Gesù di fronte alla folla che lo incalza, dimenticando il riposo, si mette a insegnare ad essa «molte cose». L’attività cui Gesù dà il primato è quello dell’insegnamento e dell’annuncio. Ora nutre la folla con il pane della parola, in seguito moltiplicherà i pani e la sazierà fisicamente.
Questo ordine, insegnamento-nutrimento, non è casuale. È un’indicazione per sé molto preziosa che la Chiesa ha fatto sua: «La Chiesa ha sempre venerato le divine Scritture come ha fatto per il corpo stesso del Signore, non tralasciando mai, soprattutto nella liturgia, di nutrirsi del pane di vita prendendola dalla mensa sia della parola di Dio sia del corpo di Cristo e di porgerlo ai fedeli» (DV 21).

Gesù si mise a insegnare alla folla molte cose - Roberto Tufariello (Insegnare in Schede Bibliche Pastorali): Cristo è il maestro per eccellenza. Durante la sua vita pubblica, l’insegnamento costituisce un aspetto essenziale della sua attività. Nei brevi passi che riassumono la sua azione durante i viaggi in Galilea, si dice in primo luogo che egli insegnava, poi che annunziava la buona novella del regno e infine che guariva i malati (Mt 4,23). L’insegnamento aveva luogo generalmente nelle sinagoghe (Mt 9,35; 12,9ss; 13,54; Mc 1,21; Lc 4,15; Gv 18,20); a Gerusalemme però aveva luogo nel tempio (Mc 12,35; Lc 21,37; Mt 26,55; Gv 7,14ss; 8,20). Egli però ha insegnato anche in piena campagna, presso la riva di un lago, per strada, o in casa. Insegnava quotidianamente (Mt 26,55) e in modo speciale in occasione delle feste (Gv 8,20).
«Con questi dati dei vangeli concorda il fatto che gran parte di quanto ci è stato tramandato su Gesù è costituito da insegnamenti» (Kittel).
Come si comportasse Gesù nella sua azione didattica, possiamo vederlo dal racconto della visita nella sinagoga di Nazaret (Lc 4,16-21): dopo aver letto in piedi un passo biblico (Is 61,1-2), Gesù siede alla maniera di coloro che spiegavano la scrittura (Cf. Lc 2,46), e stando così seduto parla riferendosi al testo letto (Cf. Mt 13,53ss; Mc 6,2-3). La forma del suo insegnamento, quindi, non differisce da quella usata dai maestri di Israele, tra i quali si è confuso fin nella sua giovinezza (Lc 2, 46) e che spesso lo hanno interrogato per essere illuminati (Cf. Mt 22,16; Gv 3,10). A lui, come ad essi, viene dato il titolo di rabbi, cioè maestro, ed egli lo accetta (Gv 13,13); rimprovera però agli scribi e ai farisei di ricercare questo titolo, dimenticando che per gli uomini c’è un solo maestro, Dio (Mt 23,6-8).
Tuttavia, se appare alle folle come un maestro tra gli altri, Gesù se ne distingue in diversi modi. Egli si presenta come l’interprete autorizzato della legge, che vuole portare alla perfezione (Mt 5,17). A tale riguardo egli insegna con una autorità singolare, a differenza degli scribi, così pronti a nascondersi dietro l’autorità degli antichi (Mt 7,28-29). Non dalla tradizione dei padri, ma dalla propria persona egli fa derivare la propria autorità: «Io vi dico...» (Mt 5,21-22.27-28.31-32; ecc.).
Inoltre la sua dottrina presenta un carattere di novità che colpisce gli ascoltatori (Mc 1,27), sia che si tratti del suo annuncio del regno, sia delle regole di vita che egli dà; trascurando le questioni di scuola, oggetto di una tradizione farisaica che respinge (Cf. Mt 15,1-9), egli vuol far conoscere il messaggio autentico di Dio e portare gli uomini ad accoglierlo.
Il segreto dell’atteggiamento così nuovo di Gesù è nella sua stessa persona, nella sua coscienza di essere il figlio di Dio. A differenza dei maestri umani, la sua dottrina non è «sua», ma di colui che lo ha mandato (Gv 7,16-17): egli dice soltanto ciò che il Padre gli rivela e gli ispira (Gv 8,28). Il Padre infatti «ammaestra» Gesù, cioè plasma la sua volontà in piena conformità alla propria, perché possa parlare in suo nome. Accogliere l’insegnamento di Gesù, quindi, significa essere docili a Dio stesso.
L’insegnamento di Gesù comporta un appello rivolto da Dio a tutto l’uomo; esso quindi non si riduce all’aspetto dottrinale, ma mira a educare e a configurare l’uomo secondo la volontà di Dio (Cf. Mt 5,48). Già i maestri di Israele avevano accentrato la loro attività didattica nella legge perché la concepivano come la via sulla quale l’uomo si affatica per giungere a Dio. Gesù è l’erede e il termine di questo insegnamento (Rom 10,4). Ora egli, con ognuna delle sue parole, porta gli ascoltatori nel vivo della volontà di Dio, perché la conoscano e vi aderiscano (Gv 7,17). Per giungere a tanto, bisogna aver ricevuto quella grazia interiore che, secondo la promessa dei profeti, rende l’uomo docile all’insegnamento di Dio (Gv 6,44-45).
Non tutti accolgono questa grazia: la parola di Cristo urta contro l’accecamento volontario di coloro che pretendono di possedere la luce, mentre sono ciechi (Cf. Gv 9,39-41).
 
Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
***  «La Chiesa ha sempre venerato le divine Scritture come ha fatto per il corpo stesso del Signore, non tralasciando mai, soprattutto nella liturgia, di nutrirsi del pane di vita prendendola dalla mensa sia della parola di Dio sia del corpo di Cristo e di porgerlo ai fedeli» (DV 21).
Nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Preghiamo con la Chiesa: Dio grande e misericordioso, concedi a noi tuoi fedeli di adorarti con tutta l’anima e di amare i nostri fratelli nella carità del Cristo. Egli è Dio, e vive e regna con te...