9 Ottobre 2018
Martedì XXVII Settimana T. O
Oggi Gesù ci dice: “Beati coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano.” (Lc 11,28 - Acclamazione al Vangelo).
Dal Vangelo secondo Luca 10,38-42: L’episodio di Marta e Maria, sorelle di Lazzaro, situato subito dopo la parabola del buon samaritano, serve soprattutto a far comprendere che, per entrare nel regno di Dio, non basta amare il proprio prossimo, è necessario l’ascolto della sua parola sull’esempio di Maria. In questo racconto vi è un eco della tensione che era scoppiata a Gerusalemme a motivo dell’assistenza ai fratelli bisognosi (At 6,1-6). Luca, nel racconto evangelico e nel Libro degli Atti degli Apostoli, vuole suggerire che l’impegno concreto dell’amore, di cui il servizio delle mense o l’accoglienza degli ospiti, con tutto ciò che implica, è un aspetto significativo, ma non deve essere esercitato a scapito dell’ascolto della parola del Maestro. Non va quindi cassato il rimprovero di Gesù mosso a Marta: Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c’è bisogno. Nel concreto della vita comunitaria il servizio della Parola ha un primato sull’impegno per il bene materiale del prossimo, a patto però che non si riduca a un puro rito, con il quale si pretende di soddisfare le richieste intimistiche della propria fede. Anche l’ascolto della parola di Dio, momento e luogo per comprendere la volontà di Dio, deve diventare una forma concreta di amore fraterno, anzi l’ambito privilegiato della formazione pratica all’amore.
Giovanni Paolo II (Omelia, 11 maggio 1991): “Maria si è scelta la parte migliore, che non le sarà tolta” (Lc 10,42). Quanti sforzi inutili, quante disillusioni, quante sconfitte per aver riposto la fiducia e il centro della vita al di fuori di Dio! È Lui la “parte migliore” ... Quanti giovani cercano disperatamente la felicità, senza accorgersi che l’unico che può saziare veramente il cuore umano è Dio. “Ci hai fatti per Te, Signore, - esclama Sant’Agostino - e il nostro cuore vivrà nell’inquietudine finché non riposerà in Te” (S. Augustini, Confessioni, I,1)! Questa è la grande verità che dà senso alla vita. Poiché veniamo dalle mani di Dio, solo in Dio la nostra anima troverà riposo e felicità. Cari giovani, nel cammino della vostra vita, non abbandonate la compagnia del Signore! Il mio desiderio più grande per ognuno di voi è che le strade della vostra gioventù si incontrino con Cristo, “il vero eroe, umile e saggio, il profeta della verità e dell’amore, il compagno e l’amico dei giovani” (Messaggio del Concilio Vaticano II, ai giovani), l’unico che può rendervi felici. Non abbandonatelo per adorare falsi idoli, impotenti e che nulla sanno delle vostre inquietudini. Gesù di Nazaret, e soltanto Lui, potrà colmare questa fame di infinito che alberga nei vostri cuori. Quando muovete serenamente i vostri passi accanto a Lui, il Suo sguardo di amore (cfr. Mc 10,21) si posa su di voi. Avete bisogno di questo Suo sguardo amoroso: è la più bella finestra che si apre sul Paradiso! Farete quindi l’esperienza di essere amati eternamente e sentirete ricominciare la vita: crescerete a “contatto” di Dio. Il mezzo per riuscirci è la preghiera. Imparate a pregare e pregate; aprite il vostro cuore e la vostra coscienza a Colui che vi conosce meglio di voi stessi. Parlate con Lui. Approfondite la parola di Dio, leggendo e meditando la Sacra Scrittura. Come Maria che, “sedutasi ai piedi di Gesù, ascoltava la Sua parola” (Lc 10,39).
La Sacra Scrittura nella vita della Chiesa - Catechismo della Chiesa Cattolica n 131: “Nella Parola di Dio è insita tanta efficacia e potenza da essere sostegno e vigore della Chiesa, e per i figli della Chiesa saldezza della fede, cibo dell’anima, sorgente pura e perenne della vita spirituale”. “È necessario che i fedeli abbiano largo accesso alla Sacra Scrittura”.
n. 132 “Lo studio della Sacra Scrittura sia dunque come l’anima della sacra teologia. Anche il ministero della Parola, cioè la predicazione pastorale, la catechesi e tutta l’istruzione cristiana, nella quale l’omelia liturgica deve avere un posto privilegiato, si nutre con profitto e santamente vigoreggia con la Parola della Scrittura”.
n. 133 La Chiesa “esorta con forza e insistenza tutti i fedeli... ad apprendere “la sublime scienza di Gesù Cristo” (Fil 3,8) con la frequente lettura delle divine Scritture. “L’ignoranza delle Scritture, infatti, è ignoranza di Cristo”.
Importanza della sacra Scrittura per la Chiesa - Dei Verbum n. 21: La Chiesa ha sempre venerato le divine Scritture come ha fatto per il Corpo stesso di Cristo, non mancando mai, soprattutto nella sacra liturgia, di nutrirsi del pane di vita dalla mensa sia della parola di Dio che del Corpo di Cristo, e di porgerlo ai fedeli. Insieme con la sacra Tradizione, ha sempre considerato e considera le divine Scritture come la regola suprema della propria fede; esse infatti, ispirate come sono da Dio e redatte una volta per sempre, comunicano immutabilmente la parola di Dio stesso e fanno risuonare nelle parole dei profeti e degli apostoli la voce dello Spirito Santo. È necessario dunque che la predicazione ecclesiastica, come la stessa religione cristiana, sia nutrita e regolata dalla sacra Scrittura. Nei libri sacri, infatti, il Padre che è nei cieli viene con molta amorevolezza incontro ai suoi figli ed entra in conversazione con essi; nella parola di Dio poi è insita tanta efficacia e potenza, da essere sostegno e vigore della Chiesa, e per i figli della Chiesa la forza della loro fede, il nutrimento dell’anima, la sorgente pura e perenne della vita spirituale. Perciò si deve riferire per eccellenza alla sacra Scrittura ciò che è stato detto: «viva ed efficace è la parola di Dio» (Eb 4,12), «che ha il potere di edificare e dare l’eredità con tutti i santificati» (At 20,32; cfr. 1 Ts 2,13).
Parola di Dio - Annemarie Ohler: La parola è oggi per i più soltanto uno strumento di comprensione, di denominazione della realtà. Per il tempo prescientifico, la parola era quella forza che dava forma e distinzione alle cose e che creava una nuova realtà (magia). La teologia veterotestamentaria ha conservato questo ricordo riguardo alla rivelazione di Dio e l’ha potenziato. Quando gli antichi racconti vogliono spiegare in che modo i patriarchi capostipiti abbiano fatto l’esperienza di Dio, usano quasi soltanto l’espressione: “Dio disse”. Nel fatto che soltanto la parola veicola l’incontro di Dio con l’uomo, si può vedere che Dio è fondamentalmente disponibile alla comunione con l’uomo; una parola, infatti, è significativa soltanto se è comunicazione per qualcuno. In ogni espressione è contenuto qualcosa di colui che parla. Quanto la grandezza di Dio sia presente nella sua parola viene dimostrato dal racconto del Sinai: Dio appare in fenomeni naturali imponenti, in segni che nel contempo lo nascondono. Egli si rivela al popolo soltanto nella sua parola; e da essa il popolo si sente così minacciato, che prega Mosè di fungere da mediatore. Il rispetto d’Israele verso la grandezza di Dio è testimoniato dal fatto che nell’Antico Testamento parola significa quasi sempre la parola trasmessa per mezzo dei profeti (93% delle occorrenze, secondo G. von Rad). Nella formula usuale: “La parola fu rivolta a...”, essa è intesa come evento storico nel quale, in maniera continuamente diversa, Dio è del tutto presente - è sempre detto infatti “la”, mai una” parola. Essa entra nel corpo e nella vita dei profeti permeandoli; essi l’annunciano per mezzo del loro matrimonio, del loro celibato, della loro estraneità tra amici ecc. (Os 1-3; Ger 16). Reca irresistibilmente sventura al popolo infedele (Am 1,2; Is 9,7; Ger 23,29), perfino gli avversari dei profeti temono la sua potenza (Am 7,10) poiché non appena è stata pronunciata inizia a produrre i suoi effetti. Poggiandosi su questa assoluta affidabilità della parola, che sovrasta ogni forza e redimerà il popolo (Is 40,8; 55,10s), il Deuteroisaia consola il popolo durante l’esilio. La storiografìa deuteronomistica mostra come la storia d’Israele sia guidata dalla potenza efficace della parola. Nelle catastrofi si adempie per es. la maledizione che ha accompagnato la proclamazione della Legge (Dt 28), nel mantenimento della dinastia davidica la promessa di Natan (2Sam 7). La teologia sacerdotale aggiunge la dottrina della creazione del mondo per mezzo della parola (Gen 1). La potenza di Dio e la sua signoria sul mondo si manifestano nella libertà sovrana dei suoi imperativi, la sua assoluta superiorità sul mondo nel fatto che soltanto la parola unisce il mondo a Dio. Ma è soprattutto l’uomo, al quale il creato è destinato, a provenire dalla parola.
Gesù Cristo Parola definitiva - Adolf Smitmans: Come nell’Antico Testamento, anche negli scritti neotestamentari la parola è la potenza che opera nella globalità: essa chiama sia Israele che il singolo nella sua storia particolare; essa sostiene la creazione. La novità sta nel fatto che la parola è stata pronunciata in maniera definitiva in Gesù Cristo. “Dio, che aveva già parlato nei tempi antichi molte volte e in diversi modi ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che ha costituito erede di tutte le cose... egli sostiene tutto con la potenza della sua parola” (Eb 1,1-3). Gesù è lui stesso la parola (Gv l,l-5.10s) che si è fatta carne (Gv 1,14) e si è così “espressa” all’uomo in maniera riconoscibile. In lui si riassume tutto il parlare di Dio che crea, promette, giudica, salva, porta a compimento, che è sempre anche azione (cf. l’arco che si stende fra Gv 1,1 e Ap 19,13). Egli adempie la parola veterotestamentaria (Lc 4,21), ma al tempo stesso la dimostra come superabile. “La legge fu data per mezzo di Mose, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo” (Gv 1,17). Per questo la legislazione veterotestamentaria può venir criticata (cf. Mt 5,17-48 e la disputa sul divorzio Mc 10,1-12) e l’attesa veterotestamentaria del messia non solo viene adempiuta, ma anche corretta grazie al cammino di Gesù verso la croce. Se in Gesù Cristo la parola è stata definitivamente pronunciata, essa va anche conservata e proclamata in maniera sempre nuova nella chiesa. In quanto servi di Dio gli apostoli annunciano la parola (At 4,29). Ma essi non annunciano una parola passata, che è stata trasmessa. È Dio stesso, infatti, che parla attraverso di loro e perciò la loro parola concede il suo perdono (2Cor 5,18-20). In questo senso l’annuncio apostolico è “parola ... non parola di uomini” (1Ts 2,13). Esso avviene grazie all’assistenza promessa alla chiesa per il tempo postpasquale (Gv 14,27). Come tuttavia 1’annuncio stesso viene dall’ascolto di Gesù Cristo (1Gv 1,1-5), esso porta frutto soltanto dove viene ascoltato e recepito (Mc 4,20).
La Bibbia viene chiamata parola perché l’annuncio in essa conservato è attuato dallo Spirito, ma anche perché il Dio vivente parla in essa. Perciò colui che l’ascolta può implorare la remissione della colpa. Al tempo stesso, però, la Bibbia è parola umana soggetta ai condizionamenti e alla limitazione del discorso umano. La chiesa antica ha visto il mistero di questo parlare di Dio nella parola umana come un tutt’uno con l’incarnazione del Figlio di Dio, paragonando la “parola nel libro” con la “Parola nella carne”. Come la professione di fede della chiesa è rimasta fedele, contro ogni docetismo, alla piena umanità di Gesù, così deve avvenire anche nei riguardi della Scrittura. Nella sua immagine del mondo e dell’uomo, nella sua comprensione della storia, nella sua concettualità, nei suoi generi letterari, nelle situazioni che affronta essa è legata al suo tempo. In tutto ciò, dunque, essa può venir superata ed è bisognosa di una traduzione nel nuovo. Nella “controversia sulla Bibbia”, al centro sta spesso solo apparentemente la conservazione della parola, in realtà ci sta l’accentuazione della sua forma umana. Che la Scrittura sia parola non è possibile dimostrarlo dall’esterno; si dischiude soltanto a colui che la legge e l’accoglie nella fede. Essa non toglie all’uomo la provvisorietà della sua esistenza, ma lo pone in cammino. Soltanto alla sua meta, quando la fede diventerà visione, si manifesterà la fedeltà di Dio alla sua parola che egli porterà a compimento (Ap 19,11.13).
Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** Io la vela, Dio il vento. Questa bella immagine, colta in un’intervista al filosofo Norberto Bobbio, dice l’esperienza che tutti facciamo avvicinandoci alla parola di Dio: ne sentiamo l’energia, percepiamo che è già andata avanti, e che la nostra vocazione è diventare “vela”, gente che accoglie il vento di Dio. (Ermes Ronchi)
Nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.
Preghiamo con la Chiesa: O Dio, fonte di ogni bene, che esaudisci le preghiere del tuo popolo al di là di ogni desiderio e di ogni merito, effondi su di noi la tua misericordia: perdona ciò che la coscienza teme e aggiungi ciò che la preghiera non osa sperare. Per il nostro Signore Gesù Cristo...