16 Novembre 2018

Venerdì XXXII Settimana T. O.

Oggi Gesù ci dice: “Risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina.” (Lc 21,28 - Acclamazione al Vangelo).

Dal Vangelo secondo Luca 17,26-37: Gesù verrà allo stesso modo in cui i discepoli lo hanno visto andare in cielo (cfr. At 1,11), noi non sappiamo quando e come Gesù verrà, ciò che conta è essere pronti, non distrarsi, non lasciarsi sorprendere. La sua venuta improvvisa pone alcune domande capitali per la nostra sorte futura oltre questa vita terrena: dobbiamo chiederci come fare per essere attenti e pronti nel momento decisivo? Come si deve vivere l’attesa? Su quale base avverrà il giudizio? Il riferimento ai contemporanei di Noè e di Lot ci aiutano a rispondere a queste domande. Questi abitanti non sono presentati qui come esempi di immoralità, ma soltanto di disattenzione. Non sono distratti a causa della sregolatezza o di bagordi o altro, sono distratti semplicemente per gli impegni della vita: mangiavano, bevevano, compravano, vendevano, piantavano, costruivano. Anche la vita ordinaria può appesantire il cuore: se non si rimane vigilanti si può essere colti di sorpresa e finire coll’essere sommersi dal diluvio, come ai tempi di Noè.

L’insegnamento di Gesù sulla Parusia, è occasionato dalla domanda di alcuni farisei: «Quando verrà il regno di Dio» (Lc 17,20).
Da tutto il contesto si evince il senso dell’attesa, con un invito alla vigilanza dinanzi ad un evento certo, la venuta del Signore, le cui modalità e i tempi restano oscuri, avvolti nel mistero.
Per accentuare il bisogno della vigilanza, Gesù aveva raccontato ai suoi discepoli la parabola del fico (Mt 24,32-36). Ora, per maggiore incisività, ricorda il diluvio il quale, ai tempi di Noè, travolse uomini, donne poiché «la loro malvagità era grande sulla terra e che ogni intimo intento del loro cuore non era altro che male, sempre» (Gen 6,5). Come il diluvio (Cf. Gen 6-9), la venuta del Figlio dell’uomo sarà inaspettata e sorprenderà coloro che non si saranno preparati. Per i discepoli sarebbe assai pericolosa qualsiasi distrazione. Nel modo più assoluto non bisogna imitare la stoltezza dei contemporanei di Noè sorpresi e travolti dal giudizio di Dio nella loro cieca follia (Cf. Mt 24,37-39).

La venuta gloriosa di Cristo: CCC 673-674: Dopo l’ascensione, la venuta di Cristo nella gloria è imminente, anche se non spetta a noi «conoscere i tempi e i momenti che il Padre ha riservato alla sua scelta» (At 1,7). Questa venuta escatologica può compiersi in qualsiasi momento anche se essa e la prova finale che la precederà sono «impedite». La venuta del Messia glorioso è sospesa in ogni momento della storia al riconoscimento di lui da parte di «tutto Israele» (Rm 11,26) a causa dell’indurimento di una parte nella «mancanza di fede» (Rm 11,20) verso Gesù. San Pietro dice agli Ebrei di Gerusalemme dopo la pentecoste: «Pentitevi dunque e cambiate vita, perché siano cancellati i vostri peccati e così possano giungere i tempi della consolazione da parte del Signore ed egli mandi quello che vi aveva destinato come Messia, cioè Gesù. Egli dev’essere accolto in cielo fino ai tempi della restaurazione di tutte le cose, come ha detto Dio fin dall’antichità, per bocca dei suoi santi profeti» (At 3,19-21). E san Paolo gli fa eco: «Se infatti il loro rifiuto ha segnato la riconciliazione del mondo, quale potrà mai essere la loro riammissione se non una risurrezione dai morti?» (Rm 11,15). La partecipazione totale degli Ebrei alla salvezza messianica a seguito della partecipazione totale dei pagani permetterà al popolo di Dio di arrivare «alla piena maturità di Cristo» (Ef 4,13) nella quale «Dio sarà tutto in tutti» (1Cor 15,2).

La duplice venuta di Cristo - Catechismo Tridentino - Parte Prima: la Fede e il suo Simbolo - Articolo Settimo nn. 88-89: La sacra Scrittura menziona due venute del Figlio di Dio: l’una, quando assunse l’umana natura per la nostra salvezza, facendosi uomo nel seno della Vergine; l’altra, quando alla fine dei secoli, verrà a giudicare tutti gli uomini. Questa seconda venuta nella Scrittura è chiamata giorno del Signore. Di essa l’Apostolo dice: Il di del Signore verrà come il ladro notturno (1Th 5,2); e il Salvatore stesso: Quanto poi a quel giorno e quell’ora, nessuno lo sa (Mt 24,36). [...].
Per amor di chiarezza i Parroci distingueranno bene le due epoche, nelle quali ciascuno deve comparire innanzi al Signore per rendere ragione di tutti e singoli i pensieri, le opere, le parole, e sentire poi l’immediata sentenza del giudice. La prima viene quando muore ciascun di noi: subito l’anima si presenta al tribunale di Dio, ove si fa giustissimo esame di quanto ha operato, detto, o pensato; e questo si chiama giudizio particolare. La seconda verrà quando tutti gli uomini saranno riuniti insieme in un giorno e in un luogo stabilito innanzi al tribunale del Giudice, affinché tutti e singoli, spettatori e ascoltatori, gli uomini di tutti i secoli sappiano la propria sentenza. Il verdetto non sarà, per gli empi e scellerati, la minore delle pene; mentre i pii e i giusti ne trarranno grande premio e frutto, poiché sarà manifesto come ciascuno si è diportato in questa vita. E questo si chiama il “giudizio universale”.

Parusia - Giuseppe Barbaglio (Parusia in Schede Bibliche Pastorali): Diversamente dalla tradizione apocalittica giudaica, preoccupata degli aspetti cosmici; della realtà finale, l’apostolo Paolo concentra la sua attenzione sul rapporto personale tra Cristo e il Cristiano Si potrebbe dire che interpreta in chiave; interpersonale la fede escatologica: decisivo sarà il giostro incontro con il Signore. Esso significa innanzitutto, la nostra definitiva e totale redenzione. Nell’ultimo giorno Cristo verrà come salvatore, per porre il sigillo alla sua azione salvifica su quanti hanno creduto e sperato (Lc 1,28; Ef 4,30). L’incontro sarà trasformante per noi: il Signore ci attrà a sé; l’immagine di Dio splenderà dentro di noi: «Carissimi, ora siamo figli di Dio, e non ancora manifesto quello che saremo Sappiamo che quando si manifesterà saremo simili a lui. perché lo vedremo così com’egli è» (1Gv 3.2). Il processo di trasformazione è già in corso al presente. L’apostolo Paolo ci dice che sotto l’azione del Signore veniamo cambiati nella immagine della sua gloria divina (2Cor 3,18). La fine segnerà la conclusione di questa assimilazione. La stessa tensione tra ciò che quello che già possediamo e quello che speriamo di ricevere alla fine appare anche per la nostra figliolanza divina. Già siamo figli di Dio. ma non è ancora stato rivelato quello che saremo ci dice san Giovanni (1Gv 3,2). Nello Spirito santo possiamo dire a Dio: «Abbai Padre» (Rom. 8,15; Gal. 4,6). Siamo figli, ma la piena rivelazione di questo nostro essere sarà fatta nel giorno del Signore, quando l’eredità di figli ci sarà donata: «E se figli, anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo, se soffriamo con Lui per essere con Lui glorificati» (Rom. 8,17).
I redenti, gli assimilati, i figli saranno riuniti attorno a Cristo nella sua venuta finale. Saranno vicini a Lui. Gli compariranno davanti. Andranno incontro a Lui che viene. Il tempo della lontananza e dell’assenza è passato.
Qualche cenno si trova nel discorso apocalittico riportato dai sinottici: «E invierà i suoi angeli con tromba sonante, e raduneranno tutti i suoi eletti dai quattro venti, da un estremo all’altro dei cieli» (Mt. 24,31).
Ma soprattutto nelle lettere paoline il giorno del Signore e la sua venuta gloriosa appaiono nella luce di un incontro personale tra Cristo e i suoi. L’immagine suggestiva è l’uscita processionale dei cittadini incontro all’imperatore che viene a visitare la città: «E quindi noi, i vivi, i rimasti, saremo rapiti insieme con loro tra nuvole, incontro al Signore nell’aria» (1Tess. 4,17).
La conclusione dell’incontro consiste nello stare per sempre con il Signore: «E così saremo sempre con il Signore!» (1Tess. 4,17).Questa è la formula riassuntiva della dottrina paolina riguardante le realtà ultime.
La conclusione dell’esistenza cristiana sta nell’unione indistruttibile con il Signore, nell’eterna comunione di vita con Cristo (1Tess. 5,10). Davanti a questa prospettiva l’apostolo brucia dal desiderio di morire per raggiungere il Signore ed essere insieme con Cristo (Fil. 1,23), e di abitare presso il Signore (2Cor. 5,8).
Il destino ultimo del cristiano consiste nell’inalienabile comunione con il suo Signore. Senza l’angustia della possibilità della rottura.
Nel pacifico e sereno possesso di Cristo. Nel clima di un’intima familiarità e di una gioia pura, espresse dall’immagine della partecipazione al banchetto celeste, di cui quello eucaristico è segno: «Io vi dico che da ora non berrò più di questo frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo con voi nel regno del Padre mio» (Mt. 26,29).

Dove Signore? - Benedetto prete (I Quattro Vangeli): Dove, Signore? Non si vede con chiarezza a che cosa voglia alludere questa domanda dei discepoli - riferita soltanto da Luca - la quale, con molta probabilità, è qui inserita dall’evangelista per offrire un contesto opportuno alla risposta data da Gesù e riferita subito dopo; la domanda infatti giunge inattesa nel racconto. I discepoli desiderano sapere dove avverrà il giudizio, oppure dove saranno raccolti gli eletti; queste in breve sono le due spiegazioni più probabili indicate dagli esegeti. Dove (sarà) il corpo, ivi pure si raccoglieranno gli avvoltoi; la risposta ha il tono di un detto proverbiale a cui il Maestro ricorre per illustrare il suo pensiero. L’immagine tuttavia rimane imprecisa, poiché essa costituisce un semplice paragone, anche se maestoso ed espressivo, non già un’affermazione fatta con termini chiari e diretti. La proposizione non può essere intesa in modo allegorico, come se il corpo indicasse Gesù stesso e gli avvoltoi, i discepoli o gli uomini in genere. Con tale risposta il Maestro indica in modo vago dove si avrà il giudizio; in questo caso il detto va parafrasato nel modo seguente: in qualunque luogo si troveranno gli uomini, là si avrà anche il giudizio; oppure se si preferisce mantenere un parallelismo tra l’insegnamento e la superba immagine usata dal Maestro si può così spiegare il testo: nel giorno della venuta gloriosa di Gesù, il giudizio verrà compiuto improrogabilmente – per così dire il giudizio piomberà inesorabilmente sugli uomini in qualunque luogo essi si troveranno – come avviene di uno stormo di avvoltoi che, appena avvistato un cadavere, si calano con rapido volo su di esso. Altri invece nella stessa immagine preferiscono vedere un’indicazione del modo con il quale gli eletti si raccoglieranno intorno a Cristo glorioso; la risposta del Maestro, in questo secondo caso, assume quest’altro senso: come gli avvoltoi si precipitano sul luogo dove hanno avvistato un cadavere, così gli eletti si raccoglieranno rapidamente intorno al Figlio dell’uomo, quando questi, al termine del tempo, ritornerà con tutta la sua gloria e potenza. Questa seconda interpretazione può essere parzialmente chiarita con l’immagine di S. Paolo quando afferma che, nel giorno della parusia, gli eletti, portati dalle nubi, andranno incontro al Signore per stare perennemente con lui (cf 1Tessalonicesi, 4,17). Il corpo indica qui il cadavere di un animale; Matteo dice apertamente «cadavere» (πτῶμα) nel testo parallelo (cf. Mt. 24,28). Gli avvoltoi; la Volgata traduce con «aquile»; è meglio pensare ad avvoltoi che volano a stormi e sono comuni in Palestina.

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** Se non si rimane vigilanti si può essere colti di sorpresa e finire coll’essere sommersi dal diluvio, come ai tempi di Noè.
Nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Preghiamo con la Chiesa: Dio grande e misericordioso, allontana ogni ostacolo nel nostro cammino verso di te, perché, nella serenità del corpo e dello spirito, possiamo dedicarci liberamente al tuo servizio. Per il nostro Signore Gesù Cristo…