17 Novembre 2018
Sabato XXXII Settimana T. O.
Oggi Gesù ci dice: «Venite, benedetti del Padre mio; ero malato e mi avete visitato. In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno dei miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me» (Antifona - Mt 25,34.36.40).
Dal Vangelo secondo Luca 18,1-8: Dio ascolta sempre la preghiera dei suoi figli, e in modo particolare il suo cuore di padre accoglie prontamente le preghiere di poveri degli umili, dei diseredati. Dio non pazienterà né tarderà a rendere giustizia ai poveri, agli oppressi, anche se a volte l’uomo deve gustare fino in fondo l’amaro calice del “silenzio di Dio”. Al di là dell’egoismo dell’uomo, o della sua cattiveria, brilla la giustizia, e la sua luce non tarderà a illuminare i passi vacillanti dell’uomo.
La parabola della vedova importuna: È necessario ricordare che il racconto lucano è una parabola e che «la parabola è una storia che sovente comprende alcuni dati umoristici con lo scopo di far risaltare un’idea fondamentale. Bisognerà perciò stare attenti a non architettare teorie sulla base di un solo dettaglio. Che il giudice di questa parabola sia un disonesto è provocante, ma ciò non ha nulla a che vedere con Dio» (I Quattro Vangeli Commentati, ELLEDICI).
Il brano lucano va posto nel suo contesto e cioè tra il diciassettesimo e il ventunesimo capitolo che sono dominati da una domanda insistentemente posta a Gesù: «Quando verrà il Regno di Dio?» (Lc 17,20). La risposta di Gesù non lascia spazio a dubbie interpretazioni: il «Regno di Dio in parte è gia presente, in parte deve ancora venire. Nel suo primo stadio, il regno “è già in mezzo a voi”; nel suo secondo stadio esso verrà di sorpresa. Nel tempo intermedio i credenti devono cooperare al suo avvento e perseverare nella preghiera» (Adrian Schenker - Rosario Scognamiglio).
La parabola odierna si inserisce in questa cornice di tempo intermedio, che spiega così la domanda finale, apparentemente senza alcun nesso immediato con la parabola: «Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?».
Il fine della parabola poi è abbastanza chiaro: Gesù vuole insegnare ai suoi discepoli la necessità di «pregare sempre, senza stancarsi mai» e di attendere con perseveranza il suo ritorno perché Egli certamente ritornerà come giudice degli uomini.
La vedova importuna: La vedova fa parte degli anawim, i poveri di Dio. Spesso abbandonati alla loro sorte vengono maltrattati, vessati, derubati. Un’accusa mossa ai Farisei è proprio quella di divorare le case delle vedove (Lc 20,47) con pretestuosi e interessati consigli.
Nonostante che la legge ammonisse i giudici ad emettere giuste sentenze (Cf. Dt 16,18), nella prassi contavano molto le regalie e le influenze degli amici potenti. La sentenza iniqua che condannò Nabot alla lapidazione fu confezionata solo per soddisfare i capricci del re Acab e della regina Gezabele (Cf. 1Re 21,1-16). Anna, Caifa e compagni di congrega si serviranno di falsi testimoni per emettere la sentenza di morte che porterà sulla croce il Figlio di Dio (Cf. Mt 26,60-61).
Che il giudice sia iniquo quindi non sorprende chi ascolta la parabola, la sorpresa sta nel fatto che alla fine il giudice, pur consapevole della sua empietà e del suo disprezzo verso il prossimo, si arrenda alle suppliche della vedova. Una manovra meschina pensata unicamente per liberarsi delle noiose insistenze della donna.
Che le istanze fossero veramente insistenti a suggerirlo è il verbo che Luca usa: hypopiazo, alla lettera «sbattere sotto gli occhi».
Nel commentare la parabola, Gesù mette in evidenza il punto focale del racconto: se quel giudice disonesto e crudele accondiscese ad aiutare una povera vedova unicamente per togliersela di torno, come potrebbe Dio, buono, «ricco di misericordia» (Ef 2,4), non aiutare i suoi eletti che si rivolgono a lui «giorno e notte» con grande fede?
Un’altra grande differenza tra i due attori principali della parabola sta nel loro intervenire: il giudice per la sua iniquità ha obbligato la vedova ad attendere penosamente la sentenza, Dio che è buono (Cf. Lc 18,19) invece interverrà prontamente.
Rifacendoci sempre alla lingua greca, l’espressione corrispondente all’avverbio prontamente può significare sia la prontezza di Dio, sia improvvisamente, di sorpresa: in tal caso il monito che Gesù rivolge al suo uditorio - Dio farà loro giustizia prontamente - assume una valenza preziosissima: è un’incitazione all’attesa e alla vigilanza escatologica: «Sì, vieni presto, Gesù!» (Cf. Ap 22,20).
Se vale quest’ultima lettura, allora si comprende nel suo significato più genuino la domanda di Gesù «Il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?». Negli ultimi tempi la fede avrà vita difficile, ma sarà salvato chi vigila nella preghiera con spirito pentito e umile.
La vedova importuna - CCC 2613: La parabola, «la vedova importuna», è centrata su una delle qualità della preghiera: si deve pregare sempre, senza stancarsi, con la pazienza della fede. «Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?».
La preghiera - CCC 2098: Gli atti di fede, di speranza e di carità prescritti dal primo comandamento si compiono nella preghiera. L’elevazione dello spirito verso Dio è un’espressione della nostra adorazione di Dio: preghiera di lode e di rendimento di grazie, d’intercessione e di domanda. La preghiera è una condizione indispensabile per poter obbedire ai comandamenti di Dio. Bisogna pregare sempre, senza stancarsi» (Lc 18,1).
La preghiera del cristiano - CCC 2157: Il cristiano incomincia la sua giornata, le sue preghiere, le sue azioni con il segno della croce, «nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Amen». Il battezzato consacra la giornata alla gloria di Dio e invoca la grazia del Salvatore, la quale gli permette di agire nello Spirito come figlio del Padre. Il segno della croce ci fortifica nelle tentazioni e nelle difficoltà.
La preghiera: Combattimento con Dio - Catechismo degli Adulti 984: Chi si giustifica in un modo, chi in un altro: «Non ho tempo»; «Ho cose urgenti da fare»; «Non mi sento bene». Non sarebbe forse meglio riconoscere lealmente che pregare è faticoso e noi non ne abbiamo voglia?
La Bibbia a volte presenta la preghiera come un combattimento con Dio, un impegno difficile. Tradizionalmente i maestri di spiritualità la vedono simboleggiata nel misterioso episodio della lotta di Giacobbe con l’angelo, che si rivela essere addirittura la forma di un’apparizione divina. Giacobbe resiste tenacemente per tutta la notte: «Non ti lascerò, se non mi avrai benedetto!» (Gen 2,27). Al sorgere del sole ottiene la benedizione e lo lascia andare. Dio si lascia conquistare, ma vuole una fede salda, un desiderio appassionato. Gesù, raccontando le parabole dell’amico importuno e della vedova molesta, raccomanda un’umiltà perseverante, che non si lascia abbattere dalla delusione e dallo scoraggiamento. L’apostolo Paolo vuole che i cristiani siano «perseveranti nella preghiera» (Rm 12,112) e li esorta: «Pregate incessantemente... vigilando... con ogni perseveranza» (Ef 6,18). Purtroppo siamo superficiali e, come osserva il santo Curato d’Ars, «quante volte veniamo in chiesa senza sapere che cosa dobbiamo fare o domandare, mentre ogniqualvolta ci rechiamo da qualcuno sappiamo bene perché ci andiamo!».
Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra? - CCC 675-677: Prima della venuta di Cristo, la Chiesa deve passare attraverso una prova finale che scuoterà la fede di molti credenti. La persecuzione che accompagna il suo pellegrinaggio sulla terra svelerà il «mistero di iniquità» sotto la forma di una impostura religiosa che offre agli uomini una soluzione apparente ai loro problemi, al prezzo dell’apostasia dalla verità. La massima impostura religiosa è quella dell’Anti-Cristo, cioè di uno pseudo-messianismo in cui l’uomo glorifica se stesso al posto di Dio e del suo Messia venuto nella carne. Questa impostura anti-cristica si delinea già nel mondo ogniqualvolta si pretende di realizzare nella storia la speranza messianica che non può essere portata a compimento se non al di là di essa, attraverso il giudizio escatologico; anche sotto la sua forma mitigata, la Chiesa ha rigettato questa falsificazione del regno futuro sotto il nome di millenarismo, soprattutto sotto la forma politica di un messianismo secolarizzato «intrinsecamente perverso». La Chiesa non entrerà nella gloria del Regno che attraverso quest’ultima pasqua, nella quale seguirà il suo Signore nella sua morte e risurrezione. Il Regno non si compirà dunque attraverso un trionfo storico della Chiesa secondo un progresso ascendente, ma attraverso una vittoria di Dio sullo scatenarsi ultimo del male che farà discendere dal cielo la sua Sposa. Il trionfo di Dio sulla rivolta del male prenderà la forma dell’ultimo giudizio dopo l’ultimo sommovimento cosmico di questo mondo che passa.
La vedova del Vangelo (cfr. Lc 18,1-8) fa pensare ai ‘piccoli’, agli ultimi... - Giovanni Paolo II (Omelia, 21 ottobre 2007): Le Letture bibliche che abbiamo ascoltato ci presentano alcuni modelli a cui ispirarci in questa nostra professione di fede che è sempre anche professione di speranza, perché la fede è speranza, apre la terra alla forza divina, alla forza del bene. Sono le figure della vedova che incontriamo nella parabola evangelica e quella di Mosè di cui parla il libro dell’Esodo. La vedova del Vangelo (cfr. Lc 18,1-8) fa pensare ai ‘piccoli’, agli ultimi, ma anche a tante persone semplici e rette, che soffrono per le sopraffazioni, si sentono impotenti di fronte al perdurare del malessere sociale e sono tentate di scoraggiarsi. A costoro Gesù ripete: osservate questa povera vedova con quale tenacia insiste e alla fine ottiene ascolto da un giudice disonesto! Come potreste pensare che il vostro Padre celeste, buono e fedele, e potente, il quale desidera solo il bene dei suoi figli, non vi faccia a suo tempo giustizia? La fede ci assicura che Dio ascolta la nostra preghiera e ci esaudisce al momento opportuno, anche se l’esperienza quotidiana sembra smentire questa certezza. In effetti, davanti a certi fatti di cronaca, o a tanti quotidiani disagi della vita di cui i giornali non parlano neppure, sale spontaneamente al cuore la supplica dell’antico profeta: ‘Fino a quando, Signore, implorerò e non ascolti, a te alzerò il grido: «Violenza!» e non soccorri?’ (Ab 1,2). La risposta a questa invocazione accorata è una sola: Dio non può cambiare le cose senza la nostra conversione, e la nostra vera conversione inizia con il ‘grido’ dell’anima, che implora perdono e salvezza. La preghiera cristiana non è pertanto espressione di fatalismo e di inerzia, anzi è l’opposto dell’evasione dalla realtà, dell’intimismo consolatorio: è forza di speranza, massima espressione della fede nella potenza di Dio che è Amore e non ci abbandona. La preghiera che Gesù ci ha insegnato, culminata nel Getsemani, ha il carattere dell’‘agonismo’ cioè della lotta, perché si schiera decisamente al fianco del Signore per combattere l’ingiustizia e vincere il male con il bene; è l’arma dei piccoli e dei poveri di spirito, che ripudiano ogni tipo di violenza. Anzi rispondono ad essa con la non violenza evangelica, testimoniando così che la verità dell’Amore è più forte dell’odio e della morte.
Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** La fede ci assicura che Dio ascolta la nostra preghiera e ci esaudisce al momento opportuno, anche se l’esperienza quotidiana sembra smentire questa certezza.
Nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.
Preghiamo con la Chiesa: O Dio, che a sant’Elisabetta hai dato la grazia di riconoscere e onorare Cristo nei poveri, concedi anche a noi, per sua intercessione, di servire con instancabile carità coloro che si trovano nella sofferenza e nel bisogno. Per il nostro Signore Gesù Cristo...