20 Febbraio 2019

Mercoledì VI Settimana del Tempo Ordinario

Oggi Gesù ci dice: “Dio ha tanto amato il mondo da donare il suo unico Figlio, perché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia la vita eterna.” (Gv 3,16 - Antifona alla comunione).

Dal Vangelo secondo Mc 8,22-26: Il cieco, nella società ebraica, non era disprezzato ed esistevano delle leggi che custodivano la sua incolumità. Nel libro del Levitico leggiamo: “Non maledirai il sordo, né metterai inciampo davanti al cieco” (Lev 19,14), e nel libro del Deuteronomio: “Maledetto chi fa smarrire il cammino al cieco”. Naturalmente il cieco aveva dei limiti imposti proprio dal suo handicap, per esempio non poteva accedere al sacerdozio (Lv 21,18). Nonostante che i ciechi fossero sotto la protezione particolare di Dio, ed esistesse una legislazione a loro tutela, di fatto, i ciechi facevano parte dei mendicanti. Se la cecità fisica era tollerata, la cecità “dello spirito” era rimproverata in modo particolare dai profeti e comminata come castigo. Così nel libro del profeta Isaia che è inviato a un popolo “sordo e cieco”: il Signore disse: “Va’ e riferisci a questo popolo: «Ascoltate pure, ma non comprenderete, osservate pure, ma non conoscerete»”(Is 6,9). E il vangelo di Matteo registra questo rimprovero di Gesù rivolto ai farisei “guide cieche di ciechi”: “Lasciateli stare! Sono ciechi e guide di ciechi. E quando un cieco guida un altro cieco, tutti e due cadranno in un fosso!” (Mt 15,14). La guarigione dei ciechi sta indicare la venuta del Messia in mezzo al popolo di Israele (Lc 7,18-23).

Rinaldo Fabris (Marco): La guarigione del cieco di Betsàida, sulla riva orientale del lago, l’ultimo episodio della sezione del pane e occupa una posizione parallela a quella del sordomuto della Decapoli, 7,32-37. Il primo annuncia la chiamata dei pagani alla salvezza, il secondo anticipa l’illuminazione dei discepoli al seguito di Gesù sulla strada : Gerusalemme, 8,27-33. I due racconti presentano un evidente parallelismo anche di struttura e di terminologia per cui si possono spiegare non solo sulla base di modello narrativo comune, ma come un’imitazione intenzionale da parte del redattore. L’altra peculiarità di questo miracolo è la guarigione progressiva in due tempi: dopo il primo intervento di Gesù, il cieco vede confusamente; dopo la seconda imposizione delle mani vede distintamente. Tenendo presente ciò che Marco ha appena detto con molta insistenza circa la comprensione profonda dei gesti di Gesù, 8,17-21, non si può ascrivere questo particolare della guarigione del cieco semplicemente a pignoleria del cronista. Con un’espressione ripresa dai profeti l’incomprensione dei discepoli era presentata come cecità: Avendo occhi non vedete ... , 8,17b.
L’illuminazione dei discepoli avverrà sulla strada di Cesarea di Filippo, quando Gesù affronterà il gruppo in due momenti, con due domande successive: Chi dice la gente che io sia? Ma voi chi dite che io sia?, 8,27-29. La guarigione graduale del cieco di Betsàida anticipa, in una specie di azione simbolica, la graduale apertura dei discepoli alla fede.

Allora gli impose di nuovo le mani sugli occhi... - Bibbia di Navarra (I Quattro Vangeli): Le guarigioni operate da Gesù erano di solito immediate. Questa, invece richiese un po’di tempo. Perché mai? Perché, a quanto pare, la fede del cieco era all’inizio assai debole. Prima di sanare gli occhi del corpo. Gesù volle che la fede di quell’uomo diventasse più grande: a misura che la fede s’accresceva e la fiducia aumentava, il Signore gli andava donando una sempre più perfetta visione corporea. Pertanto il Signore si comportò secondo il suo abituale modo di procedere: non operava miracoli se non sussisteva una disposizione adeguata, ma in pari tempo provvedeva a suscitare una tale disposizione, accrescendo altresì la grazia se questa veniva corrisposta.
La grazia di Dio è indispensabile anche per desiderare i beni divini.

La cecità - Hildegard Gollinger: I libri profetici dell’Antico Testamento intendono la cecità soprattutto in senso traslato, come incapacità dell’uomo di riconoscere l’agire e la volontà di Dio e di vivere in conformità ad essi. La cecità mantiene questo significato anche nel Nuovo Testamento. I farisei credono di vedere, in realtà sono essi stessi “ciechi guide di ciechi” (Mt 15,14; Lc 6,39). Autore di questa cecità è il “dio di questo mondo” cioè Satana (2Cor 4,4). La cecità, dunque, è lo stato, non voluto da Dio, dell’allontanamento dell’uomo da Dio, dell’incredulità. Secondo la promessa dei profeti veterotestamentari il tempo messianico della salvezza è caratterizzato, fra l’altro, dal fatto che i ciechi vedranno. Su questo sfondo vanno viste le guarigioni dei ciechi da parte di Gesù; esse confermano Gesù come il potente realizzatore delle profezie veterotestamentarie e sono segni della signoria di Dio che in lui irrompe (cf. Mt 11,5). Per questo, Gesù rifiuta l’interpretazione giudaica della cecità come castigo inflitto da Dio: il cieco non viene riconosciuto automaticamente come peccatore grave a partire dalla sua sofferenza, ma diventa occasione per la realizzazione del progetto salvifico di Dio (Gv 9,3). Non la cecità fisica deriva dal peccato, ma l’illusione farisaica che credere di vedere, ma che di fatto è in­guaribilmente cieca, essendosi chiusa noi confronti di Dio (Gv 9,41).

Il diluvio (I Lettura) - Angel Gonzalez (Commento della Bibbia Liturgica): Il racconto dell’avvenimento catastrofico è composta da quattro parti: annunzio, pioggia torrenziale, prove della cessazione dell’acqua. Secondo J (tradizione Javista) la causa del diluvio è una pioggia intensa di 40 giorni: la durata dell’inondazione è di 61 giorni. Noè salva con sé la sua famiglia e animali di ogni specie. All’invio del corvo e delle colombe si esprime la speranza, una speranza che diventa sempre maggiore.
Noè si salva dal diluvio, mentre tutto il resto perisce sotto le acque. Noè è come un novello Adamo col quale la vita umana ricomincia. Quella che nasce ora sarà un ‘umanità diversa? Comunque sia colui che è stato salvato dalle acque è, per l’autore, un segno del fatto che Dio non abbandona l’umanità al suo destino, La pioggia
cessa, le acque si ritirano e Noè rimette piede sulla terra che lo accetta.
L’epilogo del diluvio non è meno significativo del prologo. Sono due aspetti inseparabili della teologia dello yahvista. Noè offre un sacrificio e Dio, se ne compiace. L’autore ascolta nuovamente il giudizio categorico sulla malvagità dell’uomo che aveva ascoltato nel prologo; ma ora conosce qualcosa di nuovo nell’atteggiamento di Dio. Nel prologo, la malvagità terminava con la distruzione; nell’epilogo, porta alla promessa di Dio sulla stabilità dell’ordine naturale. Traduce l’esperienza meravigliosa di questo ordine, per gli occhi che lo vedono alla luce di Dio. Dio non distrugge la creazione per colpa dell’uomo. L’autore lo dice per mezzo d’un vecchio proverbio palestinese, che celebra il ritmo costante e regolare delle stagioni annuali, dal quale dipende la vita della natura: «Finché durerà la terra, seme e messe, freddo e caldo, estate e inverno, giorno e notte non cesseranno» (Gn 8,22).
La garanzia di questo ritmo è una promessa per l’uomo. Il Dio dal volto irato cede il posto al Dio principio di vita; la benignità si sovrappone al giudizio; la benedizione comincia a sostituire la maledizione. L’epilogo del diluvio è una profezia di giubilo.

Trascorsi quaranta giorni, Noè aprì la finestra che aveva fatto nell’arca e fece uscire un corvo. Esso uscì andando e tornando, finché si prosciugarono le acque sulla terra (I Lettura) - Giuseppe Barbaglio (Noè, Schede Bibliche Pastorali - Vol. V): I giorni di Noè servono a Cristo per invitare i suoi seguaci alla vigilanza in preparazione della venuta del Figlio dell’uomo (Mt 24,37-39; Lc 17,26-27). In fondo si tratta anche qui di un invito ad essere sapienti, a scrutare i segni dei tempi, a saper scorgere negli eventi in apparenza più ordinari, l’opera di Dio. Anche se il paragone per prima cosa sottolinea la repentinità dei due avvenimenti (diluvio-parusia), non esclude certo l’esortazione ad imitare il giusto Noè nell’assecondare la volontà salvifica di Dio.
È soprattutto la fede di Noè che deve essere imitata, secondo l’autore della lettera agli Ebrei. Se la fede è il fondamento delle cose che si sperano, e l’argomento di quel che non si vedono (Eb 11,1), il patriarca ne ha dato un esempio perfetto, egli l’unico che ha osato sfidare il mondo incredulo non agendo per motivi umani ma spinto unicamente da motivazioni religiose.
Ha aggiunto la giustizia per mezzo della fede,condannando così il mondo: «Per fede Noè , avvertito divinamente di cose che ancora non si vedevano, costruì con pio timore un’arca a salvezza della sua famiglia; e per questa fede condannò il mondo e divenne erede della giustizia secondo la fede» (11,7).
Proprio la sorte dei contemporanei di Noè preoccupa la riflessione cristiana, indirizzata su questa linea di pensiero dall’ambiente ebraico che si era già posto il problema. La teologia giudaica riteneva che i morti nel diluvio non avrebbero potuto in nessun modo partecipare alla salvezza messianica. Però Dio nella sua infinita bontà aveva mandato Noè a predicare la conversione e la penitenza. Solo dopo il rifiuto ostinato e violente persecuzioni dei malvagi al predicatore non gradito, sarebbe venuto il diluvio. Questa era la Haggadah ebraica di cui abbiamo numerose testimonianze riprese poi anche da autori cristiani. L’autore della seconda lettera di Pietro conosce queste tradizioni e presenta Noè come predicatore di giustizia (2Pt 2,5). La stessa convinzione è presente nella prima lettera di Pietro (1Pt 3,19-20) dove è soprattutto sottolineata In longanimità di Dio che attende prima di punire i colpevoli. In questo stesso passo abbiamo un ulteriore progresso del pensiero cristiano. Non si esita ad estendere alle anime dei periti nel diluvio la possibilità di beneficiare dei frutti della redenzione. Dopo la sua morte Cristo sarebbe sceso nello sheol a predicare, come aveva fatto Noè, la possibilità di salvezza alle anime ben disposte.

Alessandro Pronzato (Un cristiano comincia a leggere il vangelo di Marco):  Tutti parlano di miracolo in due fasi. E invece le fasi sono tre. Non dimentichiamo la prima: «Preso il cieco per mano, lo condusse fuori dal villaggio ...». Il miracolo è possibile soltanto attraverso questo primo gesto: lasciarsi prendere per mano. Consapevolezza che la vista può venire solo da Lui, al di fuori di tutte le altre luci illusorie. Lui è la luce. Sì, la fede non comincia con la luce. Comincia con il buio attraversato mettendo la mano nella mano di un Altro.
La luce verrà dopo. All’inizio non si vede niente. Ci si lascia condurre, ecco tutto. Senza nemmeno chiedere informazioni.
La guarigione non si verifica quando uno ha l’impressione di capire dove sta andando.
La guarigione ha inizio allorché capisco che di quella mano mi posso fidare fino in fondo.
Quanto al veder chiaro, da parte mia, questo verrà dopo, a guarigione abbondantemente conclusa. Oserei dire che è un di più. Un po’ come gli avanzi del pane ...

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
**** “Dio ha tanto amato il mondo da donare il suo unico Figlio, perché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia la vita eterna.” (Gv 3,16).
Questa parola cosa ti suggerisce?
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Preghiamo con la Chiesa: O Dio, che hai promesso di essere presente in coloro che ti amano e con cuore retto e sincero custodiscono la tua parola, rendici degni di diventare tua stabile dimora. Per il nostro Signore Gesù Cristo...