14 Gennaio 2019

LUNEDÌ DELLA I SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO 


Oggi Gesù ci dice: «Il regno di Dio è vicino: convertitevi e credete nel Vangelo.» (Mc 1,15).

Vangelo: Dal Vangelo secondo Marco 1,14-20: L’inizio del ministero pubblico di Gesù in Galilea sta ad indicare che i tempi sono compiuti (cfr. Gal 4,4) e questo significa che non solo «le Scritture [Mt 1,22] e la legge [Mt 5,17], ma tutta l’economia dell’antica alleanza è portata da Dio alla pienezza [Mt 9,17; 26,28; Rom 10,4; 2Cor 3,14-15; Eb 10,1.14; ecc.]. Al termine di quest’ultimo periodo della storia [1Cor 10,11; 1Tm 4,1; 1Pt 1,5.20; 1Gv 2,18], che è la “fine dei tempi” [Eb 9,26], sopraggiungerà un’altra fine, quella “del tempo” [Mt 13,40.49; 24,3; 28,20], cioè il “giorno” [1Cor 1,8; cfr. Am 5,18] della venuta del Cristo [1Cor 15,23], della sua rivelazione [1Cor 1,7] e del giudizio [Rom 2,6; cfr. Sal 9,5]» (Bibbia di Gerusalemme). L’annuncio del Cristo è in sintonia con la predicazione dei profeti e di Giovanni Battista: una predicazione «gridata» (Gv 1,23), il cui cuore era la necessità di convertirsi, di abbandonare le vie tortuose del peccato, di cambiare mentalità e stile di vita. Ma il messaggio di Gesù porta con sé una novità. Essa sta nel fatto che ora, nella Persona di Gesù, il regno di Dio è vicino, o meglio «è già presente», e questo consente all’uomo di buona volontà di stabilire una nuova relazione con Dio: la Buona Novella che Gesù predica non è più rivolta a un popolo, ma al cuore di ogni uomo colto nella situazione concreta della sua vita. Un invito perché egli si apra spontaneamente alla signoria di Dio.

La predicazione asciutta di Gesù, almeno nel testo marciano di oggi, poggia su una buona notizia, per certi versi sconvolgente: con l’Incarnazione del Verbo il tempo è compiuto. Cioè, l’uomo nel mistero del Cristo, incarnazione, morte, risurrezione e glorificazione, ha il compimento di ogni attesa.
In Cristo, il Padre ha donato tutto e tutto è compiuto. Questo significa che «da una parte si esauriscono i progetti e le risorse umane, dall’altra arrivano nuove proposte e doni divini» (Bruno Barisan). In questa compiutezza il regno di Dio è vicino.
Inaugurato dal Cristo e dalla Chiesa, annunciato sino agli estremi confini della terra (Cf. Mt 28,19-20), il regno «sarà definitivamente stabilito e consegnato al Padre (1Cor 15,24) con il ritorno glorioso del Cristo (Mt 16,27; 25,31), nel momento dell’ultimo giudizio (Mt 13,37-43.47-50; 25,31-46)» (B. G). Avendo spalancate definitivamente le porte del regno di Dio con la sua croce, Cristo invita ogni uomo ad entrarvi, ma alla condizione di convertirsi e credere nel Vangelo. Gesù esige dall’uomo un radicale cambiamento; un ritorno a Dio, da cui si era allontanato con il peccato. I pagani devono ritornare a Dio, abbandonando gli idoli (Cf. At 14,15; 15,19; 26,18.20; 1Cor 10,7.14; Gal 4,9; 1Ts 1,9). I giudei devono convertirsi al Signore, riconoscendo Gesù come Signore (Cf. At 9,35; 2Cor 3,16). I credenti devono definitivamente chiudere con il loro passato: «È finito il tempo trascorso nel soddisfare le passioni dei pagani, vivendo nei vizi, nelle cupidigie, nei bagordi, nelle orge, nelle ubriachezze e nel culto illecito degli idoli» (1Pt 4,3).
In altre parole, Gesù esige la fede: «La fede è l’atto perfettivo della conversione. Essa, però, non consiste in una semplice adesione a ciò che è l’oggetto della buona novella, ma deve essere una convinzione profonda, d’indole superiore, che pone il suo fondamento sulla natura soprannaturale e rivelata del vangelo e, quindi, sulla persona stessa del Cristo che l’annuncia» (Adalberto Sisti).

L’annunzio del Regno di Dio - Catechismo della Chiesa Cattolica:
n. 543 Tutti gli uomini sono chiamati ad entrare nel Regno. Annunziato dapprima ai figli di Israele, questo Regno messianico è destinato ad accogliere gli uomini di tutte le nazioni. Per accedervi, è necessario accogliere la Parola di Gesù:
La Parola del Signore è paragonata appunto al seme che viene seminato in un campo: quelli che l’ascoltano con fede e appartengono al piccolo gregge di Cristo hanno accolto il Regno stesso di Dio; poi il seme per virtù propria germoglia e cresce fino al tempo del raccolto.
n. 544 Il Regno appartiene ai poveri e ai piccoli, cioè a coloro che l’hanno accolto con un cuore umile. Gesù è mandato per “annunziare ai poveri un lieto messaggio” (Lc 4,18). Li proclama beati, perché “di essi è il Regno dei cieli” (Mt 5,3); ai “piccoli” il Padre si è degnato di rivelare ciò che rimane nascosto ai sapienti e agli intelligenti. Gesù condivide la vita dei poveri, dalla mangiatoia alla croce; conosce la fame, la sete e l’indigenza. Anzi, arriva a identificarsi con ogni tipo di poveri e fa dell’amore operante verso di loro la condizione per entrare nel suo Regno.
n. 545 Gesù invita i peccatori alla mensa del Regno: “Non sono venuto per chiamare i giusti, ma i peccatori”(Mc 2,17). Li invita alla conversione, senza la quale non si può entrare nel Regno, ma nelle parole e nelle azioni mostra loro l’infinita misericordia del Padre suo per loro e l’immensa “gioia” che si fa “in cielo per un peccatore convertito” (Lc 15,7). La prova suprema di tale amore sarà il sacrificio della propria vita “in remissione dei peccati” (Mt 26,28).
n. 546 Gesù chiama ad entrare nel Regno servendosi delle parabole, elemento tipico del suo insegnamento. Con esse egli invita al banchetto del Regno, ma chiede anche una scelta radicale: per acquistare il Regno, è necessario “vendere” tutto; le parole non bastano, occorrono i fatti. Le parabole sono come specchi per l’uomo: accoglie la Parola come un terreno arido o come un terreno buono? Che uso fa dei talenti ricevuti? Al cuore delle parabole stanno velatamente Gesù e la presenza del Regno in questo mondo. Occorre entrare nel Regno, cioè diventare discepoli di Cristo per “cono scere i Misteri del Regno dei cieli” (Mt 13,11). Per coloro che rimangono “fuori”, tutto resta enigmatico.

Venite dietro a me, vi farò diventare pescatori di uomini: Se il Vangelo di Marco ha avuto la sua gestazione nella comunità congregatasi dopo la risurrezione del Cristo, allora le scene di vocazioni nel racconto marciano trasudano di riflessione teologica; perciò ogni parola e ogni gesto hanno un peso specifico per spiegare la grazia della sequela.
Innanzi tutto, l’accento va posto sulla prontezza della risposta umana: «subito lasciate le reti... lasciarono il loro padre Zebedeo sulla barca con i garzoni, lo seguirono». Questa prontezza diventa così il paradigma di ogni vocazione.
Gesù non è un solitario, ma cerca collaboratori per portare a compimento la sua missione di salvezza e di redenzione. Anche loro avranno la missione di promuovere la conversione al Regno e l’accettazione della sua Magna Charta: «Paolo, servo di Cristo Gesù, apostolo per chiamata, scelto per annunciare il vangelo di Dio [...]. Per mezzo di lui abbiamo ricevuto la grazia di essere apostoli, per suscitare l’obbedienza della fede in tutte le genti, a gloria del suo nome» (Rom 1,1.5).
Nei primi quattro chiamati vi è in seme la Chiesa che avrà la gioia e l’onere di continuare a ripetere al mondo l’annuncio del Cristo: «Il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel vangelo».
Che l’iniziativa della chiamata dei quattro pescatori è di Gesù, questo sta a dire che si diventa cristiani e Chiesa non per iniziativa propria ma grazie alla chiamata di Gesù, risuonata storicamente una volta in terra di Galilea, e da allora sempre riecheggiante in tutti gli angoli della terra.
La missione dei vocati, che si esplica nel pescare gli uomini, non è in riferimento alla loro professione, ma con il fatto che il popolo credeva che il mare, essendo la quintessenza della potenza caotica e demoniaca, fosse il sito di residenza dei demoni e delle potenze caotiche; per cui nella indicazione vi è tutto il ministero degli Apostoli, quello di trarre fuori dal peccato e dalla morte tutti gli uomini. In questa chiamata si realizza un’altra promessa di Dio preconizzata dal profeta Geremia: «E io [il Signore,] ricondurrò [gli Israeliti] nella loro terra che avevo concesso ai loro padri. Ecco, io invierò numerosi pescatori a pescarli» (Ger 16,14-18).
Apostolato e sequela sono inscindibili: si è sempre chiamati per una missione. Diventare «pescatori d’uomini, anche alla luce di Ger 16,14-18, vuol dire proclamare a tutti la convocazione finale per la salvezza. La chiamata è sempre orientata, in forme diverse, alla costruzione di comunità» (P. Luigi Di Pinto, s.j.).

Passando lungo il mare di Galilea, vide Simone:  Iacques Hervieux (Vangelo di Marco): Collocando questo racconto come ouverture all’intero suo vangelo, Marco ha sicuramente intenti precisi. Il primo è che Gesù inizia un ministero «itinerante» che esige la massima libertà di vita e di azione: i legami familiari e professionali sono, da questo punto di vista, un ostacolo. Inoltre, l’evangelista vuole legittimare la missione apostolica così come si è presentata. I discepoli, riuniti in un gruppo di dodici, sono stati inviati a coppie - come segno di vita comunitaria - secondo un costume che risale a Gesù stesso (cfr. l’invio in missione: 6,7). Infine, per seguire Gesù, Pietro e gli altri undici hanno dato l’esempio di un distacco totale (cfr. 10,28). Forse Marco desidera suggerire alla Chiesa di Roma, per la quale egli scrive, che anche i nuovi cristiani durante la persecuzione possono essere chiamati a rinunciare ai beni più cari, come la posizione sociale e i vincoli familiari?
Nell’intero corso della sua storia, la Chiesa ha letto in queste pagine un invito al distacco dai beni più preziosi per coloro che vogliono seguire Gesù «più da vicino».
Il racconto appena letto dà l’impressione di avvenimenti assai rapidi. È come i «titoli di testa» di un film che si svolgerà durante tutto il corso del vangelo. L’appello del Cristo mette in cammino, sui suoi passi, «dei discepoli» che fanno ricorso a tutte le loro energie per servirlo. Occorre notare che lo stile di Marco è legato in gran parte alla sensazione di rapidità che prova il lettore. Egli ricorre assai spesso all’avverbio «subito». Ripetuto due volte qui (vv. 18a e 20a), esso si presenta - nell’originale greco - undici volte nel solo capitolo 1. Nella maggior parte dei casi questi «subito» non hanno, in Marco, valore temporale: equivalgono semplicemente alla congiunzione «e».

Subito li chiamò: Per il Concilio Vaticano II, «molte sono le forme di apostolato con cui i laici edificano la chiesa, santificano il mondo e lo animano in Cristo» (AA 16).
Con la testimonianza di tutta la vita proveniente dalla fede, dalla speranza e dalla carità che è una «forma particolare di apostolato individuale e segno adattissimo ai nostri tempi a manifestare il Cristo vivente nei suoi fedeli» (ibidem).
Con l’apostolato della parola, «i laici annunziano Cristo, spiegano la sua dottrina, la diffondono secondo la propria condizione e capacità e fedelmente la professano» (ibidem).
Con una vita vivificata con la carità e, secondo le possibilità, espressa con le opere (ibidem).
E se sembra ardua l’azione apostolica, i cristiani si ricordino che, «con il culto pubblico e l’orazione, con la penitenza e la spontanea accettazione delle fatiche e delle pene della vita, con cui si conformano a Cristo sofferente [cf. 2Cor 4,10; Col 1,24], essi possono raggiungere tutti gli uomini e contribuire alla salvezza del mondo» (ibidem).
Tutti siamo chiamati da Cristo a diventare protagonisti della nuova evangelizzazione.

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** Tutti siamo chiamati da Cristo a diventare protagonisti della nuova evangelizzazione.
Nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Preghiamo con la Chiesa: Ispira nella tua paterna bontà, o Signore, i pensieri e i propositi del tuo popolo in preghiera, perché veda ciò che deve fare e abbia la forza di compiere ciò che ha veduto. Per il nostro Signore Gesù Cristo...