19 Febbraio 2019

Martedì VI Settimana del Tempo Ordinario


Oggi Gesù ci dice: “Se uno mi ama, osserverà la mia parola, e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui.” (Gv 14,23 - Acclamazione al Vangelo).

Dal Vangelo secondo Mc 8,14-21: Il lievito è il fermento attivo che fa crescere la pasta e qui nel racconto di Marco è sinonimo di astuzia, di malvagità, di ipocrisia. Come il lievito fa fermentare la pasta (Mt 13,33), ma può anche corromperla (cf. 1Cor 5,6, Gal 5,9), così la dottrina fraudolenta dei capi giudei minaccia di traviare tutto il popolo che guidano (cf. Mt 15,14).
Se ben si comprende che Marco accenni al lievito dei farisei, si resta sorpresi che l’evangelista “parli del lievito di Erode. Quest’opportunista non proponeva nulla che fosse dottrina. Con i suoi sostenitori, gli erodiani (vedi 3,6 e 12,13), rappresentava una forza politica di compromesso con Roma. I farisei si appoggiano agli erodiani per far perire Gesù. Essi, senza Erode, in Galilea non potrebbero far niente. Il lievito di Erode è dunque, a quanto pare, lo spirito di intrigo politico che può portare il turbamento e la divisione nella comunità cristiana” (I Quattro vangeli Commentati). Il rimprovero rivolto ai discepoli è “come cadenzato nelle esemplificazioni e nei richiami di questi versetti. I discepoli continuano a non capire; anzi, sembrano capire sempre meno. E, come già con i farisei [3,5], Gesù li accusa di avere il ‘cuore indurito” [17], usando in questa circostanza lo stesso linguaggio sia per gli amici [i discepoli] che per gli avversari [i farisei]. La domanda imbarazzante che viene posta alla fine [21] riassume il nucleo centrale del passo. I discepoli, pur a stretto contatto con Gesù, non sanno ‘vedere’ o interpretare correttamente le realtà alle quali assistono” (Il Nuovo Testamento).

Smemorati e, per di più, ottusi - Basilio Caballero (LA PAROLA PER OGNI GIORNO): Nel brano evangelico di oggi si fondono un avvertimento di Gesù sul lievito dei farisei e un forte rimprovero ai suoi discepoli per non aver capito la precedente moltiplicazione dei pani.
L’occasione è data dal fatto che i discepoli, imbarcandosi, avevano dimenticato di portare il pane. Marco, dicendo che «non avevano con sé sulla barca che un pane solo», sembra voler puntare l’attenzione su Gesù, il pane della vita. Per associazione di idee, Cristo passa dal pane al lievito: «Fate attenzione, guardatevi dal lievito dei farisei e dal lievito di Erode!».
Nel brano parallelo di Matteo è detto: «dei farisei e dei sadducei » (Mt 16,6).
I discepoli pensarono che si riferisse alla dimenticanza del pane, e cominciarono a preoccuparsi di non avere da mangiare. Smemorati e, per di più, tardi. Non avrebbe potuto risolvere il loro problema chi aveva appena nutrito quattromila persone con solo sette pani? Di qui il meritato rimprovero di Gesù: «Ancora non capite? Siete così lenti?».
Il miracolo dei pani aveva lo scopo di rinvigorire la loro fede in Gesù come messia di Dio, perché, rivelando il segreto del regno messianico, svelava loro la personalità di chi lo rendeva presente. Ma le menti dei discepoli erano lente e i loro occhi ciechi, come quelli dei farisei, anche se per una ragione diversa: i discepoli per difetto di attenzione, i farisei per cattiva volontà. Era senza dubbio doloroso per Gesù verificare come i suoi discepoli, malgrado la loro situazione privilegiata, fossero sullo stesso livello d’incomprensione degli altri.

Fate attenzione, guardatevi dal lievito dei farisei e dal lievito di Erode! - Adalberto Sisti (Marco): ... ad eccezione di Mt 13,33 e il parallelo di Lc 13,20-21, nel Nuovo Testamento il termine lievito in senso figurato è usato sempre con significato peggiorativo, come principio di corruzione (cf 1Cor 5,6-8, Gal 5,9). Nel testo parallelo di Mt 16,12 è applicato chiaramente alla dottrina e in Lc 12,1 all’ipocrisia dei farisei; qui, pare genericamente riferirsi all’atteggiamento incredulo e ostile degli stessi farisei, di cui si è parlato poco prima (v. 12). Per Erode l’applicazione della metafora diventa più difficile. Ma forse non si è lontani dal vero se si pensa che Erode (6,14-29) sia preso come tipo di certa falsa religiosità, che non sa mai decidersi ad accettare totalmente la verità e ad agire di conseguenza. In ogni caso, i discepoli erano invitati a mirare dritto al loro scopo e a non lasciarsi fuorviare dall’esempio o dalla dottrina di quanti rifiutavano di credere in Gesù, chiudendosi nel loro egoismo e nella loro ostinazione.

E non vi ricordate, quando ho spezzato i cinque pani per i cinquemila - Benedetto Prete (I Quattro Vangeli): Marco non omette di rilevare l’ottusità mentale dei discepoli tanto lenti a penetrare il senso delle affermazioni di Gesù. L’insistenza con la quale egli ritorna su questo argomento è una conferma della obiettività storica del suo racconto (cf. Mc., 6,52). I discepoli, dopo tanto tempo passato in intimità con il Maestro, non sanno ancora elevarsi ad un’interpretazione spirituale delle sue parole, ma si mostrano ancora interamente presi da preoccupazioni materiali. E non vi ricordate quando spezzai i cinque pani...; il Maestro richiama alla memoria dei discepoli i due grandiosi miracoli dei pani moltiplicati per far loro intendere che essi devono avere piena fiducia ed abbandono in lui anche per le necessità fisiche, come sono quelle del cibo. Gesù, con il ricordo di quei miracoli, desidera strappare i discepoli dalle preoccupazioni materiali che li occupano continuamente e che rendono «duro» il loro cuore, cioè, accecano la loro intelligenza. Evidentemente il Maestro, che in quelle due circostanze aveva sfamato tante migliaia di persone moltiplicando i pani con tale generosità da farne sopravanzare in abbondanza, poteva anche dar da mangiare al piccolo gruppo dei suoi discepoli compiendo un ulteriore miracolo di proporzioni assai più modeste dei precedenti. Non comprendete ancora? Con queste parole il Salvatore invita di nuovo i discepoli ad abbandonare le preoccupazioni materiali che sorgono continuamente nel loro spirito e ad aprirsi a considerazioni più elevate per comprendere la sua missione religiosa e spirituale.

Non comprendete ancora? - Angelico Poppi (I Quattro Vangeli): vv. 17-21 «Non capite ancora né comprendete? ...». Forma una inclusione con il v. 21. Gesù rimprovera il ritardo dei discepoli nella comprensione della sua missione (un motivo che ricorre in 6,37.52; 7,18; 8,4). Il non ancora esprime la concezione marciana del loro cammino verso la fede, caratterizzato da estrema lentezza. Gesù si trova in mezzo a un popolo cieco e sordo, come lamentavano Geremia (5,21) ed Ezechiele (12,2). Tuttavia egli si prende cura dei discepoli come vero pastore per radunare le pecore disperse d’Israele (cf. Nm 27,17; Ez 34). Gesù si richiama alle due moltiplicazioni dei pani, delle quali, secondo qualche commentatore, verrebbe qui rilevato il senso eucaristico con l’espressione «spezzare i pani», divenuta tradizionale nella chiesa per indicare la celebrazione dell’eucaristia. Gesù, l’unico vero pane, avrebbe dato la sua vita per la salvezza del mondo; i discepoli dovevano rinfrancarsi con questo pane, rafforzando la loro fede in Gesù, senza lasciarsi fuorviare dall’incredulità dei farisei e di Erode, simboleggiata dal lievito.

Diluvio universale (vedi I Lettura) - Peter Weimar: Catastrofe ambientale alla quale sopravvisse soltanto Noè con la sua famiglia (Gen 6,5-9,17). I racconti biblici del diluvio vanno visti sullo sfondo dei miti del diluvio di altri popoli, in particolare della Mesopotamia (Enuma elish, Gil­gamesh). A differenza della visione pessimistica della storia delle narrazioni extrabibliche, i racconti biblici presentano un ottimismo radicato nella volontà salvifica di Dio. Nonostante le differenze (per es. la durata del diluvio, il numero degli animali), le due tradizioni fuse insieme (quella jahwista e quella del documento sacerdotale) dimostrano la stessa tesi: tutta l’azione di Dio, sia il giudizio che il salvataggio, sono espressione del suo amore e tendono alla salvezza dell’uomo. Facendo seguito a temi della sapienza giudaica e dell’apocalittica, nel Nuovo Testamento  il diluvio è modello del battesimo (1Pt 3,20s) ed esempio del giudizio che irrompe improvvisamente (Mt 24,38s).

Il diluvio figura del Battesimo - Adriana Zarri (Diluvio, Schede Bibliche Pastorali Vol II): Il diluvio è anche figura di realtà già attuate in Cristo e nella chiesa: la tipologia di questo avvenimento si realizza già nel battesimo, che è un bagno purificatore per una nuova umanità (leggere 1Pt 3,18-21). In questo passo, l’autore mette esplicitamente in parallelo il diluvio e il battesimo. La parola antitypos designa la realtà in opposizione alla figura: il diluvio era dunque un’immagine che il battesimo è venuto a realizzare. Il paragone verte sull’acqua, l’arca e i pochi personaggi salvati. Quanto all’acqua, notiamo che non si tratta solo di un’analogia di immagini, ma che vi è già, qui, un’interpretazione del rito battesimale. Come Noè aveva affrontato le acque distruttrici, nelle quali era scomparsa l’umanità peccatrice, e ne era riuscito vincitore, così il battezzato scende nelle acque battesimali per combattere e vincere definitivamente il nemico.
Tra il diluvio e il battesimo, però, bisogna porre la discesa di Cristo agli inferi, per dominare le potenze del male. E qui che abbiamo la realizzazione sostanziale del mistero del diluvio. Cristo, come un nuovo Noè, scende nelle grandi acque della morte e ne esce vincitore insieme a una moltitudine di salvati. Dio ha voluto che egli conoscesse l’invasione di tali acque, perché fosse poi il principio di una nuova creazione.
Il cristiano, a sua volta, mediante il battesimo, è sepolto con Cristo nelle acque della morte, significate dalle acque battesimali; subisce così simbolicamente il castigo dovuto al peccato, e viene poi liberato con Cristo, configurato alla sua risurrezione e reso membro di una nuova umanità. I Padri poi hanno visto nell’arca di Noè anche la figura della chiesa, la quale naviga sulle acque di un mondo peccatore, raccogliendo tutti i credenti in Cristo, per guidarli al porto della salvezza, i cieli nuovi e la terra nuova (2Pt 3,11-13) ove l’armonia de li elementi durerà eterna.

Dominum et vivificantem 39: Il Signore vide che la malvagità degli uomini era grande sulla terra... E il Signore si pentì di aver fatto l’uomo sulla terra e se ne addolorò in cuor suo... Il Signore disse: “Sono pentito di averli fatti”». Ma più spesso il Libro sacro ci parla di un Padre, che prova compassione per l’uomo, quasi condividendo il suo dolore. In definitiva, questo imperscrutabile e indicibile «dolore» di padre genererà soprattutto la mirabile economia dell’amore redentivo in Gesù Cristo, affinché, per mezzo del mistero della pietà, nella storia dell’uomo l’amore possa rivelarsi più forte del peccato. Perché prevalga il «dono»! Lo Spirito Santo, che secondo le parole di Gesù «convince del peccato», è l’amore del Padre e del Figlio e, come tale, è il dono trinitario e, al tempo stesso, l’eterna fonte di ogni elargizione divina al creato. Proprio in lui possiamo concepire come personificata e attuata in modo trascendente quella misericordia, che la tradizione patristica e teologica, sulla linea dell’Antico e del Nuovo Testamento, attribuisce a Dio. Nell’uomo la misericordia include dolore e compassione per le miserie del prossimo. In Dio lo Spirito-amore traduce la considerazione del peccato umano in una nuova elargizione di amore salvifico. Da lui, nell’unità col Padre e col Figlio nasce l’economia della salvezza, che riempie la storia dell’uomo con i doni della redenzione. Se il peccato, rifiutando l’amore, ha generato la «sofferenza» dell’uomo che in qualche modo si è riversata su tutta la creazione, lo Spirito Santo entrerà nella sofferenza umana e cosmica con una nuova elargizione di amore, che redimerà il mondo. E sulla bocca di Gesù Redentore, nella cui umanità si invera la «sofferenza» di Dio, risuonerà una parola in cui si manifesta l’eterno amore, pieno di misericordia: «Misereor». Così da parte dello Spirito Santo il «convincere del peccato» diventa un manifestare davanti alla creazione «sottomessa alla caducità» e, soprattutto, nel profondo delle coscienze umane, come il peccato viene vinto mediante il sacrificio dell’Agnello di Dio, il quale è divenuto «fino alla morte» il servo obbediente che, riparando alla disobbedienza dell’uomo, opera la redenzione del mondo. In questo modo lo Spirito di verità, il Paraclito, «convince del peccato».

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
**** “Anche se «la malvagità degli uomini era grande sulla terra» [Gen 6,5] e Dio «si pentì di aver fatto l’uomo sulla terra» [Gen 6,6], tuttavia, attraverso Noè, che si conservava ancora integro e giusto, Dio ha deciso di aprire una via di salvezza. In tal modo ha dato all’umanità la possibilità di un nuovo inizio. Basta un uomo buono perché ci sia speranza!” (Laudato Si 71).
Questa parola cosa ti suggerisce?
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Preghiamo con la Chiesa: O Dio, che hai promesso di essere presente in coloro che ti amano e con cuore retto e sincero custodiscono la tua parola, rendici degni di diventare tua stabile dimora. Per il nostro Signore Gesù Cristo...