6 Dicembre 2018

Giovedì della I Settimana di Avvento


Oggi Gesù ci dice: «Chi fa la volontà del Padre mio, entrerà nel regno dei cieli.» (Vangelo).

Dal Vangelo secondo Matteo 7,21-24.27: Gesù conclude il suo insegnamento con il paragone delle due case. La roccia che dà stabilità è Jahwè, la parola di Dio, la fede. Il discepolo deve appoggiarsi a Cristo, la roccia, l’unico capace di rendere incrollabile la fede del discepolo, di sottrarla alla fragilità. Il progetto cristiano non può contare sulle nostre forze, ma unicamente sull’amore di Dio. È nella forza di Dio che l’uomo trova la sua solidità, la sua forza: “Perciò mi compiaccio nelle mie debolezze, negli oltraggi, nelle difficoltà, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo: infatti quando sono debole, è allora che sono forte” (2Cor 12,10). È sempre in agguato la tentazione di sentirsi a posto: Non chiunque mi dice: “Signore, Signore”, entrerà nel regno dei cieli. C’è sempre la possibilità di un ascolto della Parola che non diventa mai qualcosa di operante e di pratico. Anche il credente a volte può essere tentato di salvare l’obbedienza a Dio e di sottrarsi, nel contempo, all’esigenza di conversione che essa comporta. O di glissare le regole che essa impone. Anche noi, a volte, non sentendoci sicuri all’ombra della parola di Dio (cfr. Sal 90), continuiamo a cercare la nostra sicurezza in noi stessi e nelle offerte stolte che il mondo sempre, con larghezza, sa offrire agli uomini di ogni tempo.

Le due case - Angelico Poppi (I Quattro Vangeli): Con questa parabola, desunta dalla tradizione dei Logia, si conclude il discorso della montagna. La si trova nel medesimo contesto anche in Lc (6,47-49). La composizione di Matteo risulta più elaborata; si ha una corrispondenza quasi verbale tra i due pannelli paralleli, ma stilati in forma antitetica (vv. 24-25.26-27). La funzione riassuntiva della parabola, in quanto ricapitola l’insegnamento di tutto il discorso, emerge dal dunque iniziale con cui viene introdotta. L’accento della similitudine cade ancora sulla prassi. Non basta ascoltare le parole di Gesù, ma bisogna metterle in pratica, «farle». Si noti l’insistenza con cui viene ripetuto il verbo «fare» (greco poiein), che ribadisce la necessità di una vita cristiana seria e impegnata, per evitare la condanna nel giudizio finale.
Le parole di Gesù hanno un valore decisivo, al pari della Legge di Mosè, ora giunta al compimento nel discorso della montagna (cf. Dt 31,12). Chi le ascolta e le mette in pratica è paragonato a un uomo saggio che costruisce il suo edificio spirituale su una salda roccia.
L’immagine della roccia indica la solidità dell’insegnamento di Gesù, che consentirà all’uomo saggio di superare indenne la catastrofe finale del mondo, conseguendo la salvezza eterna. Ma chi ascolta le sue parole e non le osserva, è come uno stolto che edifica sulla sabbia.
Vi è una corrispondenza tra questo brano e l’ammonizione di Gesù nel v. 21. L’invito e fare la volontà del Padre celeste viene ora precisato con l’esortazione alla pratica delle parole di Gesù. Risulta così evidente il nesso strettissimo tra l’insegnamento di Gesù e la volontà del Padre, manifestata nella sua forma definitiva non dalla Toràh, bensì dal vangelo. In questo emerge la novità della concezione della salvezza in Matteo, il quale, benché in sintonia con la mentalità pragmatica dei giudei insista sul «fare» più che sull’ascolto della parola, ripone il conseguimento della vita eterna nell’obbedienza all’insegnamento di Gesù.

Benedetto Prete (I Quattro Vangeli): v. 21 Oltre ai falsi maestri i quali ingannano gli altri vi sono coloro che ingannano se stessi. Signore, Signore: è un titolo untuoso ed affettato che è rivolto a Gesù. La volontà del Padre mio: Cristo stabilisce il primato dell’azione sulla parola. Non chi si rivolge a Dio con ferventi invocazioni, ma chi fa vedere con l’opera che attua la volontà del Signore entra nel regno del cielo.
La volontà (ebraico: raşon) indica ciò che piace a Dio non, come presso di noi, ciò che Dio stabilisce. Padre mio: Gesù distingue nettamente tra Padre nostro (cf. Mt., 6, 9) e Padre mio (cf., 26, 39, 42) poiché la sua relazione con il Padre ha un carattere unico.
v. 22 In quel giorno: il giorno del giudizio finale. È un tratto di escatologia; la sezione evangelica è un breve discorso escatologico. Il discorso della montagna contiene degli accenni dottrinali che saranno sviluppati nel corso della predicazione di Cristo. Nel tuo nome non abbiamo noi profetato? Profetare va preso nel senso ampio di: predicare, divulgare il messaggio di Gesù, non già in quello di predire il futuro. La predicazione, gli esorcismi ed i miracoli non sono sufficienti per entrare nel regno dei cieli, perché non costituiscono un merito personale, ma sono una manifestazione dell’autorità e della potenza di Gesù. Le parole di un’intensa espressività richiamano il seguace di Cristo sopra una condizione fondamentale per l’appartenenza al regno di Dio: non dire il bene, ma compierlo.
v. 23 Non vi ho mai conosciuti: Gesù non può ignorare coloro che hanno predicato, compiuto esorcismi e miracoli nel suo nome; non conoscere è un eufemismo per indicare il ripudio e la condanna.

Non vi ho mai conosciuto - Gesù al termine del lungo discorso evangelico (Cf. Mt 5-7), con il quale ha esposto lo spirito nuovo del regno di Dio, pone la folla e i suoi discepoli dinanzi alle loro concrete responsabilità: essere suoi seguaci comporta unicamente una vita pienamente donata all’Amore e agli uomini, liberamente compiacente a fare la volontà di Dio. Per entrare nel regno dei cieli non serve a nulla vantare amicizie o parentele con il Cristo oppure operare prodigi nel suo nome.
La salvezza non sta nel fare miracoli, nel parlare lingue sconosciute o esorcizzare i diavoli, ma nel fare la volontà del Padre.
In quel giorno molti mi diranno: Signore... Il profeta Geremia, molti anni prima, aveva rivolto a Israele lo stesso monito: «Così dice il Signore degli eserciti, Dio d’Israele: Rendete buone la vostra condotta e le vostre azioni, e io vi farò abitare in questo luogo. Non confidate in parole menzognere ripetendo: “Questo è il tempio del Signore, il tempio del Signore, il tempio del Signore!”» (Ger 7,3-4).
Per Gesù, la disincrasia tra il dire e il fare pone gli uomini nella condizione di andare incontro a un giudizio avverso: in «quel giorno», nel giorno del giudizio, coloro che conoscendo la volontà di Dio, non avranno disposto o agito secondo la sua volontà (Cf. Lc 12,47), saranno condannati al «fuoco eterno» (Mt 25,41; Cf. Mt 18,8). I falsi profeti e i carismatici millantatori sono «condannati dal giudice non per la mancanza di opere buone: hanno parlato profeticamente, hanno portato gli uomini a Dio, hanno vinto satana secondo lo stile della vittoria di Cristo su di lui [Mt 12,28]; hanno fatto meraviglie... ma non hanno compiuto la volontà di Dio. Per questo, coloro che si presentano con questa arroganza davanti a Dio sono chiamati operatori di “iniquità”» (Felipe F. Ramos).
Non entreranno nel regno dei cieli: Matteo ama l’espressione “regno dei cieli”, oppure “Padre che è nei cieli” per rispettare gli Ebrei, in gran parte lettori del suo Vangelo, che seguono pedissequamente il comandamento del Signore di non pronunciare il suo Nome invano.
Fare la volontà di Dio è compiere ciò che Dio Padre chiede ai suoi figli attraverso la vita di ogni giorno: lavoro, famiglia, professione, impegni sociali, politici... una vita sinceramente cristiana, seria e impegnata, fortemente radicata nella concretezza del quotidiano.

Giuseppe Barbaglio (Il Vangelo di Matteo): Il discorso è ormai al termine. Resta un’ultima domanda: quale atteggiamento assumere di fronte all’insegnamento di Cristo? Matteo intende sollecitare la sua comunità alla piena accoglienza. Il puro ascolto si dimostrerebbe insufficiente. Occorre invece una risposta più concreta, intessuta di coerenza operativa con la parola ascoltata. Una parabola illustra i due modi possibili di accettazione. Formalmente essa è specificata dal confronto tra due costruttori. Il primo edifica la casa sulla roccia!. È una costruzione solida, perciò resistente all’urto di piogge torrenziali e di venti impetuosi. Il secondo invece costruisce su terreno friabile. La casa non potrà resistere alla forza degli elementi naturali tempestosi e cadrà inesorabilmente. Matteo, a differenza di Luca, definisce i due costruttori: l’uno saggio, l’altro stolto. Gli aggettivi qualificano il loro comportamento.
Il primo ha agito saggiamente scegliendo un fondamento sicuro per la sua costruzione. Il secondo invece si è comportato stupidamente: un terreno malfermo non può dare solidità alla casa. Sono tipi rappresentativi di due modi di costruire. Ad essi il testo paragona due categorie diverse di discepoli di Cristo: coloro che ascoltano e traducono in pratica le parole del Signore! e coloro che si limitano al semplice ascolto.

Costruire sulla roccia - Benedetto XVI (Discorso 27 Maggio 2006): Amici miei, che cosa vuol dire costruire sulla roccia? Costruire sulla roccia significa anche costruire su Qualcuno che è stato rifiutato. San Pietro parla ai suoi fedeli di Cristo come di una “pietra viva rigettata dagli uomini, ma scelta e preziosa davanti a Dio” (1Pt 2,4). Il fatto innegabile dell’elezione di Gesù da parte di Dio non nasconde il mistero del male, a causa del quale l’uomo è capace di rigettare Colui che lo ha amato sino alla fine. Questo rifiuto di Gesù da parte degli uomini, menzionato da san Pietro, si protrae nella storia dell’umanità e giunge anche ai nostri tempi. Non occorre una grande acutezza di mente per scorgere le molteplici manifestazioni del rigetto di Gesù, anche lì dove Dio ci ha concesso di crescere. Più volte Gesù è ignorato, è deriso, è proclamato re del passato, ma non dell’oggi e tanto meno del domani, viene accantonato nel ripostiglio di questioni e di persone di cui non si dovrebbe parlare ad alta voce e in pubblico. Se nella costruzione della casa della vostra vita incontrate coloro che disprezzano il fondamento su cui voi state costruendo, non vi scoraggiate! Una fede forte deve attraversare delle prove. Una fede viva deve sempre crescere. La nostra fede in  Gesù  Cristo, per rimanere tale, deve spesso confrontarsi con la mancanza di fede degli altri.
Cari amici, che cosa vuol dire costruire sulla roccia? Costruire sulla roccia vuol dire essere consapevoli che si avranno delle contrarietà. Cristo dice: “Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono sulla casa…” (Mt 7,25). Questi fenomeni naturali non sono soltanto l’immagine delle molteplici contrarietà della sorte umana, ma ne indicano anche la normale prevedibilità. Cristo non promette che su una casa in costruzione non cadrà mai un acquazzone, non promette che un’onda rovinosa non travolgerà ciò che per noi è più caro, non promette che venti impetuosi non porteranno via ciò che abbiamo costruito a volte a prezzo di enormi sacrifici. Cristo comprende non solo l’aspirazione dell’uomo ad una casa duratura, ma è pienamente consapevole anche di tutto ciò che può ridurre in rovina la felicità dell’uomo.
Non vi meravigliate dunque delle contrarietà, qualunque esse siano! Non vi scoraggiate a motivo di esse! Un edificio costruito sulla roccia non equivale ad una costruzione sottratta al gioco delle forze naturali, iscritte nel mistero dell’uomo. Aver costruito sulla roccia significa poter contare sulla consapevolezza che nei momenti  difficili  c’è  una  forza  sicura su cui fare affidamento.

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** «Non chiunque mi dice: “Signore, Signore”, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli.»  (Vangelo).
Nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Preghiamo con la ChiesaAssisti il tuo popolo, Dio misericordioso,
e per l’intercessione del vescovo san Nicola,
che veneriamo nostro protettore,
salvaci da ogni pericolo
nel cammino che conduce alla salvezza.
Per il nostro Signore Gesù Cristo ...