22 Dicembre 2018

Feria Propria del 22 Dicembre


Oggi Gesù ci dice: «Sollevate, o porte, i vostri frontàli, alzatevi, porte antiche: deve entrare il Re della gloria.» (Sal 23,7 - Antifona).

Dal Vangelo secondo Lc 1,46-55: Maria canta l’onnipotenza di Dio che opera meraviglie, Egli si rivela ai piccoli, innalza gli umili e atterra i potenti. Il Magnificat è il canto della storia della salvezza che rivela la misericordia e l’amore eterno di Dio per il suo popolo e per tutti gli uomini. Amore e Misericordia che per opera dello Spirito Santo si faranno Carne nel grembo verginale di Maria.

L’anima mia magnifica il Signore - Bruno Maggioni: Nel Vangelo di Luca (1,46-55) è la preghiera pronunciata da Maria in visita a Elisabetta. Prende nome dalla prima parola della preghiera nella versione latina. Con questo cantico Luca esprime il senso profondo e salvifico degli eventi narrati ed esemplifica la risposta del credente al dono della salvezza. Maria non rifiuta la benedizione di Elisabetta (“Benedetta tu tra le donne, e benedetto il frutto del tuo grembo”, Lc 1,42), ma la colloca nella giusta prospettiva: ciò che sta avvenendo in lei è puro dono della bontà del Signore. All’inizio Maria parla di ciò che Dio ha compiuto in lei (“ha guardato l’umiltà della sua serva”), ma poi di ciò che Dio ha fatto per tutto il popolo. Il caso personale viene inserito nell’agire costante di Dio. Il Magnificat è un mosaico di testi tratti dall’Antico Testamento, specialmente dal cantico di Anna (1Sam 2,1-10). Le espressioni dell’Antico Testamento sono scelte in modo da costituirne una rilettura sulla base di due scelte precise. 1. La salvezza è tutta sospesa alla gratuita iniziativa di Dio. Il Signore è il protagonista e i suoi interventi nascono tutti dalla sua fedeltà misericordiosa: “Ha soccorso Israele, suo servo, ricordandosi della sua misericordia, come aveva promesso ai nostri padri [...], per sempre” (1,54-55). 2. La salvezza si attua nella storia degli umili (a loro è rivolta e loro sono i protagonisti) e Dio conduce la storia rovesciando le parti: ha confuso i sapienti, ha rovesciato i potenti, riempie di beni gli affamati, manda i ricchi a mani vuote. Sono le due grandi leggi che indicano quella logica di Dio che Gesù nella sua vicenda avrebbe rivelato.

D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata - Redemptoris Mater, 36: Quando Elisabetta salutò la giovane parente che giungeva da Nazareth, Maria rispose col Magnificat. Nel suo saluto Elisabetta prima aveva chiamato Maria «benedetta» a motivo del «frutto del suo grembo», e poi «beata» a motivo della sua fede (Lc 1,42). Queste due benedizioni si riferivano direttamente al momento dell’annunciazione. Ora, nella visitazione, quando il saluto di Elisabetta rende testimonianza a quel momento culminante, la fede di Maria acquista una nuova consapevolezza e una nuova espressione. Quel che al momento dell’annunciazione rimaneva nascosto nella profondità dell’«obbedienza della fede», si direbbe che ora si sprigioni come una chiara, vivificante fiamma dello spirito. Le parole usate da Maria sulla soglia della casa di Elisabetta costituiscono un’ispirata professione di questa sua fede, nella quale la risposta alla parola della rivelazione si esprime con l’elevazione religiosa e poetica di tutto il suo essere verso Dio. In queste sublimi parole, che sono ad un tempo molto semplici e del tutto ispirate ai testi sacri del popolo di Israele, traspare la personale esperienza di Maria, l’estasi del suo cuore. Splende in esse un raggio del mistero di Dio, la gloria della sua ineffabile santità, l’eterno amore che, come un dono irrevocabile, entra nella storia dell’uomo. Maria è la prima a partecipare a questa nuova rivelazione di Dio e, in essa, a questa nuova «autodonazione» di Dio. Perciò proclama: «Grandi cose ha fatto in me..., e santo è il suo nome». Le sue parole riflettono la gioia dello spirito, difficile da esprimere: «Il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore». Perché «la profonda verità sia su Dio sia sulla salvezza degli uomini... risplende a noi in Cristo, il quale è insieme il mediatore e la pienezza di tutta la rivelazione». Nel suo trasporto Maria confessa di essersi trovata nel cuore stesso di questa pienezza di Cristo. È consapevole che in lei si compie la promessa fatta ai padri e, prima di tutto, «ad Abramo e alla sua discendenza per sempre»: che dunque in lei, come madre di Cristo, converge tutta l’economia salvifica, nella quale «di generazione in generazione» si manifesta colui che, come Dio dell’Alleanza, «si ricorda della sua misericordia»”.

Grandi cose ha fatto per me l’Onnipotente e Santo è il suo nome - Benedetto Prete (I Quattro Vangeli): Grandi cose ha fatto per me l’Onnipotente; cf. Deuteronomio, 10, 21; l’espressione «cose grandi» (cf. Salmo, 71 [70],19) non designa necessariamente la molteplicità di fatti imponenti, ma piuttosto la grandiosità di essi; essa qui visualizza la maternità del Messia; questa nuova manifestazione della bontà divina conferma ancora che il Signore fa cose grandi. Per me: la dichiarazione (come «mio Salvatore» al vers. 47) non vuole mettere in evidenza esclusivamente Maria, ma la considera insieme con il popolo a cui ella appartiene; la Vergine infatti loda Dio per averla ricolmata di favori ed anche per aver beneficato, per suo tramite, l’intero popolo d’Israele. Questo profondo convincimento di religiosa solidarietà con il popolo eletto è un tratto finissimo ed appropriato per Maria, la figlia più perfetta d’Israele (cf. vers. 54-55). L’Onnipotente (ὁδυνατός) è sostantivo che designa il Potente per antonomasia; nei passi del Vecchio Testamento il «Potente» designa Jahweh stesso (cf. Salmo, 45 [44],4.6; 120 [119],4; Sofonia, 3,17 etc.). Santo è il suo nome; alcuni ritengono che questa proposizione con la seguente (e la sua misericordia etc.) siano unite alla precedente, poiché danno alla congiunzione greca καί il valore di pronome relativo; l’ebraico infatti, data la sua povertà di mezzi espressivi, usa spessissimo la congiunzione «e» in luogo del relativo; il senso, in questo caso, sarebbe: il Potente, di cui il nome è santo e di cui la misericordia si estende etc. Il Cantico invece prende molto più vigore se con queste parole si inizia una nuova proposizione. Il nome sta per la persona, secondo la psicologia della lingua ebraica. «Santo» più che un particolare attributo divino, designa un complesso di perfezioni proprie all’Essere supremo (cf. Isaia, 57,15). «L’idea di santità, nel senso di Maestà suprema e temibile è caratteristica delle religioni semitiche» (Lagrange, h. l.).Tuttavia nel testo l’idea del sacro terrore che ispira all’ebreo la divinità (cf. Isaia, 6,5) è sorvolato, poiché subito dopo si parla di manifestazione della misericordia.

... di generazione in generazione la sua misericordia per quelli che lo temono. - La misericordia di Dio - Gottfried Hierzenberger: La misericordia, testimoniata come esperienza di fondo d’Israele fin dall’inizio della sua storia, deriva dalla fedeltà di Dio all’alleanza con il suo popolo (Os 2,25: la formula dell’alleanza “Tu sei il mio popolo” viene espressa con la perifrasi “Io ho misericordia”). I significati fondamentali delle radici dei termini che l’Antico Testamento usa spiegano la misericordia come “affetto materno”, “chinarsi verso il basso”, spesso anche come “gratuita fedeltà all’alleanza”. Essendo partner dell’alleanza, Israele può sì abbandonarsi alla misericordia, ma non può disporre di essa, trattandosi di un dono gratuito (Es 33,19: Dio chiama il suo nome “avrò misericordia”, ma aggiunge “di chi vorrò aver misericordia”. L’israelita sa che nella storia Dio è sempre venuto in soccorso dell’impotenza del suo popolo (Es 3,7s), perciò nella preghiera egli può confessare la sua impotenza e invocare la misericordia (Sal 4,2). Nemmeno la colpa e il peccato possono dividere Israele dalla misericordia (Gdc 2,18). Castigo e giudizio finiscono col portare, attraverso la conversione, a una nuova esperienza della misericordia (Os 2,16; 6,1). Soltanto quando il popolo s’indurisce deliberatamente contro ogni richiamo di Dio, la  misericordia non lo può più raggiungere (Is 6,10). Soltanto un po’ alla volta Israele riconosce che la misericordia non si restringe entro i confini del suo popolo. Secondo la storia delle origini jahwista, la sua azione risale fino ai primordi dell’umanità (Gen 2,18; 3,15), ma soltanto tardi scritti sapienziali affermano che essa abbraccia “ogni essere vivente” (Sir 18,12). Nel Nuovo Testamento il tempo di Cristo appare come il punto culminante della misericordia (Lc 1,50.54.72.78). La parabola del padre misericordioso (Lc 15,11-32 - l’accento non è posto sul “figliol prodigo”) mostra che la misericordia è già offerta all’uomo prima che egli la chieda. Giustizia (verso il fratello maggiore) e misericordia (verso il minore) non sono contrapposte. La misericordia è indispensabile per ogni uomo. Ciò non significa, naturalmente, che la misericordia debba essere provocata dai peccati (Rm 6,1). Nelle Lettere neotestamentarie la redenzione operata per mezzo del Signore Gesù Cristo è l’espressione generalmente ricorrente per la misericordia (per es. Rm 9,22-33). Essa è vista, per tale motivo, come qualcosa di definitivo, di perenne, di sicuro (1Tm 1,15-18). Con ciò è dato all’uomo un sostegno sicuro che gli permette di contrapporre, nella fiducia nella misericordia, a ogni esperienza di smarrimento e di miseria, la speranza sicura nella salvezza definitiva e di poter vivere un amore misericordioso come atteggiamento di fondo dell’esistenza cristiana.

Deus caritas est n. 41: Tra i santi eccelle Maria, Madre del Signore e specchio di ogni santità. Nel Vangelo di Luca la troviamo impegnata in un servizio di carità alla cugina Elisabetta, presso la quale resta «circa tre mesi» (1,56) per assisterla nella fase terminale della gravidanza. «Magnificat anima mea Dominum», dice in occasione di questa visita - «L’anima mia rende grande il Signore» - (Lc 1,46), ed esprime con ciò tutto il programma della sua vita: non mettere se stessa al centro, ma fare spazio a Dio incontrato sia nella preghiera che nel servizio al prossimo  solo allora il mondo diventa buono. Maria è grande proprio perché non vuole rendere grande se stessa, ma Dio. Ella è umile: non vuole essere nient’altro che l’ancella del Signore (cfr Lc 1,38.48). Ella sa di contribuire alla salvezza del mondo non compiendo una sua opera, ma solo mettendosi a piena disposizione delle iniziative di Dio. È una donna di speranza: solo perché crede alle promesse di Dio e attende la salvezza di Israele, l’angelo può venire da lei e chiamarla al servizio decisivo di queste promesse. Essa è una donna di fede: «Beata sei tu che hai creduto», le dice Elisabetta (cfr Lc 1,45). Il Magnificat - un ritratto, per così dire, della sua anima - è interamente tessuto di fili della Sacra Scrittura, di fili tratti dalla Parola di Dio. Così si rivela che lei nella Parola di Dio è veramente a casa sua, ne esce e vi rientra con naturalezza. Ella parla e pensa con la Parola di Dio; la Parola di Dio diventa parola sua, e la sua parola nasce dalla Parola di Dio. Così si rivela, inoltre, che i suoi pensieri sono in sintonia con i pensieri di Dio, che il suo volere è un volere insieme con Dio. Essendo intimamente penetrata dalla Parola di Dio, ella può diventare madre della Parola incarnata. Infine, Maria è una donna che ama. Come potrebbe essere diversamente? In quanto credente che nella fede pensa con i pensieri di Dio e vuole con la volontà di Dio, ella non può essere che una donna che ama. Noi lo intuiamo nei gesti silenziosi, di cui ci riferiscono i racconti evangelici dell’infanzia. Lo vediamo nella delicatezza, con la quale a Cana percepisce la necessità in cui versano gli sposi e la presenta a Gesù. Lo vediamo nell’umiltà con cui accetta di essere trascurata nel periodo della vita pubblica di Gesù, sapendo che il Figlio deve fondare una nuova famiglia e che l’ora della Madre arriverà soltanto nel momento della croce, che sarà la vera ora di Gesù (cfr Gv 2,4; 13,1). Allora, quando i discepoli saranno fuggiti, lei resterà sotto la croce (cfr Gv 19,25-27); più tardi, nell’ora di Pentecoste, saranno loro a stringersi intorno a lei nell’attesa dello Spirito Santo (cfr At 1,14).

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
***  «Sollevate, o porte, i vostri frontàli, alzatevi, porte antiche: deve entrare il Re della gloria.» (Sal 23,7 - Antifona).
Nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Preghiamo con la Chiesa: O Dio, che nella venuta del tuo Figlio hai risollevato l’uomo dal dominio del peccato e della morte, concedi a noi, che professiamo la fede nella sua incarnazione, di partecipare alla sua vita immortale. Egli è Dio e vive e regna con te.