21 Febbraio 2019

Giovedì VI Settimana del Tempo Ordinario

Oggi Gesù ci dice: “Dio ha tanto amato il mondo da donare il suo unico Figlio, perché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia la vita eterna.” (Gv 3,16 - Antifona alla comunione).

Dal Vangelo secondo Marco 8,27-33: A differenza di Matteo, Marco, come Luca, è molto più stringato: alla confessione della messianicità di Gesù non aggiunge quella della filiazione divina e omette altri particolari. A seguito della professione di fede esplicita nella sua messianicità, Gesù fa il primo annunzio della passione: «al compito glorioso di Messia egli aggiunge il compito doloroso di servo sofferente. Con questa pedagogia, che sarà rafforzata qualche giorno dopo dalla trasfigurazione, anch’essa seguita dall’imposizione del silenzio e da un annunzio analogo (Mt 17,1-12), egli prepara la loro fede alla prossima crisi della sua morte e resurrezione» (Bibbia di Gerusalemme). Pietro, non comprendendo appieno le parole, tenta di vanificare il progetto del Maestro, diventando in questo modo il fautore, certo incosciente, dello stesso Satana (cf. Mt 4,1-10).

Chi dite che io sia? - Punto centrale - Basilio Caballero (La Parola per Ogni Giorno): Punto centrale e di netta divisione del vangelo di Marco è il brano evangelico di oggi: la professione di fede dell’apostolo Pietro. Da una parte, Gesù completa la sua autorivelazione; dall’altra, introduce il tema del messia sofferente che sarà sviluppato nei capitoli successivi fino a concludersi con la passione, morte e risurrezione di Gesù. Il brano ha in Marco una perfetta unità, più che in Matteo, che qui inserisce il primato di Pietro (Mt 16,13ss). Nel testo di Marco vediamo questa progressione: Gesù fa una breve inchiesta sulla sua persona, domandando ai discepoli che cosa pensa la gente di lui. Il popolo, impressionato dalla personalità, dalla dottrina e dai miracoli di Gesù, crede che sia veramente un profeta. Alcuni lo identificano con il Battista redivivo, altri con il mitico Elia che sarebbe tornato, e altri ancora con uno dei grandi profeti. Fin qui non era difficile rispondere. Ma Gesù va oltre: «E voi? Chi dite che io sia?». Domanda impegnativa, decisiva.
Professione di fede di Pietro. Allora, a nome degli altri, «Pietro gli rispose: “Tu sei il Cristo”». Solo i discepoli erano capaci di arrivare a questa conclusione, culmine di tutto un processo di domande che essi ponevano sul maestro, per il quale avevano lasciato tutto. Gesù accetta tacitamente questa dichiarazione, poiché proibisce loro perentoriamente di parlarne. Ancora una volta la legge del silenzio messianico, per evitare l’idea di un messia trionfale, restauratore del regno politico di Davide, secondo l’opinione di ogni ebreo, inclusi i discepoli.
Primo annuncio del messia sofferente. Poi Gesù istruisce gli apostoli sul suo genere di messianismo, molto diverso da quello che essi aspettavano. Con tutta chiarezza, predice loro che «il Figlio dell’uomo doveva molto soffrire, ed essere riprovato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi, poi venire ucciso e, dopo tre giorni, risuscitare». Sorprendente! Questo non era ei loro calcoli.
La reazione di Pietro, che lo aveva appena professato come messia, è di opposizione frontale. Questo gli vale un duro rimprovero di Gesù davanti agli altri: «Lungi da me, satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini» (parte che Lc 9,18ss sopprime). Questa è la prova esauriente di quanto fosse imperfetta la sua fede messianica.

Gesù partì con i suoi discepoli verso i villaggi intorno a Cesarèa di Filippo  - Adalberto Sisti (Marco): versetto 27 Cesarea di Filippo: città costruita dal tetrarca Filippo come Bethsaida (v. 22 nota), a soli 4 km a est di Dan, estremo limite settentrionale della Palestina (1Sam 3,20; 2Sam 3,10; 24,2), e a circa 40 km dalla stessa Bethsaida, da cui Gesù proveniva. Sorgeva in una località rigogliosa, ricca di acque e di giardini. In una grotta, da cui scaturiva una delle sorgenti del Giordano, fin dall’epoca ellenistica si venerava il dio Pan, da cui poi prese nome il villaggio vicino Paneas, chiamato ancora oggi in arabo Banias.
Come ogni città ellenistica, possedeva un vasto territorio comprendente molti villaggi, che facevano capo ad essa.
- Chi dice la gente che io sia?: è Gesù stesso che prende l’iniziativa del dialogo, approfittando di una pausa del viaggio per parlare con i discepoli liberamente, senza essere ascoltato da altri. La domanda, anche se esige una risposta precisa (v. 28), ha una chiara funzione introduttiva in relazione alla domanda successiva, che costituisce il punto di maggiore interesse.
versetto 28: I discepoli riferiscono esattamente le voci che circolavano anche presso la corte di Erode Antipa (6,14-16). La figura e l’attività di Gesù non coincidevano con l’immagine che i giudei del tempo si erano fatta del Messia come restauratore del regno di Davide. Perciò, per quanto egli fosse ammirato per la sua dottrina e per i suoi miracoli, il pensiero della gente comune non poteva spingersi oltre il profeta Elia, atteso da tutti come precursore del Messia.

E voi chi dite che io sia? - Gesù è «in cammino verso i villaggi intorno a Cesarea di Filippo».  Camminando, Gesù saggia la fede dei suoi discepoli e la conoscenza che essi hanno della sua persona. Questo modo informale sembra suggerire che Gesù voglia mettere a proprio agio i suoi interlocutori perché possano esprimere le loro idee con franchezza, in tutta libertà. La risposta è spontanea e fa intendere che essi non si associano al sentire comune. Interpellati personalmente, «voi chi dite che io sia?», essi rispondono affidandosi alla mediazione di Pietro. Che sia Pietro a prendere la parola fa capire che già in gruppo ne avevano parlato ed ora lasciavano la parola a colui di cui riconoscevano una certa autorità.
«Tu sei il Cristo», il Messia. Questa risposta va al di là della stessa comprensione umana di Pietro così come suggerisce Matteo: «Beato te, Simone figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l’hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli» (16,17).
Il divieto severo di «non parlare di lui a nessuno», è volto anche a non suscitare false speranze soprattutto in mezzo al popolo: il messianismo atteso dai giudei, un messianismo politico, liberatore, non era in sintonia con quello di Gesù.

E cominciò a insegnare loro che il Figlio dell’uomo doveva soffrire molto Benedetto Prete (I Quattro vangeli): Il preannunzio della passione e della risurrezione, riferito concordemente dai tre Sinottici dopo il racconto dell’episodio di Cesarea di Filippo, aveva lo scopo di servire come correttivo alla falsa concezione, largamente diffusa nel popolo, di un Messia glorioso e trionfatore dei nemici d’Israele. Dopo che i discepoli per bocca di Pietro avevano dichiarato con fermezza che Gesù era il Messia, il Maestro ritenne opportuno svelare ad essi il destino che lo attendeva; con questo insegnamento gli apostoli avrebbero avuto una cognizione esatta del messianismo di Gesù, poiché secondo il piano divino il Messia doveva attuare la salvezza spirituale degli uomini attraverso la passione, la morte e la risurrezione (cf. Isaia 53). Le parole di Cristo costituiscono una autentica profezia poiché predicono un complesso di avvenimenti futuri designati con termini chiari e con particolari ben definiti. Marco rileva che Gesù diceva queste cose apertamente (παρησία) cioè senza servirsi di metafore o di parole velate. Pietro... prese a rimproverarlo; il linguaggio aperto del Maestro suscitò un’immediata reazione in Pietro e nei suoi compagni. L’apostolo, ardente ed impulsivo, desidera parlare in disparte con Gesù e manifestargli il suo risentimento per un annunzio così doloroso e sconcertante.

Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo - Vincent Taylor (Marco): «Lo prese in disparte» (proslambanomai): secondo McNeile: «lo tirò a sé» con un gesto come di protezione (p. 245). Matteo aggiunge le parole di Pietro: «Dio te ne scampi, Signore; questo non ti accadrà mai» (16, 22). Luca salta tutt’intero l’episodio. Antichi manoscritti latini hanno una lezione simile all’aggiunta di Matteo. Si potrebbe trattare di una assimilazione a Matteo; ma è più facile supporre che essi rappresentino l’originale marciano perché la lettura matteana non è di quel tipo di aggiunte che ci aspetteremmo in questo vangelo, mentre sarebbe sulla linea della spontaneità di Marco, e spiegherebbe meglio la brusca risposta di Gesù. L’atteggiamento di Pietro, così presuntuoso, se non paternalistico (cfr. 1,37), è pieno di realismo. Soltanto un testimonio oculare può essere all’origine di quest’episodio. «Voltatosi» (epistrafeis): è un «atto caratteristico» di Gesù (cfr. 5,30; Mt. 9,22; Lc. 7,9.44; 9,55; 10,23; 14,25; 22,61; 23 28; Gv. 1,38), quasi per affrontare chi ha parlato: così Swete, 180. La frase addizionale («guardan­do i suoi discepoli») è esclusiva di Marco: il rimprovero che segue deve insegnare a loro non meno che a Pietro. Le parole: «lungi da me, Satana!» insinuano che l’intervento di Pietro comporta lo stesso tipo di tentazione che si era presentato nel deserto: quella di accettare il ruolo messianico su misura delle aspettative popolari. Froneó = «avere una certa mentalità» o di riflessione o di progetto. Il verbo significa «l’orientamento che il pensiero (di carattere pratico) prende» (H. A. A. Kennedy). Sebbene il termine sia caratteristico di Paolo, è così comune che non c’è bisogno di supporre che Marco scriva sotto l’influsso di Rom. 8,5 o di Col. 3,2; tanto più che ta tòn anthròpòn è un’espressione molto più facile che ta tès sarkos o ta epi tès gès (cfr. Lagrange).
Dunque: «non hai una mentalità secondo Dio ma secondo gli uomini».
Nell’insieme «queste informazioni provengono, dai ricordi e dalle narrazioni di Pietro» (J. Weiss, 63). Matteo aggiunge, dopo «Satana»:  mi sei di scandalo» (16, 23). Un suggerimento interessante è che l’originale fosse: «Io ti sono di scandalo». Comunque sia, è difficile pensare che Matteo avrebbe aggiunto queste parole se non le avesse trovate nella tradizione; ma è impossibile dire se originariamente esse fossero in Marco.

Questo è il segno dell’alleanza (I Lettura) - Angel González: Con l’alleanza, Dio promette che non vi sarà un altro diluvio che distruggerà la terra o la vita, in nessuna delle sue forme. Alla luce del precedente precetto di rispettare la vita, questa promessa significa che Dio stabilisce con la vita stessa un patto di difesa. L’offesa alla vita è offesa a Dio. In altre parole, Dio conferma la vita e l’ordine naturale; il che vuol dire che questi sono luoghi teologici, nei quali la fede ha scoperto l’azione creatrice e salvatrice di Dio. Di fronte alla molteplicità delle creature emerse dal caos, l’ordine naturale si presenta come un vero dono di Dio.
La promessa ha come segno l’arcobaleno, un segno d’ordine naturale in un patto con la natura. Il segno «ri­corda» al Dio dell’universo la sua promessa, e, per coloro che ricevono la promessa, è come una testimonian­za: ogni volta che si fa vedere, questo testimone riafferma che l’ordine del mondo è conservato da Dio. Questo segno dell’arcobaleno ha un riferimento all’acqua del diluvio: sostiene le cateratte delle acque. Corrisponde a questo pensiero anche il fatto che l’arcobaleno (geset) designa anche l’arco di guerra che, nel simbolismo, si trasforma in arco di pace.

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
**** “Dio ha tanto amato il mondo da donare il suo unico Figlio, perché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia la vita eterna.” (Gv 3,16).
Questa parola cosa ti suggerisce?
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Preghiamo con la Chiesa: O Dio, che hai promesso di essere presente in coloro che ti amano e con cuore retto e sincero custodiscono la tua parola, rendici degni di diventare tua stabile dimora. Per il nostro Signore Gesù Cristo...