3 Novembre 2018

Sabato XXX Settimana T. O.


Oggi Gesù ci dice: “Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore.” (Mt 11,29ab - Acclamazione al Vangelo).   

Dal Vangelo secondo Luca 14,1.7-11: Gesù accettando di entrare «in casa di uno dei capi dei farisei per pranzare» fa bene intendere che la sua opposizione verso di essi non è per partito preso o per pregiudizi, ma che si fonda su ragioni molto più profonde delle solite diatribe scolastiche (Cf. Mt 23,13-36; Lc 11,37-52). Un ospite come Gesù certamente doveva attirare l’attenzione degli invitati e suscitare la frenesia di stargli vicino. C’è da ricordare anche che quel giorno era un sabato e Gesù, appena entrato in casa del fariseo, aveva guarito un idropico (Lc 14,2-5). Una guarigione che era stata accettata unanimemente anche se malvolentieri (Lc 14,2-6). Tutto questo costituiva una miscela esplosiva.
Gesù è sotto lo sguardo di tutti, ma Egli non è da meno: osservando e notando come i notabili cercano di accaparrarsi i primi posti, propone ai commensali una lezione sulla virtù dell’umiltà: parole severe, ma scontate in quanto non fanno che svelare l’ipocrisia e la vanità degli scribi e dei farisei notoriamente affamati di lodi, di onori e inoltre amanti dei primi posti (Cf. Mt 23,1-12).
Gesù «vuol mettere in luce che tutti i presenti, invitante ed invitati sono una massa di cafoni, pieni di pregiudizi egoistici, di banali arrivismi e di preoccupazioni gerarchiche. Gesù con le sue nette affermazioni vuole smantellare i pregiudizi mettendo a nudo i loro sentimenti. A parte la questione delle precedenze imposte dal galateo e dalle tradizioni giudaiche, in fondo si tratta anche di non cadere nel ridicolo. C’è sempre tanta ambizione e tanto arrivismo nella società di tutti i tempi: contro di essi Gesù oppone un caloroso invito all’umiltà» (Carlo Ghidelli). Seguendo l’insegnamento della sacra Scrittura, l’umiltà, che Gesù addita ai commensali, oltre ad essere una virtù morale è un modo di essere: una «posizione della creatura di fronte al creatore, del peccatore di fronte al redentore» (I. M. Danieli). Ovvero, al dire di san Bernardo, è la virtù «per la quale l’uomo si disprezza perché possiede una perfetta conoscenza di se stesso».
E nella logica evangelica solo «chi si umilia sarà esaltato» da Dio (Cf. Lc 18,9-14).
È l’insegnamento che Gesù non si stanca di proporre ai suoi discepoli: «In verità io vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli. Perciò chiunque si farà piccolo come questo bambino, costui è il più grande nel regno dei cieli» (Mt 18,1-4).

Invece quando sei invitato, va’ a metterti all’ultimo posto - Benedetto Prete (I Quattro Vangeli): Versetto 10 Così chi ti ha invitato; la particella ǐνα  ha qui valore consecutivo (cosi, di modo che), non già finale (affinché). È superfluo notare che la persona invitata al banchetto nuziale non deve mettersi all’ultimo posto con la segreta intenzione di esser poi pregata ad occupare i primi, perché l’umiltà non va intesa come un mezzo per essere innalzati, bensì come un atteggiamento interiore suggerito da una sincera e profonda convinzione della propria piccolezza e indegnità. A questo atteggiamento di intima e sentita umiltà da parte dell’uomo corrisponde da parte di Dio, cioè da parte della liberalità divina, un atteggiamento di somma benevolenza, poiché il Signore assegnerà i posti di onore a coloro che, per un convinto e autentico sentimento della propria piccolezza e indegnità, si valutano da meno degli altri e vanno ad occupare gli ultimi posti. Con l’esempio (parabola) ricordato, il Maestro intende proporre una lezione di umiltà ai propri discepoli esortandoli implicitamente a coltivare nel loro intimo questa fondamentale virtù.
Versetto 11 Nel verso conclusivo viene indicato il vero motivo che ha indotto il Salvatore a riferire la precedente «parabola»; poiché questa non è una semplice lezione di correttezza sociale, ma costituisce un autentico insegnamento religioso che scopre al seguace di Cristo un valore spirituale di somma importanza per la sua vita. Il discepolo di Gesù apprende da questo passo evangelico il principio che il Signore segue nella valutazione degli uomini; per avere un posto elevato presso Dio occorre praticare l’umiltà, poiché l’orgoglio dispiace al Signore e viene punito da Lui.
È necessario per il credente conoscere ciò che ha valore ed è realmente apprezzato da Dio, poiché la vita con le sue ingannevoli apparenze gli può offuscare il giudizio. Il detto che l’evangelista riporta al termine di questa lezione sull’umiltà trova nel presente racconto il suo contesto storico e psicologico più appropriato; lo stesso principio ritorna in Lc., 18,14 ed in Mt 18,4; 23,12.

Umiltà - Gianni Colzani: Il termine (dal latino humus: terra, a indicare qualcosa di “poca importanza”) designa la virtù di chi riconosce la propria finitezza di creatura e la propria insufficienza per conseguire salvezza e redenzione, che solo Dio può dare gratuitamente. L’umiltà è virtù particolarmente apprezzata dalla sensibilità religiosa dell’Antico Testamento: alla grandezza e alla gloria di Dio corrisponde l’umiltà dell’uomo. L’uomo è “polvere e cenere” (Gn 18,27), “breve di giorni e sazio di inquietudine” (Gb 14,1). La condizione dell’umile è spesso descritta con termini che indicano il povero in senso materiale e spirituale. Si fa così strada la profonda connessione tra povertà e umiltà: entrambe indicano l’atteggiamento di chi si abbandona a Dio con fiducia e con pazienza per realizzarne la volontà. L’umiltà è il vissuto della fede: “Cercate il Signore voi tutti, umili della terra (...); cercate la giustizia, cercate l’umiltà” (Sof 2,3).
La testimonianza del Nuovo Testamento. Nel Nuovo Testamento l’umiltà trova il suo apice nella kénosis (v.): l’abbassamento di Cristo diventa il modello di una nuova, diversa grandezza. Il grande testo del Vangelo di Matteo 11,29 propone l’imitazione di Gesù, “mite e umile di cuore”, nel contesto di un’opposizione tra sapienti e piccoli, tra orgogliosi e poveri: Dio stesso, con il suo nascondere e rivelare, con il suo abbassare ed elevare, indica il vero cammino della perfezione e dell’incontro con lui. Il racconto della lavanda dei piedi (Gv 13,1-17) e il Magnificat di Maria (Lc 1,46-55) sono una splendida conferma di questo. L’umiltà raccoglie in una singolare sintesi la vita di Gesù e lega al suo abbassarsi la forma più alta di amore e di servizio per i fratelli; l’umiltà assume, di conseguenza, il carattere di conformazione a Cristo, di rivestimento dei “medesimi sentimenti che furono in Cristo Gesù” (Fil 2,5). In effetti non si sale a incontrare Dio che per quella stessa via per cui egli è sceso fino a noi.
Su questo sfondo cristologico Paolo arricchisce in modo particolare il tema dell’umiltà. Nella Lettera agli Efesini 4,2 Paolo collega l’umiltà alla mansuetudine e alla pazienza; ripetendo lo stesso elenco, nella Lettera ai Colossesi 3,12 aggiunge la misericordia. Questi testi contengono una descrizione del comportamento dei credenti: solo chi, a immagine di Dio, è ricco di misericordia, può davvero esercitare la compassione verso le persone. Di questo comportamento è parte decisiva l’umiltà. Il suo contrario è indicato, da Paolo, con il sostantivo kàuchesis, che designa la sicurezza tronfia, l’arroganza pretenziosa, l’orgoglio di chi vorrebbe farsi valere anche di fronte a Dio; in realtà “Cosa possiedi che tu non abbia ricevuto? e se l’hai ricevuto, perché te ne vanti come se non l’avessi ricevuto?” (1 Cor 4,7).

Umiltà - Richard Gutzwiller (Meditazioni su Luca): Abbastanza spesso l’umiltà tra uomini è o solo sentimento di inferiorità e naturale debolezza o autoinganno o misconoscimento della realtà. Non è affatto detto che si sia senz’altro meno degno del proprio prossimo. Oggettivamente si può essere superiori ad altri per forza fisica, bellezza, intelligenza, bravura, disposizioni di carattere e qualità morali. Ciononostante, bisogna trattare gli altri con sentimento di umiltà. Questo solo allora ha senso; ed ha un senso anche reale, quando il paragone non va da uomo a uomo, ma ci si pone dinanzi a Dio e si prende di lì la misura. Allora l’umiltà è verità e diviene naturale. Dinanzi a Dio l’uomo sta come la creatura dinanzi al Creatore: un essere soggetto al tempo dinanzi all’Eterno, il relativo di fronte all’Assoluto, il contingente di fronte al Necessario, il finito di fronte all’Infinito. Quindi, sotto ogni riguardo, come il piccolo dinanzi al Grande. Ma questo non è ancora tutto. Bisogna andare più in là. Poiché per il peccato, l’uomo sta dinanzi a Dio come il debitore dinanzi al creditore, l’imputato dinanzi al giudice, l’impuro dinanzi al puro, il peccatore dinanzi al santo. Visto così - ed è questa la maniera giusta di vedere le cose - l’umiltà è l’unico atteggiamento possibile di fronte a Dio. Che l’uomo, nonostante la sua indegnità, sia chiamato a prendere parte al banchetto del regno di Dio, è pura grazia. Egli sarà riconoscente e felice dell’ultimo posto. Se Dio lo chiama ancora più vicino a lui, lo fa venire ancora più in su, è grazia di cui l’uomo non potrà mai sbalordire abbastanza. È un onore che Dio Signore concede ad uno totalmente immeritevole. Solo chi - cosciente del suo nulla - si umilia, tiene l’atteggiamento giusto, ed è cosciente di come la chiamata sia grazia. Lui solo di conseguenza è nella condizione richiesta, perché sia possibile una sua elevazione, attraverso questa grazia. Chi invece s’innalza per presunzione, attribuisce a sé qualcosa che appartiene a Dio, si sbaglia sul carattere «grazioso» della scelta, e per conseguenza non è nella condizione giusta per ricevere la grazia, che è libero dono di Dio. Così, nel regno di Dio, l’umiltà è il presupposto fondamentale. Per questo è una virtù autenticamente cristiana, scaturita da ciò che c’è di più intimo e di più essenziale nell’atteggiamento cristiano di fronte a Dio. In tal modo, partendo da un contegno puramente esteriore e dalle convenienze sociali, la parola di Gesù raggiunge quel che di più profondo c’è nell’umiltà umana e quel che di più alto c’è nella grazia divina.

Quando sei invitato a nozze da qualcuno, non metterti al primo posto: Benedetto XVI (Angelus, 29 agosto 2010): Il Signore non intende dare una lezione sul galateo, né sulla gerarchia tra le diverse autorità. Egli insiste piuttosto su un punto decisivo, che è quello dell’umiltà: “chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato” (Lc 14,11). Questa parabola, in un significato più profondo, fa anche pensare alla posizione dell’uomo in rapporto a Dio. L’“ultimo posto” può infatti rappresentare la condizione dell’umanità degradata dal peccato, condizione dalla quale solo l’incarnazione del Figlio Unigenito può risollevarla. Per questo Cristo stesso “ha preso l’ultimo posto nel mondo - la croce - e proprio con questa umiltà radicale ci ha redenti e costantemente ci aiuta” (Enc. Deus caritas est, 35). Al termine della parabola, Gesù suggerisce al capo dei farisei di invitare alla sua mensa non gli amici, i parenti o i ricchi vicini, ma le persone più povere ed emarginate, che non hanno modo di ricambiare (cfr. Lc 14,13-14), perché il dono sia gratuito. La vera ricompensa, infatti, alla fine, la darà Dio, “che governa il mondo ... Noi gli prestiamo il nostro servizio solo per quello che possiamo e finché Egli ce ne dà la forza” (Enc. Deus caritas est, 35). Ancora una volta, dunque, guardiamo a Cristo come modello di umiltà e di gratuità: da Lui apprendiamo la pazienza nelle tentazioni, la mitezza nelle offese, l’obbedienza a Dio nel dolore, in attesa che Colui che ci ha invitato ci dica: “Amico, vieni più avanti!” (cfr. Lc 14,10); il vero bene, infatti, è stare vicino a Lui.

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** “Essere umili verso i superiori è un dovere, verso gli eguali è cortesia, verso gli inferiori è nobiltà, verso tutti è la salvezza.” (Bruce Lee).
Nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Preghiamo con la Chiesa: Dio onnipotente ed eterno, accresci in noi la fede, la speranza e la carità, e perché possiamo ottenere ciò che prometti, fa’ che amiamo ciò che comandi. Per il nostro Signore Gesù Cristo...