8 Novembre 2018

Giovedì XXXI Settimana T. O.

Oggi Gesù ci dice: “Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro.” (Mt 11,28 - Acclamazione al Vangelo).  

Dal Vangelo secondo Luca 15,1-10: I farisei si erano rinchiusi nel loro piccolo mondo ipocrita, facevano entrare solo coloro che avevano il gusto di imbellettarsi con la cipria dell’ipocrisia, e se qualche adepto sgattaiolava via poco importava loro. Le parabole della pecora smarrita e della moneta perduta vogliono abbattere le mura di simili fortezze nelle quali ogni uomo è tentato di rinchiudersi (cfr. Ef 2,14), e, allo stesso tempo, sono un invito ai cristiani ad essere cattolici, a far posto a quanti vengono dal di fuori, e a rallegrarsi per la loro conversione. In un mondo che non conosce l’amore e il perdono, i discepoli del Crocifisso hanno il compito di render visibile lo stile di Dio e la sua misericordia, così come Gesù lo ha manifestato e attuato.

La parabola della pecora smarrita: Giuliano Vigini: Nei vangeli, come in altri passi del Nuovo Testamento, la pecora (probaton) simboleggia la mitezza - messa a confronto con la rapacità del lupo (Mt 7,15; 10,16), ma insieme la sua debolezza e l’incapacità di difendersi da sola, se manca il pastore che amorevolmente la protegge e la guida. La pecora rappresenta l’intero gregge, e il gregge è il popolo di Dio che vaga senza meta se rifiuta o non ha come punto di riferimento Gesù, il buon pastore, “il Pastore grande delle pecore” (Eb 13,20), che le preserva da ogni pericolo e le tiene unite.
La parabola  pecora smarrita. Questa parabola figura in Matteo (18,12-14) e Luca (15,3-7). Nei due vangeli, però, l’ambientazione è diversa, così come differenti sono i dettagli e le conclusioni. Per Matteo, la pecora simboleggia il cristiano debole che si perde, ma poi viene riunito al gregge; per Luca, invece, è il peccatore che si pente. Matteo enfatizza di più lo sforzo del pastore che fa di tutto per trovare la sua pecora e ricongiungerla al resto del gregge. Luca mette maggiormente I’accento sul perdono che Dio concede a chi si converte e sulla partecipazione di tutti alla gioia di questo perdono. In ogni caso, in entrambe le versioni, la volontà del pastore  è la stessa: nessuno, neppure uno, deve perdersi. Per quanto una sola pecora che si smarrisce possa apparire poca cosa paragonata alle altre novantanove che restano insieme, l’impegno instancabile del pastore nel cercare proprio quella pecora testimonia la sua capacità d’amore e la sua prospettiva universale di salvezza.

... un solo peccatore Alois Stöger (Vangelo second Luca): In ambedue le parabole viene espresso il pensiero: Dio si rallegra per il peccatore che si converte. La distinzione tra peccatori e giusti non è soppressa, nemmeno è repressa nel silenzio, e ancor meno trattata con ironia. Gesù non si è mai espresso come se il peccato non fosse tale. Come già i profeti, anch’egli esige conversione e penitenza; le esige anzi in maniera più radicale che non qualsiasi profeta prima di lui. Gesù considera come l’essenza della sua missione il chiamare a penitenza: «Il regno di Dio s’avvicina; fate penitenza» (Mc. 1,15). Tutti devono far penitenza, perché tutti sono colpevoli davanti a Dio. Accanto al richiamo alla conversione, egli colloca la minaccia della condanna e della sventura. Lo stesso messaggio dell’amore di Dio per i peccatori è un richiamo alla conversione e alla salvezza mediante la penitenza.
Gesù annuncia l’inizio dell’era della salvezza: «Il regno di Dio s’avvicina». Fin dall’inizio di questo dominio di Dio compare la sua gioiosa misericordia verso tutti coloro che si rivolgono alla sua grazia salvatrice. Il tratto originale e incomparabile che caratterizza il messaggio di Gesù, circa il regno divino è la rivelazione dell’amore di Dio verso i peccatori.
I dottori della legge pretendono già di sapere che il peccatore, prima della conversione, non è amato da Dio. Solo dopo aver abbandonato le sue opere cattive e dopo averne fatto riparazione, Dio si rivolge a lui con amore. Si fa dire a Dio: «Convertitevi, e poi mi curerò di voi... Dio perdona all’uomo solo dopo la sua completa conversione». Gesù usa tutt’altro linguaggio: l’iniziativa parte da Dio. Il pastore insegue la sua pecora sbandata; la donna cerca la dramma smarrita. Risuona la gioiosa esclamazione: «Ho ritrovato ciò che avevo perduto!». «In questo sta l’amore: non noi abbiamo amato Dio, ma lui ha amato noi e ha mandato il Figlio come propiziazione per i nostri peccati... Egli ci ha amato per primo» (1Gv. 4,10.19). Il peccatore non può convertirsi da se stesso, ma è Dio che deve venirgli incontro (cf. Ger. 24,7).

... che si converte - La Conversione - Gianni Colzani: Termine che nel linguaggio biblico esprime l’idea di un radicale cambiamento di direzione. È la traduzione dell’ebraico teshuvà, dalla radice shuv, che indica l’ “andare nella direzione opposta”. Nel greco del Nuovo Testamento l’idea di conversione è resa da due termini: metànoia, che designa il cambiamento di mentalità dell’uomo desideroso di allontanarsi dal male (tradotto anche con “pentirsi”, con sfumatura più intellettuale), ed epistrophé (ritorno, conversione), che corrisponde al teshuvà ebraico.
L’Antico Testamento. La conversione è una tematica centrale del messaggio biblico: la storia del popolo ebraico è continuamente segnata da infedeltà individuali e collettive all’alleanza con Dio, che segneranno la rovina della casa di Israele. Il secondo libro dei Re (17,7-18) lega chiaramente la tragedia della deportazione in Assiria (721 a.C.) alla mancata conversione del popolo, secondo una chiave di lettura della storia tipica dello spirito del Deuteronomio. I profeti, chiamando in causa la responsabilità individuale, fanno appello alla coscienza di ognuno e a quella di tutto il popolo. Dice il profeta Ezechiele: “Convertitevi e desistete da tutte le vostre iniquità, e l’iniquità non sarà più causa della vostra rovina. (...) Perché volete morire o Israeliti? Io non godo della morte di chi muore. Parola del Signore Dio. Convertitevi e vivrete” (18,30-31). La conversione è fonte di salvezza a motivo della misericordia di Dio, che gioisce solo per essa e non per la morte del malvagio; salvezza che non è destinata al solo popolo di Israele, ma riguarda tutta l’umanità, che è anch’essa chiamata alla con­versione, come intuisce il vecchio Tobia, morente: “Tutte le genti che si trovano su tutta la terra si convertiranno e temeranno Dio nella verità” (Tb 14,6).
Nel Nuovo Testamento. Nel Nuovo Testamento la conversione è tematica centrale dell’insegnamento di Gesù; il Vangelo di Marco la inserisce nel nucleo della predicazione di Gesù e come condizione preliminare per abbracciare l’Evangelo: “Il tempo è compiuto e il Regno di Dio è vicino, convertitevi e credete al Vangelo” (Mc 1,15). L’evangelista Luca (15,4-31) ne sottolinea particolarmente l’importanza nelle tre parabole della misericordia divina (la pecorella smarrita, la dracma perduta, il figliol prodigo). Il pentimento che permette di ottenere il perdono dei peccati non è solo un atto intellettuale, ma riguarda tutto l’uomo e deve condurre ad un radicale cambiamento di vita. S. Paolo negli Atti degli apostoli (26,20) richiama i due elementi fondamentali della conversione, il ritorno a Dio e il mutamento dei modi di vita: “Predicavo di convertirsi (metanóein) e di rivolgersi (letteralmente ‘ritornare’, epistréfein) a Dio, comportandosi in maniera degna della conversione”. Paolo sottolinea qui che in mancanza di un reale cambiamento di vita la conversione è illusoria e vana. S. Giovanni presenta la conversione come nuova nascita, passaggio dalle tenebre alla luce. La parabola del buon Pastore, “venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza” (Gv 10,10) manifesta l’universalità della chiamata divina alla conversione, come afferma anche s. Paolo: “Dio nostro salvatore vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità” (1Tm 2,3-4).

Misericordiae Vultus 9: Nelle parabole dedicate alla misericordia, Gesù rivela la natura di Dio come quella di un Padre che non si dà mai per vinto fino a quando non ha dissolto il peccato e vinto il rifiuto, con la compassione e la misericordia. Conosciamo queste parabole, tre in particolare: quelle della pecora smarrita e della moneta perduta, e quella del padre e i due figli (cfr Lc 15,1-32). In queste parabole, Dio viene sempre presentato come colmo di gioia, soprattutto quando perdona. In esse troviamo il nucleo del Vangelo e della nostra fede, perché la misericordia è presentata come la forza che tutto vince, che riempie il cuore di amore e che consola con il perdono.
Da un’altra parabola, inoltre, ricaviamo un insegnamento per il nostro stile di vita cristiano. Provocato dalla domanda di Pietro su quante volte fosse necessario perdonare, Gesù rispose: «Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette» (Mt 18,22), e raccontò la parabola del “servo spietato”. Costui, chiamato dal padrone a restituire una grande somma, lo supplica in ginocchio e il padrone gli condona il debito. Ma subito dopo incontra un altro servo come lui che gli era debitore di pochi centesimi, il quale lo supplica in ginocchio di avere pietà, ma lui si rifiuta e lo fa imprigionare. Allora il padrone, venuto a conoscenza del fatto, si adira molto e richiamato quel servo gli dice: «Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?» (Mt 18,33). E Gesù concluse: «Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello» (Mt 18,35).
La parabola contiene un profondo insegnamento per ciascuno di noi. Gesù afferma che la misericordia non è solo l’agire del Padre, ma diventa il criterio per capire chi sono i suoi veri figli. Insomma, siamo chiamati a vivere di misericordia, perché a noi per primi è stata usata misericordia. Il perdono delle offese diventa l’espressione più evidente dell’amore misericordioso e per noi cristiani è un imperativo da cui non possiamo prescindere. Come sembra difficile tante volte perdonare! Eppure, il perdono è lo strumento posto nelle nostre fragili mani per raggiungere la serenità del cuore. Lasciar cadere il rancore, la rabbia, la violenza e la vendetta sono condizioni necessarie per vivere felici. Accogliamo quindi l’esortazione dell’apostolo: « Non tramonti il sole sopra la vostra ira » (Ef 4,26). E soprattutto ascoltiamo la parola di Gesù che ha posto la misericordia come un ideale di vita e come criterio di credibilità per la nostra fede: «Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia» (Mt 5,7) è la beatitudine a cui ispirarsi con particolare impegno in questo Anno Santo.
Come si nota, la misericordia nella Sacra Scrittura è la parola-chiave per indicare l’agire di Dio verso di noi. Egli non si limita ad affermare il suo amore, ma lo rende visibile e tangibile. L’amore, d’altronde, non potrebbe mai essere una parola astratta. Per sua stessa natura è vita concreta: intenzioni, atteggiamenti, comportamenti che si verificano nell’agire quotidiano. La misericordia di Dio è la sua responsabilità per noi. Lui si sente responsabile, cioè desidera il nostro bene e vuole vederci felici, colmi di gioia e sereni. È sulla stessa lunghezza d’onda che si deve orientare l’amore misericordioso dei cristiani. Come ama il Padre così amano i figli. Come è misericordioso Lui, così siamo chiamati ad essere misericordiosi noi, gli uni verso gli altri. 

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** La parabola contiene un profondo insegnamento per ciascuno di noi. Gesù afferma che la misericordia non è solo l’agire del Padre, ma diventa il criterio per capire chi sono i suoi veri figli. Insomma, siamo chiamati a vivere di misericordia, perché a noi per primi è stata usata misericordia.
Nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Preghiamo con la Chiesa: Dio onnipotente e misericordioso, tu solo puoi dare ai tuoi fedeli il dono di servirti in modo lodevole e degno; fa’ che camminiamo senza ostacoli verso i beni da te promessi. Per il nostro Signore Gesù Cristo...