14 Novembre 2018

Mercoledì XXXII Settimana T. O.

Oggi Gesù ci dice: “Àlzati e va’; la tua fede ti ha salvato!” (Vangelo).

Dal Vangelo secondo Luca 17,11-19: Il lebbroso era condannato a una vita randagia, a vivere lontano dai centri abitati, considerato impuro (Lv 13,44) doveva manifestare la sua presenza per evitare che venisse a contatto con chicchessia: Il lebbroso colpito da piaghe porterà vesti strappate e il capo scoperto; velato fino al labbro superiore, andrà gridando: «Impuro! Impuro!» (Lv 13,45). Nell’episodio inaugurale a Nàzaret, Gesù ricorda ai compaesani, che pretendevano gesti di guarigione a loro favore come un diritto acquisito, l’episodio del profeta Eliseo che guarì lo straniero Naamàn, il lebbroso, scatenando la loro ira (Lc 4,16-30). A messi di Giovanni Battista il quale chiedeva un segno, Gesù rispose loro: «Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo (Mt 11,2-5). Ai discepoli, mandandoli in missione, Gesù dà una compito ben preciso: Guarite gli infermi, risuscitate i morti, purificate i lebbrosi, scacciate i demòni (Mt 10,8). Nel racconto di Luca l’uomo guarito dalla lebbra che torna a ringraziare Gesù è un Samaritano, uno straniero, e qui il messaggio è evidente se lo colleghiamo sopra tutto all’episodio accaduto nella sinagoga di Nazaret: i giudei che pretendevano segni salvifici come un diritto esclusivo sono rimasti estranei al dono salvifico di Dio. Al contrario, lo straniero entra a far parte di quella categoria di poveri e di piccoli ai quali è destinato il regno di Dio. Anche noi che ci diciamo cristiani possiamo restare a bocca asciutta. Gli abitudinari, osservanti e pii, rischiano di considerarsi gli unici proprietari della salvezza dimenticando la gratuità assoluta della loro condizione. Evitiamo dunque di agire come quei nove che s’incontrarono con Cristo, ma videro in lui solo un’opportunità per risolvere i loro bisogni.

Gesù non impone le mani sui lebbrosi, non proferisce parola, ma li invita a presentarsi ai sacerdoti, così come prescriveva la legge di Mosè. Ed è in questo viaggio gravido di speranza che i dieci si ritrovano sanati. I nove Ebrei continuano il loro cammino senza preoccuparsi di ringraziare il loro benefattore: forse, nella loro arroganza ritengono la guarigione come un premio meritato per la loro condotta. Il Samaritano ritorna sui suoi passi «lodando Dio a gran voce», come i pastori (cfr. Lc 2,20), il paralitico sanato (cfr. Lc 5,25), la donna curva guarita (cfr. Lc 13,13), il cieco risanato (cfr. Lc 18,43), il centurione esaudito nella sua preghiera (cfr. Lc 23,47), lo storpio guarito da Pietro e Giovanni (cfr. At 3,9). La lode è la «forma di preghiera che più immediatamente riconosce che Dio è Dio! Lo canta per se stesso, gli rende gloria perché EGLI È, a prescindere da ciò che fa. È una partecipazione alla beatitudine dei cuori puri, che amano Dio nella fede prima di vederlo nella gloria» (CCC 2639). In questa cornice di gioia e di gratitudine il Samaritano, guarito nella carne, grazie alla sua fede, ottiene «anche la salvezza spirituale, che costituiva il dono più importante nell’incontro con Gesù, l’inviato del Padre per la proclamazione e l’inaugurazione del regno» (Angelico Poppi). Gli altri nove dove sono? Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a render gloria a Dio, all’infuori di questo straniero? Gesù ancora una volta deve ammettere, con tanta amarezza, che purtroppo la vera fede ha radici fuori dai confini d’Israele. La salvezza evangelica non ha confini e non appartiene di diritto a nessun popolo, la salvezza evangelica avviene solo quando il cuore si apre al dono della fede, e attraverso la fede alla conoscenza di Cristo, una conoscenza che rinnova e pone in cammino: Alzati e va’.

Nella sacra Scrittura la parola lebbra è un nome generico per indicare diverse malattie della pelle (Lv 13s); la lebbra vera e propria è solo una fra queste. Tutte hanno in comune il fatto che la pelle diventa macchiata. Simili caratteristiche si trovano pure nelle case (Lv 14,33-53) o nelle vesti (Lv 13,47-59) «colpite dalla lebbra». I lebbrosi vengono cacciati (Lv 13,45s; Gb 2,7s), devono stare fuori della comunità civile e di culto: «Il lebbroso colpito da piaghe porterà vesti strappate e il capo scoperto; velato fino al labbro superiore, andrà gridando: “Impuro! Impuro!”. Sarà impuro finché durerà in lui il male; è impuro, se ne starà solo, abiterà fuori dell’accampamento.» (cfr. Lv 13,45-46). La lebbra è considerata come una punizione inflitta da Dio (Nm 12,9s; 2Sam 3,29; 2Re 5;27; 15,5). Si credeva che nel tempo della salvezza non ci sarebbe stata più la lebbra. Le guarigioni dalla lebbra compiute da Gesù indicano perciò che il tempo della salvezza è giunto (Mt 11,5 par; cfr. Mt 8,2-4; Mc 1,40-44 par).

Àlzati e va’: Benedetto XVI (Angelus, 14 Ottobre 2007): Il Vangelo di questa domenica presenta Gesù che guarisce dieci lebbrosi, dei quali solo uno, samaritano e dunque straniero, torna a ringraziarlo (cfr Lc 17,11-19). A lui il Signore dice: “Alzati e va’; la tua fede ti ha salvato!” (Lc 17,19). Questa pagina evangelica ci invita ad una duplice riflessione. Innanzitutto fa pensare a due gradi di guarigione: uno, più superficiale, riguarda il corpo; l’altro, più profondo, tocca l’intimo della persona, quello che la Bibbia chiama il “cuore”, e da lì si irradia a tutta l’esistenza. La guarigione completa e radicale è la “salvezza”. Lo stesso linguaggio comune, distinguendo tra “salute” e “salvezza”, ci aiuta a capire che la salvezza è ben più della salute: è infatti una vita nuova, piena, definitiva. Inoltre, qui Gesù, come in altre circostanze, pronuncia l’espressione: “La tua fede ti ha salvato”. È la fede che salva l’uomo, ristabilendolo nella sua relazione profonda con Dio, con se stesso e con gli altri; e la fede si esprime nella riconoscenza. Chi, come il samaritano sanato, sa ringraziare, dimostra di non considerare tutto come dovuto, ma come un dono che, anche quando giunge attraverso gli uomini o la natura, proviene ultimamente da Dio. La fede comporta allora l’aprirsi dell’uomo alla grazia del Signore; riconoscere che tutto è dono, tutto è grazia. Quale tesoro è nascosto in una piccola parola: “grazie”! Gesù guarisce dieci malati di lebbra, infermità allora considerata una “impurità contagiosa” che esigeva una purificazione rituale (cfr. Lv 14,1-37). In verità, la lebbra che realmente deturpa l’uomo e la società è il peccato; sono l’orgoglio e l’egoismo che generano nell’animo umano indifferenza, odio e violenza. Questa lebbra dello spirito, che sfigura il volto dell’umanità, nessuno può guarirla se non Dio, che è Amore. Aprendo il cuore a Dio, la persona che si converte viene sanata interiormente dal male.

Àlzati e va’; la tua fede ti ha salvato!: Giuseppe Barbaglio (Salvezza in Schede Bibliche): Nell’Antico Testamento ebraico, l’idea di salvezza è solitamente significata con la voce yasa’ e derivati. Questo termine ricorre un centinaio di volte - di cui la maggior parte nei salmi - con JHWH come soggetto, e ha il valore fondamentale di «essere ampio, spazioso», di «muoversi senza impedimento, essere al largo», e alla forma causativa, quello di «far stare ed essere al largo, a proprio agio», e quindi «liberare» da una condizione di oppressione, coercizione, schiavitù. È il contrario di «essere alle strette», «essere coartato, compresso, oppresso, in stato di servitù». Nella versione greca dei LXX abbiamo il verbo sózein, il nome soteria e l’appellativo soter.
Queste voci assumono talvolta un’accezione profana (Cf. 2Re 6,26); comunemente però qualificano l’attività di salvezza che svolge JHWH, al quale è riservato l’appellativo di salvatore, fatta eccezione di pochi casi nei quali designa uomini da lui scelti per salvare il suo popolo oppresso (Cf. Gdc 3,9.15; Ne 9,26-27).
Dove affiora il tema della salvezza, là è presente un riferimento, più o meno esplicito, a un pericolo o a un male che minaccia o mortifica la vita di un individuo o di un popolo e a cui essi vengono sottratti. Ora, siccome per gli antichi un male sommamente temuto e spesso incombente è la sconfitta in guerra, che ha sempre disastrose conseguenze, così la salvezza è non di rado equivalente a vittoria in battaglia, trionfo sugli avversari (Cf. Es 15,2; 1Sam 11,3; 19,5; 2Sam 22,3; Sal 21,2.5-6). Ma si rapporta anche ad altri fatti e ad altre situazioni: si fa parola della liberazione dai molteplici travagli che affliggono l’umana esistenza (Cf. Is 33,2; Ger 30,7-9; Sal 107,13.19); si invoca la liberazione dalla violenza, dall’esilio (Cf. Sal 106,47), dalla morte (Cf. Sal 6,2-5), dal peccato (Cf. Ez 36,29).
Questi dati si precisano attraverso una più dettagliata analisi degli sviluppi anticotestamentari: l’accento è posto prevalentemente su un’azione salvifica in ordine alla vicenda temporale, storica di Israele, ma lo sguardo si rivolge anche a una liberazione, di cui quella attuale è solo premessa e promessa (salvezza escatologica); e a poco a poco l’interesse dalla nazione si sposta agli individui, e, passo più decisivo e importante, affiora, qua e là, la preoccupazione per una salvezza oltre l’esistenza terrena con un rilievo non più temporale, ma etico-spirituale.
Nel Nuovo Testamento il vocabolario della salvezza è ampiamente usato: sozein (salvare) ricorre un centinaio di volte, con prevalenza nei Vangeli; sóteria (salvezza) una cinquantina di volte, e 4 volte to sóterion = la salvezza; sótér (salvatore) soprattutto negli scritti tardivi.
Si ha in vista, talvolta, una liberazione di ordine temporale; ma, solitamente, si esalta l’azione salvifica che Dio svolge nel Cristo per trasformare e rinnovare l’uomo in rapporto a tutto il suo essere e alla stessa sua dimora, il cosmo.
Predilezione per la terminologia della salvezza rivelano Paolo e Luca.
Si constata che Dio raramente appare come soggetto grammaticale o logico di salvare e di salvezza, o come salvatore (Cf. Ef 2,5; pastorali; Gc 4,12; Gd 25). Per lo più, come Salvatore è designato il Cristo (Cf. Lc, Gv, Paolo, 2Pt). L’attività salvatrice è attribuita anche agli uomini come strumenti di Dio e del Cristo (Cf. Rm 11,14; 1Cor 7,16; 1Tm 4,14-16; Gc 5,20; Gd 20ss).
Soggetto di salvare talvolta è la parola di Dio o il Vangelo (Cf. Rm 1,16; 2Tm 3,14-16; Gc 1,18-21; 1Pt 2,2) e in alcuni casi il battesimo (Cf. Tt 3,5; 1Pt 3,21s), in quanto mezzi dell’azione divina di salvezza. Naturalmente la parola di Dio ha potere salutare per i singoli individui se viene accolta con la fede, che, in questo caso, risulta soggetto logico di salvare (Cf. Gv 3,16s; At 16,31; Rm 1,16; 10,8-10).

Gli vennero incontro dieci lebbrosi - Giovanni Paolo II (Omelia, 21 Settembre 1986): Dio esalta i miseri, perché Cristo si è fatto misero per noi: “Egli da ricco che era, si fece povero per arricchire noi con la sua povertà” (2Cor 8,9). Un grande stupore colpisce il nostro spirito, allorché consideriamo con quanto amore Dio ha voluto prendersi cura della creatura umana caduta nel peccato; egli infatti l’ha privilegiata a tal punto da sacrificare per l’uomo il suo Figlio unigenito, resosi in tutto simile a lui tranne che nel peccato. Egli, divenuto per noi infimo nella sua passione e nella morte, ci insegna che proprio quello che ai nostri occhi può apparire un non-valore, diviene invece, nella luce della croce, il massimo dei valori. Cristo, fattosi povero per arricchirci col dono di sé ci invita ad accogliere la lezione grande e urgente a vincere il nostro orgoglio e a chinarci - come lui - sui fratelli maggiormente umiliati; in particolare su coloro che sono tentati dalla disperazione, su coloro per i quali non c’è umana speranza, su coloro che i comuni meccanismi di difesa, dettati dall’egoismo, dalla ripugnanza, dalla paura o da altre ragioni sociali, tendono a escludere da qualsiasi rapporto umano.
“Gli vennero incontro dei lebbrosi” (Lc 17,12). In un altro passo del Vangelo è detto che Gesù, toccò” (Lc 5, 13) il lebbroso presentatosi a lui. Gesù si lascia dunque incontrare, egli si è fatto nostro prossimo per essere incontrato da noi proprio sulla soglia più tragica e pesante della sofferenza. Dalla croce egli ci insegna a cercare nel malato lo stesso suo volto, ad avvicinare chi soffre proprio là dove questi sperimenta la sua indigenza.
Quanti sono e dove sono oggi i lebbrosi? Si parla di cifre che oscillano tra gli undici e i venti milioni: sono persone, disperse, per la maggior parte, nelle regioni più povere del nostro pianeta. Si tratta spesso di un fenomeno che sfugge alle normali possibilità di controllo e di aiuto. Nonostante lo sforzo di anime generose, molti ammalati rimangono esclusi dalla comune assistenza e dalle cure, e quindi dalla guarigione, che oggi la scienza medica potrebbe offrire loro.
L’esempio di Cristo ci deve incoraggiare a persistere nell’impegno nei confronti di quelle situazioni sociali che risultano tuttora insensibili o impotenti di fronte al dramma della lebbra. Non ci si deve arrendere, se gli sforzi appaiono talvolta privi di risultato o se ci si trova di fronte ad ambienti nei quali il terrore del male ispira misure di difesa disumane, frutto di avversioni istintive e irrazionali verso il malato. Dobbiamo continuare ad operare perché proprio questi ambienti, che sembrano più refrattari, si aprano anch’essi alla speranza. Accogliamo il grido rivolto a Gesù dagli stessi lebbrosi: “Gesù, Maestro, abbi pietà di noi” (Lc 17,13).
Mi pare giusto ricordare a questo punto come la Chiesa sia stata sempre fedele alla sua missione di annunciare il gesto misericordioso di Cristo, di imitarlo e tradurlo in un concreto impegno di aiuto, di conforto, di fattiva assistenza.

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
***  Dio esalta i miseri, perché Cristo si è fatto misero per noi.
Nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Preghiamo con la Chiesa: Dio grande e misericordioso, allontana ogni ostacolo nel nostro cammino verso di te, perché, nella serenità del corpo e dello spirito, possiamo dedicarci liberamente al tuo servizio. Per il nostro Signore Gesù Cristo…