16 Dicembre 2018

 III Domenica di Avvento di Avvento


Oggi Gesù ci dice: «Fratelli, siate sempre lieti nel Signore, ve lo ripeto: siate lieti. La vostra amabilità sia nota a tutti. Il Signore è vicino!» (II Lettura).

Dal Vangelo secondo Luca 3,10-18: Che cosa dobbiamo fare? - A interrogare Giovanni sono le folle, i pubblicani e alcuni soldati. Per ciascun gruppo Giovanni dà una risposta.
Alle folle indica la via della carità e della condivisione. Gli uomini saranno giudicati per le opere di misericordia, non per le opere ascetiche o per le loro azioni eccezionali (Cf. Mt 7,22s; 25,31ss).
I pubblicani, presenti in tutto l’impero romano, erano gli appaltatori di tributi. In altre parole erano dei dipendenti del governo d’occupazione romano. La loro cattiva fama era spesso peggiorata dal fatto che alcuni erano soliti ad abusi e intemperanze. Il popolo li considerava come veri aguzzini alla stregua degli usurai e il disprezzo era ancora più alto quando a compiere questo mestiere era un ebreo. Come collaboratori dell’odiato Impero romano, dai farisei erano considerati peccatori pubblici, quindi emarginati dalla vita religiosa. Ad essi, Giovanni impone di non esigere «nulla di più di quanto è stato loro fissato», cioè di essere onesti, giusti, equi nell’esigere le tasse.
Poiché ai giudei era proibito il servizio militare, si deve ritenere che questi soldati che si rivolgono a Giovanni erano dei pagani. Cade così ogni muro di separazione: «Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio» (Lc 3,6). Dal momento che in quei tempi lontani i peccati consueti del militare erano il latrocinio vessatorio, l’estorsione con false denunce, l’abuso di potere, Giovanni impone loro di non «maltrattate e non estorcete niente a nessuno», di accontentarsi delle loro paghe. È da sottolineare che il Battista non chiede ai pubblicani e ai soldati, di cambiare professione. È l’insegnamento paolino: «ciascuno rimanga davanti a Dio in quella condizione in cui era quando è stato chiamato» (1Cor 7,17).
Considerato che il Battista non pretende particolari pratiche ascetiche, si può credere che egli segua le ammonizioni già care ai profeti: «Con che cosa mi presenterò al Signore, mi prostrerò al Dio altissimo? Mi presenterò a lui con olocausti, con vitelli di un anno? Gradirà il Signore migliaia di montoni e torrenti di olio a miriadi? Gli offrirò forse il mio primogenito per la mia colpa, il frutto delle mie viscere per il mio peccato? Uomo, ti è stato insegnato ciò che è buono e ciò che richiede il Signore da te: praticare la giustizia, amare la bontà, camminare umilmente con il tuo Dio» (Mi 6,6-8).
La conversione predicata da Giovanni è tesa a raggiungere il cuore dell’uomo, ma anche le sue relazioni, da qui si possono cogliere nelle parole del Battista sfumature prettamente sociali.
«La predicazione etico-sociale, redatta secondo uno schema ternario [vv. 4-10], rappresenta uno sviluppo di quella escatologica. Le illustra qui il senso dell’espressione “frutti degni di conversione”. La vera metanoia non consiste in forme penitenziali esteriori e in riti espiatori, e neppure in un atteggiamento intimistico di pentimento delle colpe commesse, ma implica un ritorno sincero al Signore, che deve concretizzarsi in un comportamento caritatevole verso i fratelli, soprattutto in un impegno operoso verso i più bisognosi, con la condivisione dei beni, con una condotta retta e onesta nell’esercizio del proprio lavoro» (A. Poppi).
Tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo. Giovanni  risponde a questa attesa illustrando il ruolo di colui che deve venire e che è più forte di lui.
Colui che deve venire battezzerà in Spirito santo e fuoco: il «fuoco, mezzo di purificazione meno materiale e più efficace dell’acqua, simboleggia, già nell’Antico Testamento (Cf. Is 1,25; Zc 13,9; Ml 3,2-3; Sir 2,5, ecc.), l’intervento sovrano di Dio e del suo Spirito che purifica le coscienze» (Bibbia di Gerusalemme).
Tiene in mano la pala per pulire la sua aia e per raccogliere il frumento nel suo granaio; ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile. In questa frase, (Cf. Mt 3,12), l’inviato è rappresentato come il contadino che con il ventilabro separa il frumento dalla pula e depone il primo nel granaio, destinando invece la seconda ad essere bruciata. L’immagine del fuoco è usata spesso nella sacra Scrittura per indicare la pena a cui sono destinati i malvagi nel giudizio escatologico. Il fuoco in cui è bruciata la pula è inestinguibile, ciò sta a significare che è eterno (Cf. Is 66,24; Mt 3,12; 18,9; 25,41; Eb 10,27).
Il personaggio annunziato da Giovanni assume dunque in Luca caratteristiche molto diverse da quelle che gli sono attribuite in Marco e simili a quelle evidenziate da Matteo. Mentre in Marco l’inviato è presentato come colui che porterà a termine in modo pieno la purificazione finale del popolo di Dio mediante il dono dello Spirito, in Luca e Matteo egli compirà la stessa opera prevalentemente in chiave giudiziale, separando i buoni dai cattivi e condannando questi ultimi alla punizione eterna.

Rallègrati, figlia di Sion ... Fratelli, siate sempre lieti nel Signore, ve lo ripeto: siate lieti - Settimio Cipriani (Le Lettere di Paolo): Esortazione alla gioia e alla serenità: «Siate allegri ! Non angustiatevi di nulla» (vv. 4-6) - E il motivo è semplice: «il Signore è vicino» (v. 5), sia in riferimento alla sorte individuale, al momento della propria morte, sia a quella collettiva, nel giorno della parusia. Paolo non intende perciò pronunciarsi (vedi l e 2 Tessalonicesi) circa la vicinanza effettiva, computabile in misura cronologica, del «giorno del Signore». Quel «giorno», in realtà, è già operante nel nostro tempo, a cui dà ormai come una nuova dimensione: l’opera della salvezza è già iniziata, anche se attende di essere completata.
In questo clima di realtà nuove si comprende il perché della «gioia»: è come una sovrabbondanza di vita e di possesso che si espande anche attorno a noi. Per quello che ancora a tale «gioia» manca di definitivo (l’ultimo «giorno» non è venuto e perciò le preoccupazioni possono ancora «angustiarci»: v. 6) supplisce la «preghiera», sia di domanda che di ringraziamento, al Signore (v. 6): egli «non turba mai la gioia dei suoi figli se non per prepararne loro una più certa e più grande» (A. Manzoni, I promessi sposi, cap. VIII).
E, come frutto di questa «gioia» alimentata dalla preghiera, nascerà una meravigliosa «pace» interiore (v. 7), la quale farà come da sentinella («custodirà»: il verbo greco (φρουρέω = custodire, è di origine militare) ai pensieri e agli affetti dei cristiani, preservandoli da turbamenti e inutili agitazioni: tutto con la grazia di «Cristo Gesù» (v. 7). Tale «pace», già preannunciata da Gesù (Giov. 14, 27), «sorpassa ogni intendimento» umano (v. 7), perché è umanamente inspiegabile come si possa essere lieti anche in mezzo alle persecuzioni, al dolore, alle sofferenze, nella prigionia stessa: era questo esattamente il caso dello scrivente.

La gioia - AA. VV.: L’umanità è creata da Dio per la felicità, nel cosmo da lui voluto “buono” (cfr. Gn 1,31). Per l’An­tico Testamento le gioie della vita sono benedizioni divine. Al vertice di esse, per il credente, c’è la presenza del Dio-con-noi, il Signore dell’alleanza, nel Tempio. Tuttavia da sempre l’uomo sperimenta anche di non poter raggiungere sulla terra la felicità perfetta. Già nell’Antico Testamento la gioia è perciò collegata soprattutto con l’era messianica e l’escatologia. Il Nuovo Testamento è globalmente “vangelo”, cioè “buona notizia”, annuncio di gioia. Esulta Maria per l’incarnazione; gioia annunciano gli angeli a Betlemme. Gesù gioisce soprattutto per la sua filiazione divina (cfr. Lc 10,21s.) e, riconciliando gli uomini con Dio, dona loro la sua gioia senza limiti (cfr. Gv 15,11; 16,23), anteponendo però, per suo conto, alla gioia immediata la Croce redentrice. Giunto così alla gloria del Padre, Gesù manda lo Spirito Santo con i suoi doni di gioia. Gioia cristiana è dunque ricevere e trasmettere l’amore divino, la carità: entra nella gioia eterna chi pratica le opere di misericordia (cfr. Mt 25,23.34): “Vi è più gioia nel dare che nel ricevere” (At 20,35). Il cristiano conserva nel suo cuore la gioia anche nell’esperienza del dolore, che vive in unione alla morte e risurrezione di Cristo.

Che cosa dobbiamo fare?: Giovanni Paolo II (Angelus, 9 dicembre 1990): “Alle folle che andavano a farsi battezzare da lui”, Giovanni insegnava a cercare la salvezza dall’“ira imminente” non nell’appello a un privilegio etnico-religioso: “Abbiamo Abramo per padre!”, ma nel compimento di “opere degne della conversione”. Alle folle in generale diceva: “Chi ha due tuniche, ne dia una a chi non ne ha, e chi ha da mangiare, faccia altrettanto” (Lc 3,7.8.10): anticipo del Vangelo della condivisione dei beni, della loro subordinazione al diritto alla vita. Ai pubblicani che si occupavano della esazione delle tasse e che in qualche modo rappresentavano i responsabili della pubblica amministrazione, rispondeva: “Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato” (Lc 3,13): ossia comportatevi secondo le leggi, fatte per rispondere alle esigenze della giustizia; siate corretti, rispettosi dei diritti della gente, specialmente dei poveri. Ad alcuni soldati che lo interrogavano: “E noi che dobbiamo fare?”, raccomandava di non maltrattare e non estorcere niente a nessuno, contentandosi delle loro paghe (Lc 3,14). Chiaro ammonimento a non abusare del potere, a rispettare le persone, non conculcandone i diritti, ma servendole. Nella dottrina di Giovanni, preannunciatrice di quella di Gesù, emerge una visione fondamentalmente positiva della società, delle classi e delle professioni: nessuna di esse esclude dalla salvezza, se ci s’impegna a praticare la giustizia e la carità. Tuttavia il Battista è severo, persino rude, nel suo annuncio del Cristo che verrà col ventilabro a pulire l’aia e a mettere la scure alle radici. Si tratta di un messaggio schietto e forte che delinea i nuovi rapporti di giustizia tra gli uomini.

Egli vi battezzerà in Spirito Santo...: Benedetto XVI (Regina Cæli, 11 maggio 2008): Leggiamo negli Atti degli Apostoli che i discepoli erano riuniti in preghiera nel Cenacolo, quando su di essi scese con potenza lo Spirito Santo, come vento e come fuoco. Essi allora si misero ad annunciare in molte lingue la buona notizia della risurrezione di Cristo (cfr. 2,1-4). Fu quello il “battesimo nello Spirito Santo”, che era stato già preannunciato da Giovanni Battista: “Io vi battezzo con acqua - diceva alle folle - ma colui che viene dopo di me è più potente di me... Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco” (Mt 3,11). In effetti, tutta la missione di Gesù era stata finalizzata a donare agli uomini lo Spirito di Dio e a battezzarli nel suo “lavacro” di rigenerazione. Questo si è realizzato con la sua glorificazione (cfr. Gv 7,39), cioè mediante la sua morte e risurrezione: allora lo Spirito di Dio è stato effuso in modo sovrabbondante, come una cascata capace di purificare ogni cuore, di spegnere l’incendio del male e di accendere nel mondo il fuoco dell’amore divino.

... e fuoco: CCC 696: Mentre l’acqua significava la nascita e la fecondità della vita donata nello Spirito Santo, il fuoco simbolizza l’energia trasformante degli atti dello Spirito Santo. Il profeta Elia, che «sorse simile al fuoco» e la cui «parola bruciava come fiaccola» (Sir 48,1), con la sua preghiera attira il fuoco del cielo sul sacrificio del monte Carmelo, figura del fuoco dello Spirito Santo che trasforma ciò che tocca. Giovanni Battista, che cammina innanzi al Signore è «con lo spirito e la forza di Elia» (Lc 1,17), annunzia Cristo come colui che «battezzerà in Spirito Santo e fuoco» (Lc 3,16), quello Spirito di cui Gesù dirà: «Sono venuto a portare il fuoco sulla terra; e come vorrei che fosse già acceso!» (Lc 12,49). È sotto la forma di «lingue come di fuoco» che lo Spirito Santo si posa sui discepoli il mattino di pentecoste e li riempie di sé. La tradizione spirituale riterrà il simbolismo del fuoco come uno dei più espressivi dell’azione dello Spirito Santo: «Non spegnete lo Spirito» (1Ts 5,19).

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** “Fratelli, siate sempre lieti nel Signore, ve lo ripeto: siate lieti. La vostra amabilità sia nota a tutti. Il Signore è vicino! (San Paolo - II Lettura).
Nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Preghiamo con la Chiesa: O Dio, fonte della vita e della gioia, rinnovaci con la potenza del tuo Spirito, perché corriamo sulla via dei tuoi comandamenti, e portiamo a tutti gli uomini il lieto annunzio del Salvatore, Gesù Cristo tuo Figlio. Egli è Dio, e vive e regna con te...