29 Dicembre 2018

Tempo di Natale - Ottava


Oggi Gesù ci dice: «Dio ha tanto amato il mondo da donare il suo unico Figlio, perché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia la vita eterna.» (Gv 3,16 - Antifona).

Vangelo: Dal Vangelo secondo Lc 2,22-35: Gesù è posto come segno di contraddizione: chi respinge Cristo, da Cristo sarà giudicato (cfr. Lc 11,23), chi, invece, accoglie Cristo per amore, per libera scelta, a sua volta diventa luce per rivelarlo alle genti, perché Cristo è la luce del mondo (Gv 9,5). Ora, la luce non si può non vedere. Peccare contro la luce è il rifiuto dell’Amore crocifisso, è il rifiuto di amare il mondo come lo ama il Padre di Gesù (cfr. Gv 3,16): Chi dice di essere nella luce e odia suo fratello, è ancora nelle tenebre. Chi ama suo fratello, rimane nella luce e non vi è in lui occasione di inciampo. Ma chi odia suo fratello, è nelle tenebre, cammina nelle tenebre e non sa dove va, perché le tenebre hanno accecato i suoi occhi (1Gv 2,9-11).

Quando furono compiuti i giorni della loro purificazione rituale: secondo la legge mosaica (cfr. Lev 12,2-8) la donna che dava «alla luce un maschio», a motivo della sua impurità, non doveva toccare «alcuna cosa santa» né doveva entrare nel santuario per quaranta giorni. Al termine di questo periodo doveva portare «al sacerdote all’ingresso della tenda del convegno un agnello di un anno come olocausto e un colombo o una tortora in sacrificio di espiazione» per essere purificata «dal flusso del suo sangue». Le donne povere che non avevano mezzi per offrire un agnello offrivano, come Maria qui, due colombi. In quanto primogenito, Gesù viene portato al tempio per essere consacrato al Signore, come richiesto dalla legge di Mosé (Es 13,1-2). In tutte le lingue, presso tutti i popoli, il primo nato è sempre detto primogenito, seguano o no altri figli. Presso gli Ebrei il primo nato era sempre detto e rimaneva sempre primogenito perché al primo nato erano riservati particolari diritti di famiglia (cfr. Gen 27; Num 3,12-13; 18,15-16; Dt 21,15-17). Lo Spirito Santo aveva promesso a Simeone, che «non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Cristo Signore». Il vegliardo, «uomo giusto e pio», rappresenta «l’Israele fedele, che attendeva con fiducia illimitata la comparsa del Messia per l’attuazione del regno di Dio. In questo incontro la religiosità sincera dell’Antico Testamento si salda direttamente con quella del Nuovo Testamento, in una meravigliosa continuazione del progetto salvifico di Dio» (Angelico Poppi). L’attesa di Simeone si fonda su alcune profezie che predominano in tutto il Secondo o il Terzo Isaia (Is 40-55; 56-66). Il Nunc Dimittis sembra un cantico proveniente dall’ambiente giudaico-cristiano, anche se, come suggerisce la Bibbia di Gerusalemme, a differenza del Magnificat e del Benedictus, potrebbe essere «stato composto dallo stesso Luca, con il particolare aiuto di testi di Isaia. Dopo i primi tre versi che riguardano Simeone e la sua morte vicina, gli altri tre descrivono la salvezza universale portata dal Messia Gesù: una illuminazione del mondo pagano che ha avuto inizio dal popolo eletto e ridonderà a sua gloria» (vedi nota a Lc 2,29-32). Gesù sarà «come segno di contraddizione»: la sua missione sarà accompagnata da ostilità e da persecuzioni da parte del suo popolo. Maria, sua Madre, parteciperà a questo destino di dolore. Tutti i cristiani, come Maria, sono chiamati a partecipare a questo destino di dolore.

La Parola di Dio commentata dal Magistero: Quando furono compiuti i giorni ...: Catechismo della Chiesa Cattolica 529: La presentazione di Gesù al Tempio lo mostra come il Primogenito che appartiene al Signore. In Simeone e Anna è tutta l’attesa di Israele che viene all’incontro con il suo Salvatore (la tradizione bizantina chiama così questo avvenimento). Gesù è riconosciuto come il Messia tanto a lungo atteso, «luce delle genti» e «gloria di Israele», ma anche come «segno di contraddizione». La spada di dolore predetta a Maria annunzia l’altra offerta, perfetta e unica, quella della croce, la quale darà la salvezza «preparata da Dio davanti a tutti i popoli».

La presentazione di Gesù al Tempio - Giovanni Paolo II (Udienza Generale 11 Dicembre 1996):  Nell’episodio della presentazione di Gesù al tempio, san Luca sottolinea il destino messianico di Gesù. Scopo immediato del viaggio della Santa Famiglia da Betlemme a Gerusalemme è, secondo il testo lucano, l’adempimento della Legge: “Quando venne il tempo della loro purificazione secondo la Legge di Mosè, portarono il bambino a Gerusalemme per offrirlo al Signore, come è scritto nella Legge del Signore: ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore; e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o di giovani colombi, come prescrive la Legge del Signore” (Lc 2,22-24).
Con questo gesto, Maria e Giuseppe manifestano il proposito di obbedire fedelmente al volere di Dio, rifiutando ogni forma di privilegio. Il loro convenire nel tempio di Gerusalemme assume il significato di una consacrazione a Dio, nel luogo della sua presenza.
Indotta dalla sua povertà ad offrire tortore o colombi, Maria dona in realtà il vero Agnello che dovrà redimere l’umanità, anticipando con il suo gesto quanto era prefigurato nelle offerte rituali dell’Antica Legge.
2. Mentre la Legge richiedeva soltanto alla madre la purificazione dopo il parto, Luca parla del “tempo della loro purificazione” (Lc 2,22), intendendo, forse, indicare insieme le prescrizioni riguardanti la madre e il Figlio primogenito.
L’espressione “purificazione” ci può sorprendere, perché viene riferita ad una Madre che aveva ottenuto, per grazia singolare, di essere immacolata fin dal primo istante della sua esistenza, e ad un Bambino totalmente santo. Bisogna, però, ricordarsi che non si trattava di purificarsi la coscienza da qualche macchia di peccato, ma soltanto di riacquistare la purità rituale, la quale, secondo le idee del tempo, era intaccata dal semplice fatto del parto, senza che ci fosse alcuna forma di colpa.
L’evangelista approfitta dell’occasione per sottolineare il legame speciale che esiste tra Gesù, in quanto “primogenito” (Lc 2,7.23) e la santità di Dio, nonché per indicare lo spirito di umile offerta che animava Maria e Giuseppe (cf. Lc 2,24). Infatti, la “coppia di tortore o di giovani colombi” era l’offerta dei poveri (Lv 12,8).

Ora puoi lasciare che il tuo servo vada in pace: Giovanni Leonardi (L’infanzia di Gesù, EMP): II profeta Simeone è noto solo da questo episodio. Non è detto che fosse sacerdote: dal testo (v. 29) traspare invece che era una persona anziana. Qualcuno recentemente ha voluto identificarlo con Simeone figlio di Hillel, di cui si parla nel Talmud e il cui ritratto corrisponde a quello del Simeone di Luca. Daniélou ricorda che anche alcune tradizioni giudeo-cristiane sono favorevoli a questa interpretazione. Simeone è presentato «giusto e pio», al modo dei personaggi precedenti: giusto esternamente e praticamente, pio o timorato di Dio internamente. Egli attendeva «il conforto di Israele», cioè quel Messia (astratto per il concreto) il cui compito - secondo Isaia 61,2s - era «di confortare i piangenti di Sion», cioè di consolare e riportare alla gioia. Lo Spirito Santo, in premio di tali buone disposizioni e della intemerata condotta, gli aveva promesso (Luca non dice come) che avrebbe visto con i suoi occhi il Messia. Ed è appunto lo Spirito che, non solo lo fa salire al tempio in coincidenza con la venuta della sacra Famiglia, ma anche gli fa riconoscere nel Bambino il Messia. Simeone non si accontenta di contemplarlo: lo prende nelle sue braccia venerande e, nonostante la commozione, trova la forza di benedire Dio, cioè di uscire, come già Zaccaria, in un inno di lode e ringraziamento a Dio. II cantico è, come il Magnificat e il Benedictus, un mosaico di testi tolti dall’Antico Testamento. Vi predominano però i riferimenti al Deutero-Isaia, il profeta della consolazione di Israele (40,1; 42,6; 46,13; 49,6; 52,10; cfr. 46,30); per cui Daniélou pensa che si tratti di un arcaico inno giudeo-cristiano della Chiesa post-pentecostale e da Luca messo in bocca a Simeone per esprimerne sentimenti simili. Simeone si pone (vv. 29-32) nell’atteggiamento del servo verso il padrone ed esprime la sua soddisfazione al Signore per aver mantenuta la parola promessa: gli dice che lo lasci pur andare (lett. salpare) verso il porto dell’aldilà con la pace messianica ormai raggiunta; i suoi occhi infatti hanno visto la sua salvezza (astratto per il concreto): quella salvezza - continua a dire - che Dio ha preparato - quale mensa imbandita - davanti a tutti i popoli, perché sia luce alle genti pagane e gloria (cioè onore o vanto) del suo popolo Israele; oppure meglio perché sia la presenza specialissima e benefica di Dio in mezzo al suo popolo. Questo è l’unico accenno espressamente universalistico che troviamo nel Vangelo dell’infanzia di Luca: per giunta i pagani vengono messi al primo posto, anche se considerati avvolti dalle tenebre dell’idolatria e quindi bisognosi della luce della rivelazione cristiana.

Cristo luce del mondo: A. Feuillet e P. Grelot: 1. Compimento della promessa. - Nel Nuovo Testamento la luce escatologica promessa dai profeti è diventata realtà: quando Gesù incomincia a predicare in Galilea, si compie l’oracolo di Is 9,1 (Mt 4,16). Quando risorge secondo le profezie, si è per «annunziare la luce al popolo ed alle nazioni pagane» (Atti 26, 23). Perciò i cantici conservati da Luca salutano in lui sin dall’infanzia il sole nascente che deve illuminare coloro che stanno nelle tenebre (Lc 1,78 s; cfr. Mal 3,20; Is 9,1; 42,7), la luce che deve illuminare le nazioni (Le 2,32; cfr. Is 42,6; 49,6). La vocazione di Paolo, annunziatore del vangelo ai pagani, si inserirà nella linea degli stessi testi profetici (Atti 13,47; 26,18). 2. Cristo rivelato come luce. - Tuttavia vediamo che Gesù si rivela come luce del mondo soprattutto con i suoi atti e le sue parole. Le guarigioni di ciechi (cfr. Mc 8,22-26) hanno in proposito un significato particolare, come sottolinea Giovanni riferendo l’episodio del cieco nato (Gv 9). Gesù allora dichiara: «Finché sono nel mondo, sono la luce del mondo» (9,5). Altrove commenta: «Chi mi segue non cammina nelle tenebre, ma avrà la luce della vita» (8,12); «io, la luce, sono venuto nel mondo affinché chiunque crede in me non cammini nelle tenebre» (12,46). La sua azione illuminatrice deriva da ciò che egli è in se stesso: la parola stessa di Dio, vita e luce degli uomini, luce vera che illumina ogni uomo venendo in questo mondo (1,4.9). Quindi il dramma che si intreccia attorno a lui è un affrontarsi della luce e delle tenebre: la luce brilla nelle tenebre (l,4), ed il mondo malvagio si sforza di spegnerla, perché gli uomini preferiscono le tenebre alla luce quando le loro opere sono malvagie (3,19). Infine, al momento della passione, quando Giuda esce dal cenacolo per tradire Gesù, Giovanni nota intenzionalmente: «Era notte» (13,30); e Gesù, al momento del suo arresto, dichiara: «È l’ora vostra, ed il potere delle tenebre» (Lc 22,53).
  
Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** Gesù sarà «come segno di contraddizione»: la sua missione sarà accompagnata da ostilità e da persecuzioni da parte del suo popolo. Maria, sua Madre, parteciperà a questo destino di dolore. Tutti i cristiani, come Maria, sono chiamati a partecipare a questo destino di dolore.
Nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Preghiamo con la Chiesa: Dio invisibile ed eterno, che nella venuta del Cristo vera luce hai rischiarato le nostre tenebre, guarda con bontà questa tua famiglia, perché possa celebrare con lode unanime la nascita gloriosa del tuo unico Figlio. Egli è Dio, e vive e regna con te...