15 Dicembre 2018


Sabato della seconda settimana di Avvento


Oggi Gesù ci dice: «Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri. Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio.» (Lc 3,4.6 - Acclamazione al Vangelo).

Dal Vangelo secondo Matteo 17,10-13: Perché dunque gli scribi dicono che prima deve venire Elìa?: gli scribi, fedeli alla profezia contenuta nel libro del profeta Malachia, insegnavano che l’avvento del Messia sarebbe stato preceduto da un’epoca di grandi sconvolgimenti e poi dal ritorno di Elia: “Ecco, io invierò il profeta Elia prima che giunga il giorno grande e terribile del Signore: egli convertirà il cuore dei padri verso i figli e il cuore dei figli verso i padri, perché io, venendo, non colpisca la terra con lo sterminio” (Mal 3,23-24). Gesù  non smentisce questa profezia, ma con autorità dice ai discepoli che Elìa era già venuto e non l’avevano riconosciuto; anzi, avevano fatto di lui quello che avevano voluto. Parole severe che svelano il volto di Giovanni il Battista e la sua missione: essere il Precursore, il testimone di Gesù Cristo. Una testimonianza che Giovanni suggellerà con la sua morte violenta, quel martirio che avrebbe ghermito la giovane vita di Gesù: Così anche il Figlio dell’uomo dovrà soffrire per opera loro. Non è sempre facile distinguere la voce del Signore nella vita di ogni giorno; anche noi corriamo spesso il rischio di guardare alla storia e alle vicende della nostra quotidianità come se il Signore non ci fosse o non vi intervenisse affatto. Eppure il profeta Elia ci ha insegnato proprio questo: a guardare alla storia con gli occhi di Dio e a saper trovare Dio non nelle grandi cose, ma nella sottile voce di silenzio che chiama e sconvolge nell’intimo (cfr. 1Re 19,12).

Mt 17,10-13: 10-13: Angelo Lancellotti (Matteo): Giovanni Battista, incarnazione dello «spirito» e della missione di Elia, precursore e prefigura del Messia. La domanda fatta dai discepoli su Elia venturo sembra provenire dalla sua apparizione sul monte insieme a Mosè (v. 3); ma può avere anche un altro contesto storico; la sua trattazione qui è dovuta soprattutto all’accenno, nel v. 12, della futura passione, che indica ancor più chiaramente qual è il senso della trasfigurazione.
versetto 10 prima deve venire Elia: la tradizione ha origine dalla profezia di Ml 3,23, che Gesù accetta, ma precisandone il senso: non la persona, ma lo spirito di Elia (cf Lc 1,17) deve tornare come precursore del Messia e ciò è già avvenuto nella persona del Battista (v. 12).
versetto 12 Così anche...: secondo l’affermazione di Gesù c’è uno stretto parallelismo fra lui e il suo precursore, e ciò non tanto nella predicazione, ma soprattutto nel trattamento subito da entrambi da parte dei capi della nazione eletta.

Mentre scendevano dal monte - Benedetto Prete (I Quattro Vangeli): Gli apostoli, ancora interamente presi dall’avvenimento di cui erano stati spettatori (la Trasfigurarazione ndr), sono assaliti da un dubbio; essi hanno visto venire Elia, ma nuovamente il grande profeta era scomparso senza aver fatto nulla per il Messia; essi quindi domandano al Maestro: Perché gli Scribi dicono che prima deve venire Elia? I Dottori della Legge rifacendosi ad un passo di Malachia,3,23-24 (secondo il testo ebraico; 4,4-6 secondo la Volgata) pensavano che ai tempi messianici Elia in persona dovesse ridiscendere dal cielo, dove era stato trasportato, per preparare l’avvento del giorno del Signore.
Gesù accetta l’interpretazione della profezia, ma ne corregge la prospettiva. Elia viene a ristabilire ogni cosa; allusione a Malachia, 3,24 (4, 6 Volgata); ristabilire: significa: restaurare, riportare alla perfezione. Il «grande giorno del Signore» (Malachia, 3,23-4, 5), prima del quale doveva tornare sulla terra l’antico profeta (Elia), è il tempo del Messia. Gesù spiega il senso profondo della profezia che era sfuggito agli Scribi, i quali si erano attenuti al senso materiale delle parole, e dice che non l’uomo fisico, ma lo spirito di Elia è venuto ed ha agito nella persona di Giovanni Battista (cf. Lc., 1,17, dove è messa in rilievo quest’idea). Gli apostoli e gli Ebrei non devono quindi attendere che ritorni sulla terra Elia, poiché l’antico e ardente profeta è già venuto nella persona e nella predicazione del Precursore. Non lo hanno riconosciuto...; il Maestro prende lo spunto per illuminare l’ampiezza della missione del Battista e per associare la sua sorte a quella del suo Precursore. Se Elia è Giovanni Battista, il quale ha preparato le vie del Messia operando in modo umile senza compiere miracoli e soffrendo la prigione e la morte, anche il Messia seguirà una via di umiltà e di dolore che lo condurrà alla morte in croce. Come i Dottori della Legge non hanno riconosciuto il Precursore, così non riconosceranno il Messia. Si vede chiaramente che Gesù approfitta di questa occasione per accennare alla sua morte (anche il Figlio dell’uomo dovrà soffrire per opera loro).

La venuta di Elia - Ortensio da Spinetoli (Matteo): Il racconto della trasfigurazione si chiude con una rievocazione della missione di Elia. Il logion è stato inserito in questo contesto per motivi ovvi. La «presenza» del profeta vicino al Cristo richiama alla mente degli apostoli le voci che circolavano sul conto del precursore messianico. Gesù conferma l’aspettativa popolare che anteponeva la venuta del grande profeta dell’ottocento al messia, ma nello stesso tempo smentisce l’attesa di un suo ritorno fisico. In questo senso egli può dire che Elia è già venuto.
Per un’ultima volta riappare sulla scena la figura di Giovanni Battista, non per aprire i battenti del regno, ma per annunciare la sorte tragica che attende ormai il salvatore (fecero contro di lui quello che vollero). Le vi­cende personali del grande banditore messianico sono ormai sintomatiche per l’avvenire del messia e della sal­vezza: da libero e inflessibile predicatore di penitenza qual era originariamente (cap. 3) egli è riapparso sulla scena evangelica attraverso le sbarre di una prigione (cap. 11), quindi dal suo letto di morte (cap. 14), ora anche dalla tomba.
I sogni che gli apostoli, dopo la visione avuta sul monte, cominciavano già ad accarezzare svaniscono prontamente (cap. 12). Per questo Gesù intima di non raccontare a nessuno l’avvenimento: esso avrebbe potuto creare equivoci negli altri come già li sta creando in loro. Il cammino che debbono percorrere per arrivare alla gloria è assai diverso da quello che credono.

Così anche il Figlio dell’uomo dovrà soffrire per opera loro - La Passione di Gesù - Corrado Ginami: Con il termine Passione (dal latino passio, dal verbo pati: sopportare, patire) i cristiani indicano la sofferenza di Gesù Cristo, morto in croce a Gerusalemme, dopo aver subito oltraggi fisici e morali (cfr. Mc 15,20). La passione di Gesù è narrata in tutti e quattro i Vangeli (Mt 26,36-27,66; Mc 14,32-15,47; Lc 22,39-23,56; Gv 18,1-19,42) e a essa si riferiscono, più o meno diffusamente, anche gli altri scritti contenuti nel Nuovo Testamento. La prima comunità cristiana, infatti, riconobbe come salvifica ed espiatrice la morte di Cristo.
Nella Passione è possibile scorgere un nesso che lega l’annuncio dell’avvento del Regno di Dio, attestato anche dall’azione di Gesù di Nazaret, con la sua accettazione di questa morte violenta proprio per mantenersi fedele alla missione di rappresentante della signoria divina.
La morte violenta non giunge inopinatamente, ma viene prevista e riletta da Gesù attraverso il motivo del profeta rifiutato e del giusto perseguitato: egli l’affronta nella fedeltà alla missione divina e nella fiducia che Dio attuerà il suo Regno nonostante questa fine oscura. Gesù ha inoltre inteso il senso salvifico della propria morte: l’ha infatti espresso e anticipato simbolicamente nella cena di addio, durante la celebrazione della Pasqua ebraica. Le prime comunità cristiane, dunque, annunciavano la morte di Gesù Cristo quale evento di salvezza e redenzione, nell’orizzonte del compimento dell’alleanza tra Dio e il suo popolo. Attraverso il culto, infine, rendevano attuale il sacrificio del passato con il quale Gesù, portando a compimento nella morte la sua vita di servizio, aveva additato a ogni uomo la via da percorrere per il conseguimento della vita eterna.

La morte di croce - Il significato teologico della Croce - Franco Giulio Brambilla: A partire dal senso che Gesù ha attribuito alla sua morte, i Vangeli sinottici, Paolo e il Vangelo di Giovanni non faranno altro che rileggere questo significato ricuperando le grandi immagini dell’Antico Testamento: la morte di Gesù è la “redenzione”, il “sacrificio”, il “riscatto. La morte sulla croce manifesta un’eccedenza che rivela una verità più profonda di ciò che appare. Sono tre gli aspetti che definiscono il senso profondo della morte in croce: essa ri­vela definitivamente chi è Gesù, chi è Dio e il destino dell’uomo. Anzitutto, la morte di croce dice chi è Gesù: egli si rivela come colui che è completamente rivolto verso il Padre (cfr. Gv 1,18). L’abbandono fiducioso a Dio sulla croce dice che Cristo si definisce per la sua relazione al Padre: egli è il Figlio. Soprattutto nel momento in cui sembra messa in discussione la sua pretesa, la sua missione, la connessione tra il suo messaggio e la sua persona, egli non si fa valere neppure col pretesto di essere il profeta ultimo, ma si affida in radicale ab­bandono al Padre suo, assumendo la violenza e il rifiuto peccaminoso degli uomini. Il rifiuto di Dio si colloca così nel cuore della sua manifestazione. Ciò, però, non sconvolge il disegno di Dio, ma Dio assume, perdona, salva dal di dentro la stessa negazione degli uomini. Dio non scambia il peccato degli uomini con l’innocenza di Cristo. Dio, il Padre, assume questo rifiuto, lo porta su di sé; mandando il Figlio, viene egli stesso come il Padre suo, e lo stabilisce come luogo del perdono e della riconciliazione. In secondo luogo, la morte di croce manifesta e comunica chi è Dio. La verità di Dio è la verità stessa della carità di Dio. La dedizione insuperabile e senza con­dizioni con cui Gesù si affida al Padre rivela che Dio è colui che è rivolto all’uomo, a cui comunica la sua vita stessa, donandogli il suo bene più prezioso: il Figlio suo (Rm 8,32). La struggente attesa di Israele di vedere il volto di Dio, di entrare nell’intimità della sua alleanza, nella Croce è svelata sul volto sfigurato di Gesù morente, proprio nel momento e nell’evento che è il frutto del suo più radicale rifiuto.
Infine, la donazione di Dio a Gesù e in Gesù agli uomini è il “luogo” del perdono, della riconciliazione, che supera dal di dentro lo stesso rifiuto di Dio e tutte le forme che lo rappresentano, la non comunione, l’abbandono, il tradimento, l’inimicizia, la violenza e, alla fine, la stessa morte. Gesù muore per tutti, nel duplice senso di “a causa” e di “a vantaggio” del peccato degli uomini, perché portandolo in sé lo riconcilia nel luogo stesso della sua negazione. Forse solo qui può trovare risposta la domanda: perché la Passione e la Croce di Gesù? Perché una morte così? La sofferenza, il dolore, la Croce, sono il prodotto del rifiuto di Dio, la conseguenza della sua negazione da parte della libertà umana. E il Padre in Cristo vi passa attraverso (e lo Spirito li tiene uniti nella massima separazione), supera il peccato dal di dentro, ricupera la libertà nel suo punto più intimo. Dio non salva automaticamente, non guarisce magicamente. Egli ricupera la libertà facendola ritornare a ritroso, ed è noto quanto sia oneroso ricostruire una libertà ferita. Fin nel cuore dell’uomo, fin nelle profondità di tutta l’umanità, dal primo uomo fino alla fine dei tempi.

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** “Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri. Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio. (Lc 3,4.6).
Nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Preghiamo con la Chiesa: Sorga in noi, Dio onnipotente, lo splendore della tua gloria, Cristo tuo unico Figlio; la sua venuta vinca le tenebre del male e ci riveli al mondo come figli della luce. Per il nostro Signore Gesù Cristo...