28 Dicembre 2018

Tempo di Natale - Ottava

Santi Innocenti Martiri


Oggi Gesù ci dice: «Chi dona la sua vita risorge nel Signore.» (Salmo responsoriale).

Vangelo: Dal Vangelo secondo Mt 2,33-18: Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei?... All’udire questo, il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme. Erode il Grande, re della Giudea, uomo sanguinario, è sconvolto, teme di perdere il trono e avendo saputo dai capi dei sacerdoti e dagli scribi del popolo che Betlemme di Giudea era il luogo dove doveva nascere il re dei Giudei, cerca il bambino per ucciderlo. Erode è la personificazione della forza violenta del male. Nel suo cuore c’è la furia omicida che scatena lutti, dolore, pianto, rovine, grida e lamenti. A tanta violenza umana risponde la Provvidenza dell’amore divino: un angelo appare a Giuseppe invitandolo a fuggire in Egitto: lo sposo di Maria ancora una volta ascolta l’angelo che gli parla e obbedisce senza indugi alla sua parola. Questa pagina evangelica ci interpella, mette in agitazione il nostro cuore perché non è relegata al passato; ancora oggi continua la strage degli innocenti, dei piccoli e degli inermi. Milioni di bambini sono falcidiati dall’aborto, dalla fame e dalla malattia; molti sono oggetto di violenza, di rapina e di sfruttamento. C’è bisogno di uomini e di donne che ascoltino oggi, come Giuseppe, l’angelo del Signore e prendano con sé i piccoli e i deboli per salvarli dalla furia omicida di questo mondo.

La strage dei bambini di Betlemme - Giuseppe Barbaglio (Il Vangelo di Matteo): Scoppia la violenza del persecutore: un tempo il faraone contro i figli maschi degli ebrei in Egitto (Es 1,15-16), ora Erode contro i bambini di Betlemme. Continua il parallelismo tra Mosè e Cristo sullo schema fisso: come il primo liberatore, così il secondo. Ma Matteo inserisce, ancora una volta, il principio teologico del compimento profetico della storia dell’Antico Testamento. Qui cita un testo del profeta Geremia (31,15) che aveva presentato la tragedia degli israeliti condotti in esilio, raffigurandola plasticamente nel pianto disperato di Rachele, antenata del popolo; essa esce dalla tomba in Rama per vedere le colonne dei suoi discendenti deportati e piangere sconsolatamente. L’evangelista ha reinterpretato il racconto di carattere haggadico della tradizione giudeo-cristiana per sottolineare un tema teologico a lui caro: i figli d’Israele hanno rifiutato in Gesù di Nazaret il loro messia, firmando la propria rovina. Sono morti come popolo di Dio. Per infedeltà ostinata escono dalla storia della salvezza; subentra la chiesa, il popolo che nella fede accoglie Gesù come messia e figlio di Dio. I bambini di Betlemme raffigurano appunto gli israeliti increduli e perciò perduti. Il dramma della vita pubblica di Cristo, legato a quello del suo popolo, trova in questa pagina una simbolica raffigurazione.

Alzàti, prendi con te il bambino e sua madre... - Angelo Lancellotti (Matteo): v. 13 il bambino e sua madre, il binomio che ricorre ben cinque volte in questo vangelo dell’infanzia (2,11.13.14.20.21) sembra una formula coniata appositamente da Matteo per mettere al loro giusto posto i personaggi che sono all’origine della salvezza messianica. Viene in primo luogo il «bambino» su cui si concentra l’attenzione di tutti, potenze terrestri e celesti, e verso il quale sono orientate le speranze dei giusti come le gelosie dei tiranni. Poi viene «sua madre» che lo generò. Giuseppe, il cui ufficio di «custode» occupa un posto centrale in tutta la narrazione, è come lasciato in disparte. Fuggi in Egitto: l’Egitto, da poco diventato una prefettura imperiale, ospitava una numerosa e potente colonia giudaica che contava oltre 250 mila immigrati; lungo il corso della storia biblica appare più volte come il sicuro rifugio di perseguitati politici (cf 1Re 11,40; 2Re 26,26).
v. 15 per mezzo del profeta: la citazione, fatta non in base al senso letterale, ma per modo di applicazione, è tratta dal profeta Osea (11,1) che rievoca il «ritorno» del popolo eletto, «figlio primogenito» di Dio, dall’esilio egiziano; l’evangelista ravvisa una stretta analogia fra lo scampo del divino infante alla persecuzione di Erode e la liberazione del popolo eletto dall’oppressione dei faraoni. Infatti, come Erode, anche il crudele faraone aveva ordinato la soppressione di tutti i bambini ebrei (cf Es 1,16). Allora la paterna provvidenza di Dio, per mezzo del suo inviato Mosè, strappò allo sterminio il suo popolo; ora Giuseppe, nuovo Mosè, ha il compito di proteggere Gesù nella furiosa tempesta scatenata contro di lui dall’ira di Erode, per poterlo poi ricondurre sano e salvo alla sua terra, la «terra d’Israele» (v. 20).

La fuga in Egitto - Redemptoris custos 14: Dopo la presentazione al tempio l’evangelista Luca annota: «Quando ebbero tutto compiuto secondo la legge del Signore, fecero ritorno in Galilea, alla loro città di Nazaret. Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era sopra di lui» (Lc 2,39-40).
Ma, secondo il testo di Matteo, prima ancora di questo ritorno in Galilea, è da collocare un evento molto importante, per il quale la divina Provvidenza ricorre di nuovo a Giuseppe. Leggiamo: «Essi (i magi) erano appena partiti, quando un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: “Alzati, prendi con te il bambino e sua madre e fuggi in Egitto, e resta là finché non ti avvertirò, perché Erode sta cercando il bambino per ucciderlo”» (Mt 2,13). In occasione della venuta dei magi dall’Oriente, Erode aveva saputo della nascita del «re dei Giudei» (cfr. Mt 2,2). E quando i magi partirono, egli «mandò ad uccidere tutti i bambini di Betlemme e del suo territorio dai due anni in giù» (Mt 2,16). In questo modo, uccidendo tutti, voleva uccidere quel neonato «re dei Giudei», del quale era venuto a conoscenza durante la visita dei magi alla sua corte. Allora Giuseppe, avendo udito in sogno l’avvertimento, «prese con  il bambino e sua madre nella notte e fuggì in Egitto, dove rimase fino alla morte di Erode, perché si adempisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: “Dall’Egitto ho chiamato mio figlio”» (Mt 2,14-15; cfr. Os 11,1). In tal modo la via del ritorno di Gesù da Betlemme a Nazaret passò attraverso l’Egitto. Come Israele aveva preso la via dell’esodo «dalla condizione di schiavitù» per iniziare l’antica alleanza, così Giuseppe, depositario e cooperatore del mistero provvidenziale di Dio, custodisce anche in esilio colui che realizza la nuova alleanza.

La fuga in Egitto - Claude Tassin (Vangelo di Matteo): Nell’antichità l’Egitto era il tradizionale luogo di rifugio per chiunque doveva fuggire dalla Palestina. Ma, riferendo a Gesù questa situazione, l’evangelista persegue il suo insegnamento teologico. La struttura del racconto si presenta così: a) un ordine dato dall’angelo a Giusep­pe (v. 13); b) l’esecuzione dell’ordine (vv. 14-15a); e) un passaggio dell’Antico Testamento che rivela il senso dell’episodio (v. 15b). Anche se breve, il racconto gioca su due piani:
La figura di Mosè continua a proiettare la sua ombra sull’episodio: anch’egli ha dovuto fuggire, poiché il faraone «cercò di ucciderlo» (Es 2,15). E ugualmente, Erode «è in cerca del bambino per ucciderlo»; ecco quindi stabilito un parallelo tra Gesù e Mosè nella persecuzione, benché in questo caso la storia subisca una strana in­versione: mentre Mosè fuggiva da un Egitto ostile, Gesù è invece minacciato dalla terra di Israele. Il fatto è che al tempo in cui Matteo redige il suo vangelo l’ostilità verso i cristiani proviene più dalla Giudea che dalle terre pagane. Notiamo l’espressione: «Giuseppe partì». Questo termine ritornerà ripetutamente in Matteo: è l’umile appartarsi di Gesù davanti ai suoi nemici, un isolamento che gli permette in genere nuovi e fruttuosi incontri.
Si ricordi che, nella storia di Israele, l’Egitto rappresenta l’oppressione. E il punto di partenza dell’esodo, del cammino di liberazione verso la terra promessa. Con questo breve racconto, Gesù si separa dal suo popolo, assumendo la storia delle sue prove, come evidenzia la citazione del profeta Osea (Os 11,1) al v. 15b. È però necessario acquistare familiarità con il modo ebraico di citare qui la Scrittura. Se qualcuno dice: «I topi ballano», noi ribattiamo spontaneamente la parte iniziale del proverbio: «Quando manca il gatto...». Così, i lettori ebrei di Matteo completavano a memoria il testo di Osea: «Israele era giovane ed io lo amai e dall’Egitto io chiamai mio figlio». Il senso allora assume dimensioni più vaste: il bambino Gesù è il bambino Israele; egli riassume nella propria persona la vocazione e il destino del popolo eletto, prima che il seguito del vangelo non riveli che egli è Figlio, ancor più di quel popolo oppresso di cui Dio diceva al faraone: «Israele è il mio figlio primogenito... Manda mio figlio!» (Es 4,22-23).

I bambini innocenti di Betlemme, uccisi per ordine di Erode, sono diventati partecipi della nascita e della passione redentrice di Cristo: Giovanni Paolo II (Gratissimam sane, Lettera alle Famiglie): Il breve racconto della infanzia di Gesù ci riferisce in maniera molto significativa, quasi contemporaneamente, la sua nascita e il pericolo che Egli deve subito affrontare. Luca riporta le parole profetiche pronunciate dal vecchio Simeone quando il Bambino viene presentato al Signore nel Tempio, quaranta giorni dopo la nascita. Egli parla di «luce » e di «segno di contraddizione»; a Maria, poi, predice: «Anche a te una spada trafiggerà l’anima» (cfr. Lc 2,32-35). Matteo, invece, si sofferma sulle insidie tramate nei confronti di Gesù da parte di Erode: informato dai Magi, giunti dall’Oriente per vedere il nuovo re che doveva nascere (cfr. Mt 2,2), egli si sente minacciato nel suo potere e, dopo la loro partenza, ordina di uccidere tutti i bambini di Betlemme e dei dintorni dai due anni in giù. Gesù sfugge alle mani di Erode grazie ad un particolare intervento divino e grazie alla sollecitudine paterna di Giuseppe, che lo porta insieme a sua Madre in Egitto, dove soggiornano fino alla morte di Erode. Tornano poi a Nazaret, loro città natale, dove la Santa Famiglia inizia il lungo periodo di un’esistenza nascosta, scandita dall’adempimento fedele e generoso dei doveri quotidiani (cfr. Mt 2,1-23; Lc 2,39-52). Appare di un’eloquenza profetica il fatto che Gesù, sin dalla nascita, sia stato posto di fronte a minacce e pericoli. Già come Bambino Egli è «segno di contraddizione». Un’eloquenza profetica riveste inoltre il dramma dei bambini innocenti di Betlemme, uccisi per ordine di Erode e diventati, secondo l’antica liturgia della Chiesa, partecipi della nascita e della passione redentrice di Cristo. Attraverso la loro «passione», essi completano «quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa» (Col 1,24). Nei Vangeli dell’infanzia, dunque, l’annuncio della vita, che si compie in modo mirabile nell’evento della nascita del Redentore, viene fortemente contrapposto alla minaccia alla vita, una vita che abbraccia nella sua interezza il mistero dell’Incarnazione e della realtà divino-umana di Cristo.

Quando Erode si accorse che i Magi si erano presi gioco di lui, si infuriò e mandò a uccidere tutti i bambini... - L’aborto - Chiarificazione della Congregazione per la Dottrina della Fede  sull’aborto procurato: La vita umana deve essere rispettata e protetta in modo assoluto fin dal momento del concepimento. Dal primo istante della sua esistenza, l’essere umano deve vedersi riconosciuti i diritti della persona, tra i quali il diritto inviolabile di ogni essere innocente alla vita. “Prima di formarti nel grembo materno, ti conoscevo, prima che tu uscissi alla luce, ti avevo consacrato” (Ger 1,5). “Non ti erano nascoste le mie ossa quando venivo formato nel segreto, intessuto nelle profondità della terra” (Sal 139,15).Fin dal primo secolo la Chiesa ha dichiarato la malizia morale di ogni aborto provocato. Questo insegnamento non è mutato. Rimane invariabile. L’aborto diretto, cioè voluto come un fine o come un mezzo, è gravemente contrario alla legge morale: “Non uccidere il bimbo con l’aborto, e non sopprimerlo dopo la nascita” (Didaché, 2,2). "Dio, padrone della vita, ha affidato agli uomini l’altissima missione di proteggere la vita, missione che deve essere adempiuta in modo degno dell’uomo. Perciò la vita, una volta concepita, deve essere protetta con la massima cura; e l’aborto come pure l’infanticidio sono abominevoli delitti” (Concilio Vaticano II, Gaudium et spes, 51).
La cooperazione formale a un aborto costituisce una colpa grave. La Chiesa sanziona con una pena canonica di scomunica questo delitto contro la vita umana. “Chi procura l’aborto, se ne consegue l’effetto, incorre nella scomunica latae sententiae” (Cic, can. 1398), “per il fatto stesso d’aver commesso il delitto” (Cic, can. 1314) e alle condizioni previste dal diritto (cfr. Cic, cann. 1323-1324). La Chiesa non intende in tal modo restringere il campo della misericordia. Essa mette in evidenza la gravità del crimine commesso, il danno irreparabile causato all’innocente ucciso, ai suoi genitori e a tutta la società.

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** La vita umana deve essere rispettata e protetta in modo assoluto fin dal momento del concepimento.
Nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Preghiamo con la Chiesa: Signore nostro Dio, che oggi nei santi Innocenti sei stato glorificato non a parole, ma col sangue, concedi anche a noi di esprimere nella vita la fede che professiamo con le labbra. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli.