8 Ottobre 2018

Lunedì XXVII Settimana T. O

Oggi Gesù ci dice: “Vi do un comandamento nuovo, dice il Signore: come io ho amato voi, così anche voi amatevi gli uni gli altri.” (Gv 13,34). 

Dal Vangelo secondo Luca 10,25-37: Chi è mio prossimo?: Gesù risponde alla domanda del fariseo, invertendo però i termini del problema, chi è stato prossimo dell’uomo caduto nelle mani dei briganti? Allora la risposta di Gesù è chiara: tu devi farti prossimo, tu devi farti vicino, andando incontro agli uomini con l’atteggiamento di chi è pronto a dare e non a prendere, tu devi accogliere chiunque incontri sulla tua strada! Non chi dice Signore Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma chi fa la volontà del Padre! (Mt 7,27). Non il sacerdote, non il levita che temono di contaminarsi e non poter più svolgere il loro servizio al tempio. Quando la legge impedisce di soccorrere il prossimo non sarà più strumento di salvezza, ma di peccato. L’invito di Gesù al fariseo, che ha capito il senso della parabola, è chiaro e non ammette repliche: Va’ e anche tu fa’ così.

Parabola del buon samaritano - Angelico Poppi (I Quattro Vangeli): La parabola si riallaccia al comando dell’amore del prossimo. Non era facile stabilire nellambiente giudaico chi bisognava considerare «prossimo»: lo era certamente ogni membro d’Iraele, ma anche lo straniero che dimorava tra gli ebrei (Lv 19,34), più tardi pure il proselito pagano. L’ambito del precetto costituiva un problema controverso nelle scuole rabbiniche. Non sembra che nel giudaismo il concetto di prossimo abbia mai assunto un ‘estensione universale, tanto da abbracciare anche i nemici. «In nessun caso un giudeo doveva preoccuparsi di salvare un samari­tano» (Radermakers, p. 304). Nonostante l’alta religiosità degli esseni, nella regola della comunità di Qumran era prescritto l’amore soltanto verso «tutti i figli della luce», cioè verso i membri del movimento, e l’odio verso «tutti i figli delle tenebre», cioè verso lutti coloro che non appartenevano al loro gruppo (I Q 1,9-10; cf. pure II, pp. 24-25).
Gesù, più che insistere su questioni teoriche, preferisce portare un esempio concreto, per illustrare in che cosa consista il vero amore del prossimo. Il racconto è un esempio parabolico, che costituisce un vero gioiello del vangelo ed ha ispirato tante persone a prodigarsi per i bisognosi, al di sopra d’ogni discriminazione razziale o religiosa. Il contesto attuale, secondo numerosi esegeti, non è originario, in quanto la narrazione sarebbe stata unita alla pericope del comandamento dell’amore in uno stadio più tardivo della tradizione.

 «Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?» - Carlo Ghidelli (Luca): Gesù rispose: in quello che segue possiamo quasi cogliere una perfetta lezione di catechesi in bocca a Gesù: 1) per il principio dottrinale che enuncia (il primato dell’amore), 2) per le implicanze pratiche che suggerisce (non c’è amor di Dio senza le opere di misericordia), 3) per il metodo adottato: Gesù accetta la discussione e intreccia un dialogo con il suo interlocutore; gli fa intuire la felicità da raggiungere e gli facilita il modo di ottenerla; lo loda per l’esattezza delle risposte, lo sollecita a cercare nelle Scritture la risposta desiderata e lo incoraggia così a fare ciò che ha capito. Anche quando l’interlocutore riprende il dialogo Gesù non rifiuta di portare ulteriori delucidazioni e più approfondite spiegazioni. Infine, conforme alle regole didattiche dei rabbini suoi contemporanei, Gesù pone in bocca all’alunno la «morale della favola», o meglio la risposta definitiva al problema proposto. - Che cosa sta scritto ...: anche altrove (20,3) Gesù ama rispondere ad una domanda ponendone un’altra (in questo Lc si scosta da Mc e Mt). Così egli stimola il suo interlocutore a prendere posizione. - Che cosa vi leggi?: forse il significato del verbo è addirittura reciti, con riferimento alla recita quotidiana dello «Shema», la preghiera che esprime il credo giudaico.

Chi è mio prossimo - Xavier Léon-Dufour: Il termine «prossimo», che rende con molta esattezza il termine greco plesion, corrisponde imperfettamente al termine ebraico rea’ che gli è soggiacente. Non dev’essere confuso con il termine «fratello», quantunque sovente vi corrisponda. Etimologicamente esprime l’idea di associarsi con uno, di entrare nella sua compagnia. Al contrario del fratello, al quale si è legati per relazione naturale, il prossimo non appartiene alla casa paterna; se il mio fratello è un altro me stesso, il mio prossimo è diverso da me, un estraneo che per me può rimanere «un altro», ma che può anche diventare un fratello.
Un legame può crearsi in tal modo fra due esseri, sia in modo passeggero (Lev 19,13.16.18), sia in modo duraturo e personale, in virtù dell’amicizia (Deut 13,7) o dell’amore (Ger 3,1.20; Cant 1,9.15) o della dimestichezza (Giob 30,29).
Nei codici antichi non si faceva questione di «fratelli» ma di «altri» (ad es. Es 20,16s): nonostante questa apertura virtuale sull’universalismo, l’orizzonte della legge non andò oltre il popolo di Israele. In seguito, con la loro coscienza più viva della elezione, il Deuteronomio e la legge di santità confondono «gli altri» e «fratello» (Lev 19,16s), intendono con ciò i soli Israeliti (17, 3). Non è un restringimento dell’amore del «prossimo» all’amore dei soli «fratelli»; al contrario, questi testi si sforzano di estendere il comandamento dell’amore assimilando all’Israelita lo straniero residente (17,8.10.13; 19,34).
Dopo l’esilio si fa luce una duplice tendenza. Da una parte, il dovere di amare non concerne più che l’Israelita od il proselito circonciso: la cerchia dei «prossimi» si restringe. Ma dall’altra parte, quando i Settanta rendono l’ebraico rea’ con il greco plesion, separano «gli altri» da «fratello». Il prossimo che bisogna amare sono gli altri, siano o no un fratello. Non appena due uomini si incontrano, sono l’uno per l’altro il «prossimo», indipendentemente dalle loro relazioni di parentela o da quel che pensano l’uno dell’altro.
Nuovo Testamento: Quando lo scriba domandava a Gesù: «Chi è il mio prossimo?» (Lc 10,29), è probabile che assimilasse ancora questo prossimo al suo «fratello», membro del popolo di Israele. Gesù trasformerà definitivamente la nozione di prossimo. Innanzitutto consacra il comandamento dell’amore: «Amerai il prossimo come te stesso». Non soltanto concentra in esso gli altri comandamenti, ma lo collega indissolubilmente al comandamento dell’amore di Dio (Mt 22,34-40 par.). Sull’esempio di Gesù, Paolo dichiara solennemente che questo comandamento «racchiude tutta la legge» (Gal 5, 14), è la «somma» degli altri (Rom 13,8ss), e Giacomo lo qualifica come «legge regale» (Giac 2,8).
In seguito, Gesù universalizza questo comandamento: si devono amare i propri avversari, non soltanto i propri amici (Mt 5,43-48); ciò suppone che sia stata abbattuta nel proprio cuore ogni barriera, cosicché l’amore può estendersi allo stesso nemico. Infine, nella parabola del buon Samaritano, Gesù scende alle applicazioni pratiche (Lc 10,29-37). Non spetta a me decidere chi è il mio prossimo. L’uomo in difficoltà, quand’anche mio nemico, mi invita a diventare suo prossimo. L’amore universale conserva così un carattere concreto: si manifesterà nei confronti di ogni uomo che Dio pone sulla mia strada.

Invece un Samaritano, che era in viaggio... - Christa Breuer - Gesù riprende l’interrogativo “chi è il mio prossimo?” nel racconto del buon samaritano (Lc 10,30-37) servendosi di un esemplare caso singolo. Per gli uditori di Gesù era offensivo che a un samaritano fosse riservato il ruolo di una persona misericordiosa. I giudei, infatti, consideravano eretici i samaritani e nutrivano per essi un odio profondo. L’amore del prossimo, dice Gesù, non è limitato a chi fa parte del proprio popolo e condivide la stessa religione, ma deve essere l’atteggiamento col quale ogni uomo deve rapportarsi all’altro. Metro dell’amore del prossimo è unicamente ciò di cui il prossimo ha bisogno. Gesù unisce il comandamento dell’amore di Dio e dell’amore del prossimo collegando i passi (Dt 6,5 e Lv 19,18) che nell’Antico Testamento sono separati (Mc 12,29-32). L’amore di Dio si dimostra nell’amore del prossimo. Amore di Dio e amore del prossimo sono la sintesi della Legge e più importanti, per esempio, del comandamento del sabato (Mc 3,1-7). Nel giudizio finale Dio giudicherà soltanto secondo il metro dell’amore del prossimo (Mt 25,35-46). Per Paolo l’amore del prossimo è l’adempimento della Legge, il primo frutto dello Spirito; la fede diventa efficace unicamente nell’amore (Gal 5,6.14.22). Giacomo lo chiama il comandamento regale (2,8). Anche per 1Giovanni il metro dell’essere-cristiano va ricercato nell’amore verso il fratello; soltanto la sua realizzazione nella comunità è dimostrazione dell’amore verso Dio (2,9 ecc.). L’amore del prossimo era una forma di vita interiore e un distintivo visibile delle prime comunità (At 4,32); ma rimase al tempo stesso, come spesso mostrano le lettere del Nuovo Testamento, l’impegno permanente del cristiano.

Gesù il buon samaritano - Richard Gutzwiller (Meditazioni su Luca): Il samaritano è simbolo dello stesso Gesù. Sempre simbolicamente potremmo dire che egli non ha abbandonato al suo destino l’umanità mezzo morta, ma si è messo in cammino, venendo dal cielo sulla terra, si è piegato sull’umanità ferita, ha versato l’olio e il vino dei Sacramenti sulle ferite del peccato, ha condotto l’umanità nella Chiesa - albergo sulla strada dei secoli - affidandole la cura dell’umanità convalescente; ha sborsato il prezzo - il suo sangue - ed ha promesso, al suo ritorno all’ultimo giorno, alla parusia, di pagare per tutto ciò che farà arrivare l’umanità pienamente guarita al termine del cammino.

Don Franco Brambilla - La parabola si chiude con l’avvertimento: «Va’, e anche tu fa’ lo stesso». Va’: di nuovo si parla di strada. L’uomo sa ora di quale strada si tratta, con quale spirito deve camminare su questa strada, cosa incontrerà per via e quali sono i suoi compiti di viandante.
Così questa prima scena indica realmente una strada.
«“Chi di questi tre ti sembra sia stato il prossimo di colui che è incappato nei briganti?”. Quegli rispose: “Chi ha avuto compassione di lui”. Gesù gli disse: “Va’ e anche tu fa’ lo stesso”. Gesù conferma la risposta dello scriba invitandolo a fare altrettanto. La carità è missione, è invio, è diretta presa in carico, è ritrascrizione nel vissuto della storia della intuizione di Gesù. Chiede tempo, vuole disponibilità totale, spinge a lavorare ad un progetto comune, ad entrare in una storia, in un stabilità di vita. La carità invoca continuità: diversamente è difficile allontanare il sospetto che i nostri impegni sono esclusivamente legati alla gratificazione. La gratificazione in sé non è una brutta cosa ma esige di crescere, di fondersi con il progetto di altri, di costruire una storia comune. I tempi della carità conoscono anche la noia, il fallimento, il conflitto, la perdita di tempo e persino l’insuccesso. I tempi della carità hanno la stessa qualità dei tempi della vita, anzi dei tempi di una vocazione e di una vocazione comune. Se uno non ha mai almeno sognato il proprio impegno dentro una vocazione, difficilmente può essere garantito circa l’autenticità della sua carità. La carità quindi ha bisogno di figure, di modelli, di rapporti stabili, di comunità fraterne. La carità dei primi cristiani è il paradigma della carità che può e deve cambiare il mondo, stimolandoci continuamente a non cullarci nei risultati raggiunti ma ad ascoltare la voce dei tempi..

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
***  La carità dei primi cristiani è il paradigma della carità che può e deve cambiare il mondo, stimolandoci continuamente a non cullarci nei risultati raggiunti ma ad ascoltare la voce dei tempi.
Nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Preghiamo con la Chiesa: O Dio, fonte di ogni bene, che esaudisci le preghiere del tuo popolo al di là di ogni desiderio e di ogni merito, effondi su di noi la tua misericordia: perdona ciò che la coscienza teme e aggiungi ciò che la preghiera non osa sperare. Per il nostro Signore Gesù Cristo...