15 Novembre 2018
Giovedì XXXII Settimana T. O.
Oggi Gesù ci dice: “Io sono la vite, voi i tralci, dice il Signore; chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto.” (Gv 15,5 - Acclamazione al Vangelo).
Dal Vangelo secondo Luca 17,20-25: Quando verrà il regno di Dio?: questo brano evangelico, che è proprio di Luca, mette in evidenza due predizioni: la rovina di Gerusalemme (Lc 21,6-24) e il ritorno glorioso di Gesù alla fine dei tempi (Lc 17,22-37). Ma prima che tutto ciò si compia è necessario che il Figlio dell’uomo soffra molto e venga rifiutato da questa generazione. La venuta del Figlio di Dio sarà come la folgore, così sarà il Figlio dell’uomo nel suo giorno: il giorno del Signore sta ad indicare un intervento di Dio nella storia dell’uomo. Durante l’esilio, il giorno del Signore diventa oggetto di speranza; l’ira di Dio si rivolge contro tutti gli oppressori d’Israele, segnando in questo modo la restaurazione d’Israele. Dopo l’esilio, il giorno del Signore tende a diventare un giudizio che assicura il trionfo dei giusti e la rovina dei peccatori (cfr. Ml 3,19-23; Gb 21,30; Pr 11,4), in una prospettiva chiaramente universalistica (Is 26,20-27,1; 33,10-16). In questa luce possiamo cogliere anche un invito ad una intelligente vigilanza, per non andare dietro a spregiudicati imbonitori, e per non farsi cogliere impreparati.
La venuta del Regno - Javier Pikaza: Il tema della venuta del Figlio dell’uomo (17,22-24) è fondamentalmente precristiano. Tutti i dati dei testo compaiono nell’apocalittica giudaica: i dolori che suscita la catastrofe finale, il desiderio che giunga una buona volta la novità e tutto finisca, la curiosità della gente che cerca i segni decisivi e il mistero del momento e dell’ora che tutti ignorano. «Come un lampo che brilla» improvvisamente, così sarà la venuta del giudice sulla terra e sorprenderà ogni uomo nel suo lavoro o nel suo gesto, senza mai dargli tempo per. prepararsi.
Sebbene in sé sia precristiano, il tema fa pensare a una delle esperienze fondamentali di tutto l’atteggiamento religioso. Essendo trascendente, essendo misterioso ed elevato, Dio interviene incessantemente nella storia degli uomini. Perciò i nostri giorni sono nelle sue mani, la nostra vita è aperta alla sua presenza, la nostra morte sbocca nell’abisso della sua forza distruttrice e trasformante. Collocando questa esperienza su uno sfondo storico, la venuta di Dio si presenta legata in modo speciale con un futuro aperto: Dio viene, si mostrerà attraverso il Figlio dell’uomo che è il segno del suo giudizio e cambierà (trasformerà) in modo radicale la nostra esistenza. Tale è il messaggio che ci tramanda il testo.
Venga il tuo regno - Catechismo Tridentino n. 381: Spiegato così quanto sia utile ai fedeli questa preghiera, i Parroci facciano vedere in che cosa più precisamente consista ciò che noi chiediamo a Dio, poiché le parole Regno di Dio significano molte cose, la cui spiegazione riuscirà utile per capire tutta la rimanente Scrittura, mentre è necessaria alla conoscenza di questo passo.
Il senso dunque più comune di Regno di Dio che ricorre di frequente nella sacra Scrittura, è quello che non solo indica il potere di Dio su tutti gli uomini e le cose, ma anche la provvidenza che tutto regola e governa: Nelle sue mani, dice il Profeta, tiene la terra in tutta la sua estensione (Ps 94,4). E in questa estensione è compreso tutto ciò che, nascosto nelle profondità della terra e in tutte le parti del creato, si tiene celato a noi. Ciò intendeva Mardocheo quando diceva: Signore, Signore, re onnipotente, tutte le cose sono poste sotto la tua signoria, e non v’è chi possa opporsi alla tua volontà; sei tu Signore di tutti e non v’è chi possa resistere alla tua maestà (Est 13,9).
Con le parole Regno di Dio s’intende ancora la provvidenza particolare con cui Dio custodisce e vigila sugli uomini pii e i santi; provvidenza e cura esimia, per le quali David disse: Poiché Dio mi governa, nulla mi potrà mancare (Ps 22; Ps 1), ed Isaia: Il Signore è nostro re: egli ci salverà (Is 33,22).
È anche possibile che il Regno di Dio significhi Cristo in persona - Catechismo della Chiesa Cattolica n. 2816: Nel Nuovo Testamento la parola “Basileia” può essere tradotta con regalità (nome astratto), regno (nome concreto) oppure signoria (nome d’azione). Il Regno di Dio è prima di noi; si è avvicinato nel Verbo incarnato, viene annunciato in tutto il Vangelo, è venuto nella Morte e Risurrezione di Cristo. Il Regno di Dio viene fin dalla santa Cena e nell’Eucaristia, esso è in mezzo a noi. Il Regno verrà nella gloria allorché Cristo lo consegnerà al Padre suo:
È anche possibile che il Regno di Dio significhi Cristo in persona, lui che invochiamo con i nostri desideri tutti i giorni, lui di cui bramiamo affrettare la venuta con la nostra attesa. Come egli è la nostra Risurrezione, perché in lui risuscitiamo, così può essere il Regno di Dio, perché in lui regneremo.
Il Regno di Dio e la regalità di Gesù - R. Deville e P. Grelot: Nel Nuovo Testamento i due temi del regno di Dio e della regalità messianica si uniscono nel modo più stretto, perché il re-Messia è il Figlio di Dio stesso. Questa posizione di Gesù al centro del mistero del regno si ritrova nelle tre tappe successive, attraverso le quali questo deve passare: la vita terrena di Gesù, nel tempo della Chiesa e la Consumazione finale delle cose.
1. Durante la sua vita, Gesù si dimostra molto riservato nei Confronti del titolo di re. Se lo accetta in quanto titolo messianico rispondente alle promesse profetiche (Mt 21,1-11 par.), lo deve spogliare delle risonanze politiche (cfr. Lc 23,2), per rivelare la regalità «che non è di questo mondo» e che si manifesta mediante la testimonianza resa alla verità (Gv 18,36s). In compenso, non esita ad identificare la causa del regno di Dio con la sua propria: lasciare tutto per il regno di Dio (Lc 18,29), significa lasciare tutto «per il suo nome» (Mt 19,29; cfr. Mc 10,29).
Descrivendo in anticipo la ricompensa escatologica che attende gli uomini, egli identifica il «regno del figlio dell’uomo» ed il «regno del Padre» (Mt 13,41ss), ed assicura ai suoi apostoli che egli dispone per essi del regno come il Padre ne ha disposto per lui (Lc 22,29s).
2. La sua intronizzazione regale non giunge tuttavia se non al momento della risurrezione: allora egli prende posto sul trono stesso del Padre (Apoc 3,21), è esaltato alla destra di Dio (Atti 2,30-35). Durante tutto il tempo della Chiesa, la regalità di Dio si esercita così sugli uomini per mezzo della regalità di Cristo, Signore universale (Fil 2,11); perché il Padre ha costituito il Figlio suo «Re dei re e Signore dei signori» (Apoc 19,16; 17,14; cfr. 1,5).
3. Al termine dei tempi, Cristo vincitore di tutti i suoi nemici «rimetterà il regno a Dio Padre» (1Cor 15,24). Allora questo regno «sarà pienamente acquisito al nostro Signore ed al suo Cristo» (Apoc 11,15; 12,10), ed i fedeli riceveranno «l’eredità nel regno di Cristo e di Dio» (Ef 5,5). Così Dio, padrone di tutto, prenderà pieno possesso del suo regno (Apoc 19,6). I discepoli di Gesù saranno chiamati a condividere la gloria di questo regno (Apoc 3,21), perché già in terra Gesù ha fatto di essi «un regno di sacerdoti per il loro Dio e Padre» (Apoc 1,6; 5,10; 1Piet 2,9; cfr. Es 19,6).
Disse poi ai discepoli - Benedetto Prete (I Quattro Vangeli): Disse ancora ai discepoli; gli insegnamenti intorno alla venuta del Figlio dell’uomo, la quale avrà luogo alla fine del tempo, sono preceduti da questa breve formula introduttiva; da questa risulta che l’importante discorso, pronunziato dal Salvatore nella presente circostanza, non è stato determinato da qualche domanda dei discepoli o dei Farisei, ma rappresenta un’istruzione che il Maestro stesso di propria iniziativa ha impartito «ai discepoli». Questa ampia lezione sul ritorno glorioso di Cristo alla fine dei tempi è propria di Luca (versetti 22-37); nella presente sezione il terzo evangelista manifesta di aver penetrato intimamente il senso di questo importante discorso del Salvatore sugli eventi escatologici, perché egli distingue con accuratezza le predizioni che riguardano la fine di Gerusalemme (cf. 21,6-24) e l’annunzio della venuta gloriosa di Gesù alla fine del tempo (cf. Lc., 17,22-27). In Matteo, 24,5-41 la fine di Gerusalemme e quella del mondo sono narrate insieme e i due eventi vengono descritti con immagini catastrofiche di portata cosmica; in Luca invece si parla esclusivamente della venuta del Figlio dell’uomo («il giorno del Figlio dell’uomo»). Come risulta da questo rilievo Matteo nel suo discorso escatologico ha fuso insieme due fonti, le quali invece nel terzo evangelista si trovano distinte (tale distinzione di testi provenienti da due tradizioni o fonti differenti – testi che in Matteo al contrario si trovano combinati insieme - è stata già segnalata altrove; cf. Lc., 10,2-12; 11,39-44). Verrà il tempo; letteralmente: «verranno dei giorni», espressione vetotestamentaria che l’autore ama richiamare (cf. Lc., 19,43; 21,6; 23,29); tale formula nei passi dell’Antico Testamento introduce le predizioni di prove e castighi. Desidererete vedere uno solo dei giorni del Figlio dell’uomo; Gesù predice ai discepoli che nel futuro subiranno delle prove dure e gravi, nelle quali desidereranno vedere un sol giorno di quelli del Figlio dell’uomo per trovare un po’ di sollievo e di consolazione. I «giorni del Figlio dell’uomo» non indicano qui la sua vita terrena come se i discepoli volessero trovarsi di nuovo accanto al Maestro, né l’inizio della sua manifestazione gloriosa, ma i giorni che seguono tale manifestazione gloriosa. Ma non lo vedrete; vano desiderio che non sarà attuato; i discepoli dovranno subire la prova con l’intima fiducia di superarla, poiché essi hanno la sicura promessa che il regno di Dio si affermerà sulla terra, anche se dovrà far fronte a difficoltà ed ostacoli di ogni genere.
Ma prima è necessario che egli soffra molto e venga rifiutato da questa generazione: Benedetto XVI (Angelus, 31 agosto 2008): [...] Se, per salvarci, il Figlio di Dio ha dovuto soffrire e morire crocifisso, non è certamente per un disegno crudele del Padre celeste. La causa è la gravità della malattia da cui doveva guarirci: un male così serio e mortale da richiedere tutto il suo sangue. È infatti con la sua morte e risurrezione, che Gesù ha sconfitto il peccato e la morte ristabilendo la signoria di Dio. Ma la lotta non è finita: il male esiste e resiste in ogni generazione, anche ai nostri giorni. Che cosa sono gli orrori della guerra, le violenze sugli innocenti, la miseria e l’ingiustizia che infieriscono sui deboli, se non l’opposizione del male al regno di Dio? E come rispondere a tanta malvagità se non con la forza disarmata dell’amore che vince l’odio, della vita che non teme la morte? È la stessa misteriosa forza che usò Gesù, a costo di essere incompreso e abbandonato da molti dei suoi.
Cari fratelli e sorelle, per portare a pieno compimento l’opera della salvezza, il Redentore continua ad associare a sé e alla sua missione uomini e donne disposti a prendere la croce e a seguirlo. Come per Cristo, così pure per i cristiani portare la croce non è dunque facoltativo, ma è una missione da abbracciare per amore. Nel nostro mondo attuale, dove sembrano dominare le forze che dividono e distruggono, il Cristo non cessa di proporre a tutti il suo chiaro invito: chi vuol essere mio discepolo, rinneghi il proprio egoismo e porti con me la croce. Invochiamo l’aiuto della Vergine Santa, che per prima e sino alla fine ha seguito Gesù sulla via della croce. Ci aiuti Lei ad andare con decisione dietro al Signore, per sperimentare fin d’ora, pur nella prova, la gloria della risurrezione.
Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** Il Signore è nostro re: egli ci salverà. (Is 33,22)
Nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.
Preghiamo con la Chiesa: Dio grande e misericordioso, allontana ogni ostacolo nel nostro cammino verso di te, perché, nella serenità del corpo e dello spirito, possiamo dedicarci liberamente al tuo servizio. Per il nostro Signore Gesù Cristo…