12 Novembre 2018

Lunedì XXXII Settimana T. O.

Oggi Gesù ci dice: “Risplendete come astri nel mondo, tenendo salda la parola di vita.” (Fil 2,15d.16a).  

Dal Vangelo secondo Luca 17,1-6: L’insegnamento di Gesù tocca alcuni problemi sempre in agguato nella vita del credente, e che possono mettere a rischio la coesione e la sopravvivenza della comunità. Innanzi tutto, lo scandalo: il comportamento di un discepolo può mettere in crisi la fede di un altro non abbastanza stabile e maturo, e quindi occorre mettere in campo la bella virtù della carità. La riconciliazione e il perdono sono altrettanto importanti mattoni atti a costruire la pacifica convivenza dei credenti: i fratelli non devono solo pensare a correggersi a vicenda, ma soprattutto devono imparare a perdonarsi sempre, vale a dire ricostruire a tutti i costi i legami fraterni spezzati o messi in crisi dalle tensioni all’interno della comunità cristiana. Però la ricomposizione della fraternità cristiana deve essere frutto di due disposizioni convergenti: la conversione del fratello che pecca e il perdono del fratello offeso. Aumenta la nostra fede: non si tratta di accrescere quantitativamente la fede, ma di renderla più genuina, più sincera. Infatti, basta un granello di fede vera per fare cose impossibili, come l’immagine paradossale dell’albero sradicato e piantato nel mare che traduce la forza della fiducia totale in Dio.

Lo scandalo - Corrado Ginami: Il sostantivo greco skàndalon indica in primo luogo il paletto della trappola per gli animali, mentre nella riflessione biblica acquista un significato prevalentemente teologico. Nell’Antico Testamento il termine (ebraico mikshol) presenta diversi significati ed è spesso usato come sinonimo di “tranello, impedimento, insidia”. Gli idoli dei pagani sono uno “scandalo per le anime degli uomini” (Sap 14,11) e JHWH de­finisce se stesso “laccio e pietra d’inciampo e scoglio che fa cadere per le due case d’Israele” (Is 8,14). La Legge di Dio è motivo di soddisfazione per chi la ricerca, mentre l’ipocrita trova in essa “motivo di scandalo” (Sir 32,15). Nel Nuovo Testamento è dato ampio rilievo al fatto che Gesù diventa occasione di “scandalo” per molti: per Giovanni Battista che si aspetta un Messia diverso (Mt 11,2-6), per i farisei che non riescono a comprendere la sua parola (Mt 15,12), per i discepoli che non accettano la sua passione (Mc 14,27). Lo scandalo provocato da Cristo ha la sua radice ultima nel progetto di Dio e nella sua morte di croce: quest’ultima ridicolizza ogni pretesa della sapienza del mondo ed esclude ogni presunzione da parte dell’uomo di essere soggetto della propria salvezza (1Cor 1,18-25).
Nel suo insegnamento Gesù condanna in modo particolarmente duro lo scandalo che viene dato ai piccoli, cioè a chi è umile e si affida con piena fiducia a Dio (Mc 9,42-48). In questa linea l’apostolo Paolo esorta i “forti” della comunità di Roma a non essere motivo di scandalo nei confronti dei “deboli” (Rm 14,13.21) e a guardarsi da coloro che provocano divisioni e scandali (Rm16,17).

È meglio per lui che gli venga messa al collo una macina da mulino e sia gettato nel mare Richard Gutzwileer (Meditazioni su Luca): L’immagine che Gesù usa è d’una forza straordinaria. Egli parla d’un uomo, la cui testa vien fatta entrare a forza nel foro d’una macina da mulino, e così viene gettato in mare. Egli è perduto senza speranza e sprofonda immediatamente con la pesante pietra. Ecco il castigo che Gesù sollecita per chi, dal punto di vista religioso morale, è di scandalo agli altri. Egli considera la corruzione di un uomo per opera d’un altro una cosa talmente perversa, che sarebbe meglio che il corruttore, prima che potesse corrompere, fosse trattato in quella maniera. Così lo scandalo, secondo il chiaro giudizio del Signore, è quel che di peggio ci possa essere, una perdita che nulla può controbilanciare, un danno che non si può misurare. Chi procura questo danno ad un altro, specialmente se questi è piccolo e debole, e perciò più esposto al pericolo, è l’essere più dannoso che esista. Contro costui Cristo mette in guardia, minacciandolo con parole terribilmente severe. Ci sono molti piccoli e deboli. A questa categoria appartengono i bambini, che sono particolarmente esposti alla tentazione; i fragili nella fede, che possono essere turbati e resi vacillanti; gli ignoranti, che si lasciano facilmente influenzare; i deboli di carattere, che cedono rapidamente; le masse che, non potendo pensare con la propria testa, vanno dietro agli altri; coloro che mancano di indipendenza e si lasciano menare e sedurre; i sentimentali, in cui l’umore trionfa sulla ragione; i passionali, in cui la tranquilla volontà è sommersa dalla passione; i sensuali, in cui la sensualità è più forte dello spirito. Tutti costoro si trovano in una situazione particolarmente pericolosa. Chi li corrompe, si rende più gravemente responsabile di chi ha che fare con personalità forti, indipendenti e capaci di discernimento. Esistono corruttori in piccolo, da uomo a uomo; ma ne esistono anche in grande: giornalisti e redattori di cattivi giornali, autori di romanzi sporchi, educatori e maestri, che abusano della loro posizione per strappare la fede dal cuore dei bambini; capi di nazioni, che in realtà sono dei distruttori; artisti, che abusano della loro arte per far propaganda al male; preti che invece di essere la salvezza sono la rovina degli altri; ricchi e superiori, che si servono della loro ricchezza e della loro potenza per esigere dagli uomini che dipendono da loro quello che non conviene; e così via. La parola di Cristo sulla macina da mulino attorno al collo dei corruttori dovrebbe essere di avvertimento a molti. Proprio perché ce ne sono tanti, Cristo l’ha formulata in maniera così drastica.

Se il tuo fratello commetterà una colpa - Benedetto Prete (I Quattro Vangeli): Se il tuo fratello pecca; alcuni manoscritti, seguiti dalla Volgata, aggiungono: «contro di te» (Volgata: si peccaverit in te frater tuus). Il caso non considera tanto l’offesa che può recare un fratello, cioè un discepolo o un seguace di Gesù, quanto l’atteggiamento che deve avere chi si sente offeso. Luca sembra che abbia presente il caso di un’offesa che turbi le relazioni tra due fratelli; Matteo invece pare che consideri una colpa più grave che offende la vita della comunità. Se egli si penteperdonagli; con il perdono generosamente accordato viene eliminato ogni pericolo o germe di odio e di divisione; con queste parole Luca fa forza su un’iniziativa dell’individuo. Nel testo parallelo di Matteo si parla di ricorso ai testimoni ed alla comunità; questo evangelista, trattando lo stesso soggetto con una mentalità giuridica, si richiama alla condotta della Chiesa ed afferma il potere di giudizio che questa ha sui ribelli e gli ostinati; tale potere, per i casi più gravi, sancisce anche l’esclusione totale dalla comunità dei credenti.
E se pecca contro di te sette volte...; secondo il passo parallelo di Matteo, queste parole pronunziate da Gesù costituiscono la risposta ad un quesito che Pietro gli aveva rivolto. Luca presenta differentemente il caso; egli infatti lo spoglia da ogni circostanza storica e lo propone come un principio universale. Sette volte: la cifra non va presa in senso matematico; essa indica semplicemente un numero elevato non determinabile; presso gli Ebrei il «sette» ha valore simbolico e serve ad indicare pienezza, totalità. I testi di Luca e di Matteo, nonostante la loro divergente formulazione, illustrano la stessa verità, poiché affermano che il perdono va accordato senza alcuna limitazione, né condizionamento da parte di chi è stato offeso.

Perdono (perdonare) - Eleonere Beck: La Bibbia usa diversi termini per perdono, i quali spesso sono tradotti in maniera diversa: annullare, allontanare, rimettere, coprire, velare, togliere, riconciliare, cancellare, pagare, estinguere.
a) Il problema del perdono si fa grave soltanto sullo sfondo della  colpa nella quale l’uomo incorre in rapporto agli altri, e con ciò stesso nei confronti di Dio. La colpa fa indissolubilmente parte dell’esistenza dell’uomo, nessuno può liberarsene da solo. La colpa distorce il rapporto dialogico fra gli uomini e il rapporto con Dio; il perdono lo ristabilisce.
b) L’Antico Testamento riserva il perdono a Dio (Es 34,9; Ger 5,1 ecc.); la sua misericordia è maggiore di ogni colpa, egli rinuncia al castigo, il suo perdono copre la colpa (Sal 32,1; 103,8-18). Egli perdona a chi si converte, e gli dona una vita nuova. I sacrifici possono ottenere la riconciliazione e conseguire il perdono per il peccatore.
c) Nel Nuovo Testamento il perdono non è più riservato solo a Dio. Gesù ha il potere sulla terra di rimettere i p. (Mc 2,5.10s ecc.). Egli frequenta pubblicani e peccatori (Mt 9,9-13 ecc.). Sulla croce egli implora perdono per coloro che lo perseguitano (Lc 23,34), dalla croce il suo perdono dei peccati vale per i giudei (At 13,38) e per i pagani (At 10,34 ecc.). Nella vita e nella morte di Gesù avviene la riconciliazione definitiva e insopprimibile (Mc 10,45).
d) Il potere di rimettere i peccati è conferito agli ti apostoli (Gv 20,23); presupposto del perdono è la conversione e la confessione del peccato (Lc 24,47; At 2,38 ecc.). Il perdono è reso possibile dal fatto che Gesù, soffrendo e morendo, ha ottenuto da Dio la riconciliazione. Senza spargimento di sangue non si dà riconciliazione (Eb 9,22). Noi otteniamo il perdono in Cristo (Ef 1,7), per mezzo del suo nome (At 10,43), mediante il battesimo (At 2,38).
e) Il perdono viene offerto a tutti gli uomini mediante l’annuncio delle azioni salvifiche di Dio. Coloro che personalmente hanno ottenuto il p. hanno il compito di trasmettere il messaggio (Gv 21,15-17; lTm 1,12-16) a tutti gli uomini (Lc 24,47). A loro s’impone anche di perdonarsi vicendevolmente, così come essi ricevono perdono (Mt 18,21; Ef 4,32; Col 3,12ss; ecc.). L’uomo che si rifiuta di perdonare non può ottenere il perdono da Dio (Mt 6,12.14-15; 18,23ss).

La forza della fede - Angelico Poppi (I Quattro Vangeli): Mentre nei due brani precedenti Gesù si rivolgeva «ai suoi discepoli» (v. 1), ora gli interlocutori sono gli apostoli; quindi si tratta di una parola del Signore valida anche per la comunità. Essi manifestano la loro perplessità per la radicalità dell’insegnamento proposto dal Signore (Kyrios postpasquale). E tanto difficile concedere il perdono in modo illimitato come esige Gesù, e perciò gli domandano di aumentare la loro fede. Solo con una fede forte e autentica è possibile adeguarsi alle esigenze del vangelo. La fede è un dono di Dio, che si può ottenere solo con la preghiera. Nella sua risposta Gesù non si riferisce alla quantità della fede, ma alla sua autenticità. Qualche esegeta considera il brano di Lc 17,5-10 unitario. Gesù risponde agli apostoli con un ragionamento a fortiori: se con la vostra poca fede potete ottenere un risultato straordinario (v. 6), tanto più potrete adempiere il vostro incarico da semplici servi, paghi e felici soltanto di agire sotto lo sguardo benevolo del Padre celeste, che non attende altro dagli esseri umani, se non di essere lodato nel loro servizio umile, riconoscente e filiale. Matteo riporta il logion del v. 6 in due con­testi con sfumature diverse (17,20; 21,21). Luca parla di una pianta di gelso (o di un sicomoro, secondo altri), Matteo ha «questo monte» (cf. Mc 11,23). Si tratta sempre di una frase paradossale, frequente nella letteratura rabbinica, per indicare la forza della fede genuina. 

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** Solo con una fede forte e autentica è possibile adeguarsi alle esigenze del vangelo
Nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Preghiamo con la Chiesa: Suscita nella Chiesa, o Padre, il tuo Santo Spirito, che mosse il vescovo san Giosafat a dare la vita per il suo popolo, perché, fortificati dallo stesso Spirito, non esitiamo a donare la nostra vita per i fratelli. Per il nostro Signore Gesù Cristo.