25 Novembre 2018
XXXIV Domenica «per annum»
Cristo Re dell’Universo
Oggi Gesù ci dice: “Il mio regno non è di questo mondo” (Vangelo).
Dal Vangelo secondo Giovanni 18,33b-37: Il mio regno non è di questo mondo: in questa affermazione di Gesù vi si trovano dei temi comparsi già precedentemente nei Vangeli, sopra tutto nella tradizione sinottica, quali il tema della gloria e del trono (cfr. Mt 13,41; 16,27; 19,28; 24,27-31), e anche la venuta del Figlio dell’uomo, gli angeli inviati a radunare le genti. Il regno di Dio ricorda anche il giudizio universale, quindi la distinzione tra buoni e cattivi, tra giusti e malvagi, così come è stata enunciata nella parabole della zizzania e della rete (cfr. Mt 13,41-42.49). Il regno di Dio, infine, ricorda il concetto di “supplizio eterno” specifico del Vangelo di Matteo e quello del “fuoco” come giudizio, anch’esso caratteristica matteana (cfr. Mt 3,10.12; 5,22; 13,40.42; 18,8; 25,41). Quindi, l’affermazione di Gesù è un coagulo di verità che certamente sfuggivano a Pilato, proprio perché Romano e non Giudeo. Ma al di là di queste considerazioni, quello che è importante è il saper cogliere il messaggio che vuole trasmetterci: se il regno di Gesù, non è di questo mondo, noi che siamo risorti con Cristo, dobbiamo cercare le cose di lassù, dove è Cristo, seduto alla destra di Dio; dobbiamo rivolgere il pensiero alle cose di lassù, non a quelle della terra (Col 3,1-2).
Cristo Re - Paolo VI (Udienza Generale, 24 novembre 1976): La regalità di Cristo sintetizza liturgicamente e spiritualmente il ciclo del nostro culto annuale, e propone alla nostra vita religiosa una meditazione globale stupenda e sconfinata. La nostra cristologia si fa cristocentrica. Essa è la chiave per comprendere il Vangelo, se davvero il Vangelo è, come sappiamo, l’annuncio e l’inaugurazione nel tempo, nell’umanità, nella vita della Chiesa del regno di Dio; la regalità è la veste che ci aiuta a penetrare il mistero di Cristo, nella sua profondità ineffabile (cfr. Apoc. 1, 12 ss.), nella sua estensione cosmica (cfr. la sfolgorante pagina di S. Paolo nella lettera ai Colossesi - cfr. Col. 1, 15-23 -); nella sua formulazione teologica (cfr. «Tomus» Papae Leonis I: DENZ-SCHÖN., 290 ss.; cfr. L. BOUYER, Le Fils éternel, Réflexions, p. 469 ss.). Troveremo nella celebrazione della regalità di Cristo i motivi per adorarlo nella sua divinità, per avvicinarlo nella sua umanità, troveremo, sì, la sua maestà e la sua potestà, ma altresì la sua centralità effusiva dello Spirito santificante, e attrattiva d’ogni umano destino; troveremo il Capo, il Maestro, il Pastore, il Salvatore, il Verbo Incarnato, l’Agnello di Dio, Sacerdote e Vittima d’infinita bontà. E questa irradiante figura di Cristo-Re, che anticipa, come a noi è possibile percepire, la visione di Lui escatologica e celeste, non lo allontana da noi, da ciascuno di noi, ché lo specchio nel quale possiamo contemplare la sua vivente immagine è la fede, quella fede che ciascuno di noi, come un occhio interiore e spaziale può custodire dentro di sé, perché Egli, Cristo, come ci assicura San Paolo e la nostra stessa esperienza religiosa conferma, «abita dentro di noi» [Eph. 3,17]. Tutto questo dà a noi l’impressione d’un mondo nuovo, d’un turbine indefinibile, ma è la realtà, vigiliare oggi, reale domani, se davvero ci lasciamo salvare da Cristo.
Che cosa hai fatto? - Siamo all’inizio del processo romano contro Gesù e Ponzio Pilato cerca di conoscere la verità su quell’uomo che gli era stato tradotto dinanzi con l’accusa generica di essere un «malfattore» (Gv 18,30). Ma già chiare sono le intenzioni degli accusatori: hanno giudicato reo di morte l’imputato e vogliono la sua morte, pronti a tutto pur di spuntarla (Gv 8,31). Il Sinedrio è alla ricerca dell’avallo supremo del tribunale di Roma perché non ha il potere di eseguire le pene capitali (Gv 8,31). Inconsapevolmente i sinedriti rivolgendosi ai romani per avere la certezza che Gesù sia crocifisso, compiono la profezia secondo la quale egli sarebbe stato innalzato (Gv 3,14; 12,32-33; 18,32). Pilato non teme Gesù, ma le idee nazionalistiche che avrebbero potuto portare ad una sommossa: Roma non poteva permettersi rivali, la pace poteva albergare soltanto sotto i labari imperiali. Perciò investiga sulla presunta regalità dell’imputato.
Sei tu il re dei Giudei? … Dici questo da te oppure altri te l’hanno detto sul mio conto? Alla domanda di Pilato Gesù risponde con un’altra domanda per fare emergere innanzi tutto l’incongruenza della delazione; poi per sapere «se il giudice romano ponga in discussione la regalità del Cristo, di sua iniziativa o dietro suggerimento dei giudei [Gv 18,34], per sapere se la sua regalità è intesa in senso politico o in senso messianico» (Salvatore Alberto Panimolle).
Sono io forse Giudeo? Una risposta che mette a nudo tutto il ribrezzo che Pilato provava per i Giudei. Il governatore vuol sapere perché il Sinedrio lo ha consegnato alla giustizia romana e soprattutto gli preme sapere se chi gli sta dinanzi può costituire veramente un serio pericolo per la sicurezza dell’Impero romano.
All’insistenza del procuratore, Gesù risponde che il suo regno «non è di questo mondo» e ne porta le prove: l’assenza di un esercito che armato avrebbe combattuto per liberare il suo re.
Cosa abbia capito Pilato non è difficile da comprendere. Per un romano non vi poteva essere che un solo potere, Roma; tutto il resto era poco meno che paglia. Ecco perché, forse tra lo stupore e il faceto, il governatore romano ritorna a chiedere: «Dunque tu sei re?». Pilato disprezza Gesù come Giudeo anche se, come suggeriscono gli evangelisti, nel corso del processo rimarrà colpito dalla dignità e dalla franchezza delle sue risposte arrivando al punto di tentare di salvarlo (Mt 27,14; Mc 15,12-14; Lc 23,16; Gv 18,38-39; 19,12-15).
La domanda non ammette deroghe e il procuratore romano sembra seccato e vuole una risposta chiara che dipani ogni dubbio e Gesù lo accontenta ammettendo con estrema franchezza: «Tu lo dici: io sono re».
È chiaro, a questo punto, che il brano giovanneo vuole evidenziare la regalità del Cristo ed è teso quindi intenzionalmente a offrire alcuni spunti di riflessione ai credenti. Innanzi tutto, Gesù è re ed è venuto nel mondo per dare testimonianza alla verità. In questa affermazione si coglie tutta la decisione divina di attuare il progetto salvifico che doveva avere inizio con l’incarnazione di Dio: «In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio [...]. E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1,1.14) e trovare la sua pienezza di fecondità nella orrenda morte di croce.
Gesù è venuto nel mondo per rendere testimonianza alla verità. Questo vuole dire che il Verbo di Dio si è fatto carne per manifestare autorevolmente e infallibilmente le realtà celesti che vede e ascolta (Gv 3,11.32). E chiunque è dalla verità, ascolta la sua voce, cioè accetta la sua testimonianza come vera, accoglie docilmente la sua Parola e decide liberamente di fare parte del suo regno: quindi, essere dalla verità «significa avere l’origine della vita religiosa dalla Parola, cioè essere animati profondamente dalla rivelazione del Cristo, per cui non si subisce alcun influsso malefico del Maligno. I Giudei che non fanno penetrare nel cuore la parola di Gesù, sono dal diavolo, non sono da Dio, in quanto non ascoltano il Verbo rivelatore [Gv 8,42-47]. Perciò il discepolo del Cristo, partecipe del suo regno, trova l’origine della sua esistenza nella rivelazione di Gesù, nella sua verità e quindi si mostra docile alla sua voce [Gv 18,37]» (Salvatore Alberto Panimolle).
Gesù e il regno - A. Di Marco (Regno in Schede Bibliche): È Gesù stesso il regno. Esso è presente nel suo agire e nella sua persona (Mt 12,28; Lc 17,20-21). Perciò non c’è differenza tra la scelta per il regno (Lc 18,29) e la scelta per Gesù (Mt 19,29; Mc 8,35). Matteo 16,28 può descrivere la potente epifania del regno come l’arrivo del Figlio dell’uomo nel suo regno, e Gesù può annunziare la felicità escatologica come un bene del suo regno (Lc 22,30). Questa identità è per ora ancora nascosta, e costituisce perciò il mistero del regno che viene manifestato solo a chi crede (Mc 4,11). Ma è realmente operante in Gesù che compie i miracoli, scaccia i demoni e annienta il regno di Satana (Lc 11,20; cf. 10,18; 4,17-19).
Gesù manifesta la coscienza della sua regalità parlando in modo altamente significativo del «mio» regno (Lc 22,28-30; cf. Mc 10,29 con Mt 19,29 e Lc 18,29; Mt 16,28 con 20,21; Mc 12,34 con 10,21). Cristo divide la storia della salvezza in due epoche: la prima - la legge e i profeti - arriva sino alla venuta di Giovanni Battista; con Cristo inizia la seconda, nella quale il regno è «annunziato» e insieme patisce violenza (Lc 16,16; cf. 7,28; Mt. 11,12-13). Con Gesù comincia l’eschaton, con lui «il tempo è compiuto e si è avvicinato il regno di Dio» (Mc 1,15); con lui è presente il momento decisivo della storia (Rom 13,11). Ormai «l’anno di grazia di Iahvé» è promulgato (Lc 4,19; Is 61,2). È Gesù l’oggetto dell’attesa dei profeti. Il suo intervento personale supera quello dei profeti (Lc 16,16); la sua predicazione è superiore a quella di Giona o alla sapienza di Salomone (Mt 12,41-42); egli è al di sopra anche di Mosè (Mt 5,21-48). La missione di Gesù costituisce la fase preliminare di questo nuovo periodo, che è l’avvento del regno; la missione di Gesù non consiste soltanto nell’annunziare l’avvento del regno, ma anche nell’iniziarlo. La sua presenza è una prima epifania del regno di Dio; egli infatti vuole salvare non dominare; per questo si rivolge soprattutto ai più sprovveduti su cui pesano le conseguenze del peccato; per essi proclama le beatitudini (Mt 5,3-12), che traducono concretamente il messaggio centrale di Gesù: il regno di Dio è vicino.
Il regno che Gesù inaugura ha dunque chiaramente due fasi, una presente nel nascondimento, e una futura nell’esaltazione e nella gloria; la sua venuta attuale, nell’umiltà, prelude alla sua venuta finale nella gloria, di cui una manifestazione con potenza è la Risurrezione (Mt. 28; Lc 24; Rom 1,1-4).
Gesù ha chiari in mente i due aspetti del regno, e pone l’accento ora sull’uno ora sull’altro. Questo doppio carattere costituisce l’oggetto delle «parabole del regno»: esso viene all’uomo nella parola semplice di Gesù, incontra opposizioni, ma, ciò nonostante, può crescere (Mt 13,3-8.18-23 e par.).
Satana può impedire con i suoi intrighi la realizzazione del regno di Dio, ma l’intervento di Gesù giudice farà trionfare il suo regno (Mt 13,24-30.37-43.47-50).
L’inizio insignificante del regno non esclude uno sviluppo glorioso nella parusia (Mt 13,31-32). E tutto è opera di Dio (Dan 2,34.44-45), come lo sviluppo del seme nella spiga (Mc 4,26-29).
L’attività presente di Gesù corrisponde alla semina, o all’inserimento del lievito nella pasta; con Gesù, quindi, il processo di crescita è iniziato ed è in un senso vero la presente manifestazione del regno. Con Gesù è stata inaugurata l’era messianica, ma non è ancora completa.
In tal modo Gesù sembra anche chiarire l’escatologia messianica: l’eschaton non è un cataclisma improvviso, ma una nuova èra, distinta dalla decisiva e ultima manifestazione della potenza divina. Dio ha cominciato a governare il mondo. Il regno escatologico di Dio è stato inaugurato: la sua realizzazione definitiva appare e si può dire vicina, secondo un modo di esprimersi comune ai profeti dell’Antico Testamento. Esso però conosce varie tappe, in continuità fra di loro, e tutte tendenti al compimento definitivo.
Cristo Re dell’Universo - Giovanni Paolo II (Angelus, 25 novembre 1990): 1. La solennità di Cristo Re dell’Universo conclude oggi il ciclo annuale delle celebrazioni liturgiche, con cui la Chiesa commemora e rivive i misteri della vita del Signore: l’incarnazione del Verbo di Dio nel grembo di Maria, la sua nascita, la sua morte e risurrezione, il dono dello Spirito Santo. La Chiesa ha ascoltato nella proclamazione delle Scritture, domenica dopo domenica, con costante attenzione e viva fede, le parole del Maestro. Ora, concludendo questo spirituale cammino, essa medita sul ritorno di Cristo, sul pieno compimento del Regno da lui predicato, e ama rinnovare la propria fede in Gesù, Re dell’Universo. Egli è Re di bontà, donatore di grazia, che nutre il suo popolo e lo vuole raccolto attorno a sé, come un pastore che passa in rassegna il suo gregge, raduna le sue pecore da tutti i luoghi, dove erano disperse nei giorni nuvolosi e di caligine (cfr. Ez 34,12); le vuole illuminare e far riposare. Gesù Cristo è Re di misericordia, testimone e segno della bontà di Dio Padre.
2. La solennità odierna riassume così anche l’intera predicazione della Chiesa sul mistero di Cristo, di colui che per noi è via, verità e vita, principio e modello di un’umanità nuova, nata dalla sua passione e dal suo sangue: un’umanità che egli vuole permeata di amore fraterno, di sincerità e di spirito di pace. In Cristo Re, inoltre, la Chiesa riconosce che al di là di tutto ciò che muta stanno cose immutabili ed eterne, un regno preparato per coloro che credono e amano.
Con tutta la Chiesa anche noi oggi annunciamo: bisogna che Cristo regni (cf. 1Cor 15,25). Siamo, infatti, convinti che questo è l’annuncio da tutti atteso, anche se forse inconsapevolmente. L’annuncio si fa, perciò, preghiera: a Cristo chiediamo di costruire nelle tormentate vicende della nostra storia il suo regno d’amore.
3. Lo chiediamo nella luce delle parole dell’Angelus: “Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi”. Lo chiediamo per l’intercessione della Vergine Maria, di colei che per prima credette alla parola divina, per prima l’accolse nella sua vita, entrando a far parte del suo regno; di colei che ora ci precede nel cammino verso la piena comunione col mistero di Cristo. Nella fede di Maria santissima noi cerchiamo il sostegno per la nostra fede (Redemptoris Mater 10) e per il nostro pellegrinaggio verso l’adempimento del Regno di Dio.
Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** Con tutta la Chiesa anche noi oggi annunciamo: bisogna che Cristo regni (cf. 1Cor 15,25).
Nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.
Preghiamo con la Chiesa: O Dio, fonte di ogni paternità, che hai mandato il tuo Figlio per farci partecipi del suo sacerdozio regale, illumina il nostro spirito, perché comprendiamo che servire è regnare, e con la vita donata ai fratelli confessiamo la nostra fedeltà al Cristo, primogenito dei morti e dominatore di tutti i potenti della terra. Egli è Dio, e vive e regna con te...