17 Dicembre 2018

Feria Propria del 17 Dicembre



Oggi Gesù ci dice: «Le montagne portino pace al popolo e le colline giustizia.» (Salmo Responsoriale).

Dal Vangelo secondo Matteo 1,1-17: L’intenzione delle genealogie bibliche non è tanto quella di offrire un rapporto di discendenza, quanto quella di tracciare una storia che continua. La genealogia secondo Matteo è divisa in tre blocchi di 14 nomi ciascuno e i capisaldi di questa triplice divisione sono Abramo, Davide e l’esilio. Il numero 14 è un evidente tentativo simbolico-numerico dell’evangelista Matteo per mostrare la perfezione, il numero tre, e la pienezza, il numero sette, del piano di salvezza che Dio porta a compimento in Cristo. Nella genealogia sono ricordate quattro donne: Tamar, l’incestuosa, Raab la prostituta di Gerico, Rut una moabita, quindi una straniera, che era entrata a far parte della comunità israelitica, Betsabea l’adultera. Forse la menzione delle tre donne peccatrici vuole suggerire la missione peculiare di Gesù, così come ci ricorda anche l’apostolo Paolo: “Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori” (1Tm 1,15). Con il ricordare Rut la moabita, probabilmente, si vuole sottolineare la universalità della salvezza. Dunque, la promessa di Dio si realizza anche per vie sconcertanti e impensate. In ogni modo, l’incarnazione di Gesù non è frutto della volontà o della iniziativa degli uomini, ma della volontà di Dio che sa procedere anche quando gli uomini vorrebbero sbarrarle la strada.

Ortensio da Spinetoli (Matteo): Con la lista genealogica Matteo si è proposto di «dimostrare » (o mostrare nell’ipotesi estrema che la genealogia sia più un espediente letterario che un documento di famiglia) che le promesse davidiche, per una libera elezione divina, non per semplice diritto ereditario, si sono attuate nel figlio di Giuseppe; egli è, perciò, l’atteso messia e re d’Israele. Erano stati tanti i discendenti davidici in un millennio di storia, ma nessuno, per tale naturale parentela, era passato al rango messianico. Secondo san Paolo anche i cristiani sono veri figli di Abramo, senza tuttavia discendere razzialmente da lui (Rom. 4,16). Nell’uno e nell’altro caso contano la chiamata e la scelta divina, non l’appartenenza carnale.
La lista genealogica presenta Gesù non solo come «figlio di David» ma anche come «figlio di Abramo» (Mt. 1,1). In lui sfociano la linea davidica, ma più ancora le «promesse» e le «benedizioni» riposte nel capostipite del popolo israelitico. Intenzionalmente Matteo riporta l’elenco fino alle origini del popolo eletto, menzionando i capostipiti predavidici, i fratelli di Giuda e di Jeconia, inutili per la «davidicità» di Gesù, e soffermandosi sulla cattività babilonese. Il parallelismo tra Mt. 1,1 e Gen. 2,4; 5,1, allo stesso modo che i riferimenti ai testi scritturistici nel se­guito del racconto, mostrano che le prospettive e gli in­tenti dell’evangelista sono estesi all’intera storia biblica. Le pause che interrompono il succedersi dei vari discendenti sono come le tappe, di gloria e di ignominia, della secolare aspettazione e preparazione messianica. Sfondo la mentalità semitica la genealogia è sempre la sintesi di una storia e la storia è un intreccio di genealogie. Ogni nome dell’elenco di Matteo è un frammento della storia d’Israele: della sua elezione, delle sue ore di gloria, delle sue aberrazioni e delle sue conversioni.

Genealogia di Gesù Cristo - Benedetto Prete (I Quattro Vangeli): Matteo si propone fin dall’inizio del suo scritto d’indicare le qualità messianiche di Gesù. Nel primo capitolo ricorda due argomenti in favore della messianicità: la genealogia di Gesù (1,1-17) e la concezione verginale (1,18-25).
Gesù Cristo non sono due nomi equivalenti da usarsi indifferentemente; Gesù designa il nome della persona, Cristo la qualità o la missione della persona. Gesù: forma apocopata dell’ebraico Yeshu o Yeshua’; la forma intera è Yehoshua’, e significa: Jahweh è salvezza, oppure Jahweh salva! (cf. Mt., 1,21). Lo stesso nome può avere la forma: Giosuè, Giosia.
Cristo è forma greca: χριστός – unto (da χρίω = ungo); il termine corrispondente ebraico è mashiah, in aramaico: meshiah; da qui la forma grecizzata Μεσσίας, dalla quale deriva il nostro Messia: il termine Cristo è stato tradotto con Messia quando l’evangelista voleva indicare il carattere messianico di Gesù; cf. ad es. Mt., 16,16.
Figlio di Davide, Figlio di Abramo; si può intendere: Gesù è figlio di Davide e figlio di Abramo, oppure: Gesù è figlio di Davide, il quale è figlio di Abramo; questa seconda traduzione è preferibile, perché nelle genealogie il primo nome va congiunto con il secondo, il secondo con il terzo e, così, di seguito.

Bibbia di Gerusalemme (Ed. 1974): La genealogia di Matteo, pur mettendo in rilievo influenze straniere da parte delle donne (vv 3.5.6), si restringe all’ascendenza israelitica del Cristo e mira a ricollegarlo ai principali depositari delle promesse messianiche, Abramo e Davide, e ai discendenti regali di quest’ultimo (2Sam 7,1+, Is 7,14+). La genealogia di Luca, più universalistica, risale ad Adamo, capo di tutta l’umanità. Da Davide a Giuseppe, le due liste hanno in comune solo due nomi. Questa divergenza si può spiegare, sia con il fatto che Mt ha preferito la successione dinastica alla discendenza naturale, sia con l’equivalenza posta tra la discendenza legale (legge del levirato, Dt 25,5+) e la discendenza naturale. Il carattere sistematico della genealogia è d’altronde sottolineato in Mt, con la ripartizione degli antenati di Gesù in tre serie di 7+7 generazioni (cf. Mt 6,9+); ciò obbliga a omettere tre re fra Ioram e Ozia, e a contare Ieconia (vv 11-12) per due (dato che lo stesso nome greco può tradurre i due nomi ebraici affini di Ioiakim e Ioiachin). Le due liste terminano con Giuseppe che è soltanto il padre legale di Gesù: sta il fatto che agli occhi degli antichi la paternità legale (per adozione, levirato, ecc.) bastava a conferire tutti i diritti ereditari: in questo caso, quelli della stirpe davidica. Ciò non esclude che Maria stessa sia appartenuta a questa stirpe, sebbene gli evangelisti non lo dicano.

Il Cristo - Catechismo della Chiesa Cattolica: n. 436: Cristo viene dalla traduzione greca del termine ebraico « Messia » che significa « unto ». Non diventa il nome proprio di Gesù se non perché egli compie perfettamente la missione divina da esso significata. Infatti in Israele erano unti nel nome di Dio coloro che erano a lui consacrati per una missione che egli aveva loro affidato. Era il caso dei re, dei sacerdoti e, raramente, dei profeti. Tale doveva essere per eccellenza il caso del Messia che Dio avrebbe mandato per instaurare definitivamente il suo Regno. Il Messia doveva essere unto dallo Spirito del Signore, ad un tempo come re e sacerdote ma anche come profeta. Gesù ha realizzato la speranza messianica di Israele nella sua triplice funzione di sacerdote, profeta e re.
n. 437 L’angelo ha annunziato ai pastori la nascita di Gesù come quella del Messia promesso a Israele: «Oggi vi è nato nella città di Davide un Salvatore che è il Cristo Signore» (Lc 2,11). Fin da principio egli è «colui che il Padre ha consacrato e mandato nel mondo» (Gv 10,36), concepito come «santo» nel grembo verginale di Maria. Giuseppe è stato chiamato da Dio a prendere con sé Maria sua sposa, incinta di « quel che è generato in lei [...] dallo Spirito Santo» (Mt 1,20), affinché Gesù, «chiamato Cristo» (Mt 1,16), nasca dalla sposa di Giuseppe nella discendenza messianica di Davide.
n. 438 La consacrazione messianica di Gesù rivela la sua missione divina. «È, d’altronde, ciò che indica il suo stesso nome, perché nel nome di Cristo è sottinteso colui che ha unto, colui che è stato unto e l’unzione stessa di cui è stato unto: colui che ha unto è il Padre, colui che è stato unto è il Figlio, ed è stato unto nello Spirito che è l’unzione». La sua consacrazione messianica eterna si è rivelata nel tempo della sua vita terrena nel momento in cui fu battezzato da Giovanni, quando Dio lo «consacrò in Spirito Santo e potenza» (At 10,38) «perché egli fosse fatto conoscere a Israele» (Gv 1,31) come suo Messia. Le sue opere e le sue parole lo riveleranno come « il Santo di Dio».

Genealogia di Gesù Cristo figlio di Davide, figlio di Abramo - Giovanni Paolo II (Angelus 5 gennaio 1997): Prolungando la meditazione avviata da alcune domeniche, desidero oggi soffermarmi su un titolo che più d’una volta viene dato a Gesù nei Vangeli. Egli viene chiamato “figlio di Davide”. Il Vangelo di Matteo si apre proprio con queste parole: “Genealogia di Gesù Cristo figlio di Davide” (Mt 1,1).
È un titolo, potremmo dire, di famiglia. Attraverso Giuseppe, suo padre putativo, Gesù è collegato con l’intera catena umana che di figlio in padre giunge fino al re Davide. Questa relazione genealogica sottolinea la concretezza dell’incarnazione: facendosi uomo, il Verbo eterno di Dio è entrato a pieno titolo nella famiglia umana, ponendosi nel solco di una particolare tradizione familiare. Anche in questo ha voluto essere uno di noi, sperimentando quel singolare legame che, annodando le generazioni, consente a ogni persona di sentirsi radicata non solo nel tempo e nello spazio, ma anche in un benefico tessuto di memorie e di affetti.
2. Oltre, però, a questo significato antropologico, il titolo di “figlio di Davide” riveste anche un senso specifico che getta luce sul disegno di Dio. Ci ricorda infatti che l’evento cristiano è il vertice di una storia di salvezza che Dio attua progressivamente fin dall’Antico Testamento, offrendo al popolo ebreo una speciale “alleanza” e facendolo portatore di promesse salvifiche che, in Gesù di Nazaret, sarebbero state realizzate per l’intera umanità. Quando dunque i contemporanei lo chiamano “figlio di Davide”, riconoscono che in lui si compiono le promesse antiche, proclamano la definitiva realizzazione della speranza messianica. Ogni uomo può ormai attingere a questa speranza, facendo suo il grido che nel Vangelo si ritrova sulle labbra del cieco Bartimeo: “Gesù, figlio di David, abbi pietà di me” (Mc 10, 47). Invocando il “figlio di David”, l’umanità può ritrovare la luce degli occhi del cuore.
3. Maria, l’umile fanciulla di Nazaret, che generando il figlio di Dio lo ha introdotto nella genealogia davidica e nell’intera famiglia umana, ci aiuti a comprendere sempre più il nostro inserimento in questa storia di salvezza. Lasciamoci guidare da Lei nell’intimità della sua santa famiglia, dove è posto il germe dell’umanità nuova. All’inizio di questo nuovo anno, benedica la Vergine Santa tutte le famiglie del mondo, perché riconoscano in Gesù il loro autentico Salvatore.

Bibbia di Navarra (I Quattro Vangeli): Nella genealogia di Gesù sono menzionate quattro donne: Tamar (cfr Gn 38; l Cr 2,4). Racab (cfr Gs 2; 6,17), Betsabea (cfr 2Sam 11; 12,24) e Rut (cfr il libro di Rut). Queste quattro donne straniere, che in un modo o nell’altro si inscrivono nella storia d’Israele, sono un simbolo, tra i tanti, della salvezza divina che abbraccia tutta quanta l’umanità. Enumerando anche altre figure di peccatori, san Matteo fa vedere come i cammini di Dio siano diversi dai cammini degli uomini. Attraverso persone la cui condotta non fu certo retta, Dio attua i suoi piani di salvezza. Egli ci salva, ci santifica e ci sceglie per operare il bene nonostante i nostri peccati e le nostre infedeltà: così grande è il realismo di cui Dio ha voluto dar prova nella storia della nostra salvezza.

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** O Sapienza dell’Altissimo, che tutto disponi con forza e dolcezza: vieni ad insegnarci la via della saggezza. (Acclamazione al Vangelo)
Nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Preghiamo con la Chiesa: Dio creatore e redentore, che hai rinnovato il mondo nel tuo Verbo, fatto uomo nel grembo di una Madre sempre vergine, concedi che il tuo unico Figlio, primogenito di una moltitudine di fratelli, ci unisca a sé in comunione di vita. Per il nostro Signore Gesù Cristo...