2 Novembre 2018
Commemorazione di tutti i fedeli defunti (Messa 1)
Oggi Gesù ci dice: “Questa è la volontà del Padre mio: che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno, dice il Signore.” (Gv 6,40).
Dal Vangelo secondo Giovanni 6,37-40: Ai Giudei che chiedevano un segno, Gesù aveva risposto: Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai! (Gv 6,35). Gesù si offre alla morte per la salvezza del mondo ed offre la sua carne e il suo sangue come vero cibo e vera bevanda perché chi ne mangia entri in comunione, realmente ed efficacemente, con la sua persona. Nella Chiesa delle origini, questa comunione reale con Gesù, era collegata all’eucarestia, soprattutto alle parole di Gesù, riportate dai sinottici, sul pane e sul vino: “Questo è il mio corpo... Questo è il mio sangue...” (cfr. Mt 26,26-28; Mc 14,22-24; Lc 22,15-20). Anche se Giovanni non riporta tali parole, tuttavia in questo discorso di Gesù, dimostra di conoscerete il valore profondo di quella Cena e ne esalta l’aspetto mistico di comunione: Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui (Gv 6,56). La conseguenza di questa unità è la partecipazione alla vita divina e quindi all’eternità, superando la frontiera della morte: Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda (Gv 6,54-55).
Tutto ciò che il Padre mi dà, verrà a me - Henri van den Bussche (Giovanni): Gesù respinge le mormorazioni dei giudei e smaschera il loro stupore (stessa formula in 5,28) con un’affermazione ancora più violenta (7,28). In 5,8 Gesù tracciava il rapporto che unisce la sua dignità attuale di Figlio dell’Uomo alla sua futura apparizione come Figlio dell’Uomo. Qui afferma con energia, secondo il tema del discorso, che il cammino della fede conduce alla salvezza escatologica. Nessuno può venire a Gesù né credere in lui, se il Padre non lo «attira». Il Padre non esercita soltanto un potere di attrazione mediante la grazia della fede (6,65), egli trascina, raccoglie le sue reti (21,6.11), strappa, salva l’uomo dall’annientamento. Anche Gesù «trascina» tutti con sé, nel momento preciso in cui diventa Figlio dell’Uomo e in cui respinge e annienta col suo potere divino il principe di questo mondo (12,31-32). Alla missione escatologica data al Figlio dal Padre corrisponde una elevazione escatologica verso la quale il Padre attira Gesù. Gesù è al punto di incontro di un duplice movimento: la missione di Figlio e la redenzione degli uomini. Da se stesso l’uomo non può raggiungere il livello a cui si trova Gesù in quanto Figlio dell’Uomo, perché egli non può dare a se stesso la sicurezza della salvezza escatologica (cfr. 13,33-38). Il Padre non deve solamente insegnare all’uomo a conoscere Gesù, egli lo deve strappare dal suo stato disperato, mettendolo nelle mani di Gesù che, essendo Figlio dell’Uomo, realizza la salvezza eterna. Questa «attrazione» non è simile alla forza di persuasione e all’amore di Dio, e in ogni caso non ha nulla da fare con una grazia forzata di predestinazione. Dio raccoglie le reti in questo momento escatologico e le affida a Gesù perché egli si occupi della vita eterna e della risurrezione. Queste reti contengono coloro che sono «scritti per la vita», ossia i giudei che già prima hanno voluto ascoltare Dio e si sono aperti alla rivelazione che raggiunge attualmente il suo ultimo stadio. La profezia dell’Antico Testamento si compie: nel tempo escatologico non si conosce Dio per sentito dire, ma si riceve l’insegnamento direttamente da lui, si fa l’esperienza di Dio. In Gesù, Dio assume figura umana, gli uomini possono conoscerlo.
La morte del cristiano: Catechismo degli Adulti n. 1189: Il cristiano teme la morte come tutti gli uomini, come Gesù stesso. La fede non lo libera dalla condizione mortale. Tuttavia sa di non essere più solo. Obbediente all’ultima chiamata del Padre, associato a Cristo crocifisso e risorto, confortato dallo Spirito Santo, può vincere l’angoscia, a volte perfino cambiarla in gioia. Può esclamare con l’apostolo Paolo: «La morte è stata ingoiata per la vittoria. Dov’è, o morte, la tua vittoria?» (1Cor 15,54-55). Allora la morte assume il significato di un supremo atto di fiducia nella vita e di amore a Dio e a tutti gli uomini. Il morente è una persona e il morire un atto personale, non solo un fatto biologico. Esige soprattutto una compagnia amica, il sostegno dell’altrui fede, speranza e carità. L’ambiente più idoneo per morire, come per nascere, è la famiglia, non l’ospedale o l’ospizio.
La qualità della morte dipende dalla qualità della vita - Giorgio Gozzelino: La qualità della morte dipende dalla qualità della vita. Poggiando sulla constatazione che la morte di Gesù conclude nella gloria della Risurrezione, non automaticamente ma in forza della sua santità, la dottrina cristiana afferma in terzo luogo che la qualità profonda della morte degli uomini dipende dal loro genere di vita. Ne chiarisce i termini spiegando che si danno due possibilità di morte: l’una, benedetta, che porta alla vita eterna, e l’altra, maledetta, che sbocca nell’inferno. Mette in guardia dal confondere le due forme con le manifestazioni esterne riscontrabili nei morenti, perché un conto è il morire (l’avvicinarsi al passaggio nell’aldilà) e un altro la morte (l’entrarvi di fatto), al punto che il morire di un empio può risultare più composto e tranquillo di quello di un giusto. E invita a volere e cercare non tanto, come si fa correntemente, una “bella morte”, senza dolori (magari improvvisa o provocata), quanto piuttosto una “buona morte”, preparata da una condotta morale conforme a verità.
L’eutanasia - Catechismo della Chiesa Cattolica n. 2276: Coloro la cui vita è minorata o indebolita richiedono un rispetto particolare. Le persone ammalate o handicappate devono essere sostenute perché possano condurre un’esistenza per quanto possibile normale.
n. 2277: Qualunque ne siano i motivi e i mezzi, l’eutanasia diretta consiste nel mettere fine alla vita di persone handicappate, ammalate o prossime alla morte. Essa è moralmente inaccettabile.
Così un’azione oppure un’omissione che, da sé o intenzionalmente, provoca la morte allo scopo di porre fine al dolore, costituisce un’uccisione gravemente contraria alla dignità della persona umana e al rispetto del Dio vivente, suo Creatore. L’errore di giudizio nel quale si può essere incorsi in buona fede, non muta la natura di quest’atto omicida, sempre da condannare e da escludere.
n. 2278: L’interruzione di procedure mediche onerose, pericolose, straordinarie o sproporzionate rispetto ai risultati attesi può essere legittima. In tal caso si ha la rinuncia all’“accanimento terapeutico”. Non si vuole così procurare la morte: si accetta di non poterla impedire. Le decisioni devono essere prese dal paziente, se ne ha la competenza e la capacità, o, altrimenti, da coloro che ne hanno legalmente il diritto, rispettando sempre la ragionevole volontà e gli interessi legittimi del paziente.
n. 2279: Anche se la morte è considerata imminente, le cure che d’ordinario sono dovute ad una persona ammalata non possono essere legittimamente interrotte. L’uso di analgesici per alleviare le sofferenze del moribondo, anche con il rischio di abbreviare i suoi giorni, può essere moralmente conforme alla dignità umana, se la morte non è voluta né come fine né come mezzo, ma è soltanto prevista e tollerata come inevitabile. Le cure palliative costituiscono una forma privilegiata della carità disinteressata. A questo titolo devono essere incoraggiate.
Rifiuto dell’eutanasia (dal greco eu bene e thanatos morte) e dell’accanimento terapeutico - Maurizio Chiodi: Le azioni o le omissioni dirette (su procura del malato) a metter fine alla vita di pazienti inguaribili, prossimi alla morte, rispondono a un “desiderio” di morte che, in realtà, è “fuga” dalla morte e che spesso è invocazione di una qualità diversa di presenza degli altri. L’eutanasia è una falsa soluzione, una scelta senza speranza, che non riconosce il senso e la promessa della vita, che rimane un dono di Dio anche nell’oscurità della prova. Può, invece, essere del tutto giustificata la sospensione di cure da cui ragionevolmente si attende solo un artificioso e penoso prolungamento della sopravvivenza fisica.
La ragione etica di fondo contro l’accanimento terapeutico è il riconoscimento dell’ineluttabilità della morte e insieme il fatto che la cura medica non ha valore assoluto, in quanto essa è solo un aspetto, anche se imprescindibile, della più globale cura per il malato. L’atto terapeutico deve inserirsi all’interno della relazione che si fa carico della dignità complessiva della persona.
Per decidere quando le cure di un ammalato inguaribile sono sproporzionate rispetto alla qualità della vita ancora disponibile, occorre valutare danni e benefici: la possibilità di un certo recupero della salute (e per un tempo significativo) e la capacità di tollerare la sofferenza che consegue al prolungamento delle cure. È evidente che tali fattori sono legati all’interpretazione personale sia del paziente, sia dei suoi familiari e dei medici. “L’interruzione di procedure mediche onerose, pericolose, straordinarie o sproporzionate rispetto ai risultati attesi può essere legittima. In tal caso si ha la rinuncia all’accanimento terapeutico. Non si vuole così procurare la morte: si accetta di non poterla impedire” (Catechismo della Chiesa Cattolica n. 2278).
La morte mette a nudo a nostra vita - Papa Francesco (Udienza Generale, 18 Ottobre 2017): [...] la morte mette a nudo la nostra vita. Ci fa scoprire che i nostri atti di orgoglio, di ira e di odio erano vanità: pura vanità. Ci accorgiamo con rammarico di non aver amato abbastanza e di non aver cercato ciò che era essenziale. E, al contrario, vediamo quello che di veramente buono abbiamo seminato: gli affetti per i quali ci siamo sacrificati, e che ora ci tengono la mano.
Gesù ha illuminato il mistero della nostra morte. Con il suo comportamento, ci autorizza a sentirci addolorati quando una persona cara se ne va. Lui si turbò «profondamente» davanti alla tomba dell’amico Lazzaro, e «scoppiò in pianto» (Gv 11,35). In questo suo atteggiamento, sentiamo Gesù molto vicino, nostro fratello. Lui pianse per il suo amico Lazzaro.
E allora Gesù prega il Padre, sorgente della vita, e ordina a Lazzaro di uscire dal sepolcro. E così avviene. La speranza cristiana attinge da questo atteggiamento che Gesù assume contro la morte umana: se essa è presente nella creazione, essa è però uno sfregio che deturpa il disegno di amore di Dio, e il Salvatore vuole guarircene.
Altrove i vangeli raccontano di un padre che ha la figlia molto malata, e si rivolge con fede a Gesù perché la salvi (cfr Mc 5,21-24.35-43). E non c’è figura più commovente di quella di un padre o di una madre con un figlio malato. E subito Gesù si incammina con quell’uomo, che si chiamava Giairo. A un certo punto arriva qualcuno dalla casa di Giairo e gli dice che la bambina è morta, e non c’è più bisogno di disturbare il Maestro. Ma Gesù dice a Giairo: «Non temere, soltanto abbi fede!» (Mc 5,36). Gesù sa che quell’uomo è tentato di reagire con rabbia e disperazione, perché è morta la bambina, e gli raccomanda di custodire la piccola fiamma che è accesa nel suo cuore: la fede. “Non temere, soltanto abbi fede”. “Non avere paura, continua solo a tenere accesa quella fiamma!”. E poi, arrivati a casa, risveglierà la bambina dalla morte e la restituirà viva ai suoi cari. Gesù ci mette su questo “crinale” della fede. A Marta che piange per la scomparsa del fratello Lazzaro oppone la luce di un dogma: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno. Credi tu questo?» (Gv 11,25-26). È quello che Gesù ripete ad ognuno di noi, ogni volta che la morte viene a strappare il tessuto della vita e degli affetti. Tutta la nostra esistenza si gioca qui, tra il versante della fede e il precipizio della paura. Dice Gesù: “Io non sono la morte, io sono la risurrezione e la vita, credi tu questo?, credi tu questo?”. Noi, che oggi siamo qui in Piazza, crediamo questo?
Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** «Io non so né il giorno, né l’ora, né il modo, ma ho la fede nella tua promessa. Morti al peccato grazie al dono della tua vita, noi risusciteremo dai morti, rivedremo coloro che abbiamo amato, con loro vivremo della tua vita divina. Oggi siamo già riuniti nella comunione dei Santi. Signore, ti preghiamo per i morti: accoglili nel tuo amore. Ti preghiamo per i viventi: fa’ che camminino verso la tua luce.» ( Philippe Warnie).
Nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.
Preghiamo con la Chiesa: Ascolta, o Dio, la preghiera che la comunità dei credenti innalza a te nella fede del Signore risorto, e conferma in noi la beata speranza che insieme ai nostri fratelli defunti risorgeremo in Cristo a vita nuova. Per il nostro Signore Gesù Cristo...