5 Ottobre 2018
Venerdì XXVI Settimana T. O
Oggi Gesù ci dice: “Chi disprezza me disprezza colui che mi ha mandato.” (Vangelo).
Dal Vangelo secondo Luca 10,13-16: Guai a te, Corazìn, guai a te, Betsàida!..., il rimprovero di Gesù vuole essere l’ultimo accorato appello al cambiamento e alla conversione. A questo tendono, infatti, gli insegnamenti, i gesti di Gesù e i miracoli da lui compiuti nelle città impenitenti. Ora si offre agli abitanti delle città ricordate da Luca l’ultima possibilità salvifica, però con un’autorità e urgenza che superano di molto quella degli antichi profeti, come Isaia ed Ezechiele, che chiamarono a conversione le città pagane di Tiro e Sidone.
Benedetto Prete (I Quattro Vangeli): Guai a te, Corozein! Luca inserisce nel presente passo le minacce rivolte a tre città della Galilea (Corozein, Bethsaida e Cafarnao); queste invettive sono richiamate all’evangelista dalla dura condanna pronunziata contro la città che si è rifiutata di accogliere i missionari inviati da Gesù. Il passo appare come un corpo estraneo al contesto, perché contiene la condanna comminata contro città evangelizzate dal Maestro, non già contro quelle visitate dai suoi messi. I presenti versetti sono paralleli a quelli ricordati da Matteo,11, 21-24; in ambedue i testi si osserva lo stesso ordine delle invettive, come pure la stessa inquadratura, anche se Matteo pone alla fine delle invettive(Mt., 11,24) l’accenno al trattamento di Sodoma nel giorno del giudizio, accenno che nel vangelo lucano è posto all’inizio di esse (cf vers. 12). Il fatto prova che i due evangelisti hanno attinto dalla stessa fonte informativa. E tu Cafarnao...; a questa città che sorgeva sulla sponda del lago è rivolta una acerba invettiva, perché Gesù l’aveva scelta come «sua città» (Mt., 9,1) all’inizio della vita pubblica; essa viene ricordata perché, pur avendo ricevuto questo trattamento di privilegio, non vi ha corrisposto affatto; la città sorda ed ingrata, invece di essere esaltata, verrà profondamente umiliata nel giorno del giudizio con un castigo duro e pesante [...].
Chi ascolta voi, ascolta me...; anche in Matteo questo detto chiude il discorso missionario (cf. Mt.,10,40). L’affermazione non intende illustrare l’ordine secondo il quale si attua, per così dire, l’investitura missionaria (il Padre invia il Figlio, il quale a sua volta manda i discepoli), essa invece ha lo scopo di accentuare la condanna riservata nel giudizio a tutti coloro che rigettano gli inviati di Cristo.
Carlo Ghidelli (Luca): Sodoma ... Corazin ... Betsàida ... Tiro e Sidone ... Cafarnao: qui vengono indicati in primo luogo i riflessi escatologici di un rifiuto così radicale. Non si tratta però di una maledizione, ma piuttosto di un lamento profetico di Gesù, che forse lascia trapelare un ultimo invito alla penitenza (cfr 6,24-26). In effetti, le città qui menzionate non sono solo quelle che visiteranno i discepoli, ma anche quelle che Gesù stesso ha visitato. Gesù dunque riconosce che i suoi miracoli non hanno ottenuto la conversione dei suoi uditori (cfr 16,31) di Corazin (non si sa nulla di un ministero di Gesù in questa città), di Betsàida, e di Cafarnao (che Gesù aveva scelto fin dall’inizio come la sua città: Mt 9,1). La loro incredulità e il loro rifiuto alla penitenza le rendono ancora più colpevoli delle città pagane di Tiro e Sidone (contro di esse cfr le invettive di Is 23; Ger 25,22; Ez 26-28). L’ipotesi del v. 13 ci lascia intuire l’idea che sono più sensibili all’invito evangelico i popoli pagani che non i giudei: il che farebbe scatenare la gelosia del popolo giudaico. Eppure questo il giudizio, duro ma sicuro, di Gesù che Lc condivide in pieno e che Paolo porrà alla base delle sue decisioni personali e delle sue invettive apostoliche (cfr At 13,46-48; 1Ts 2,15s; Rm 2). A Cafarnao viene lanciata la minaccia più grave (per la quale cfr Is 14,13-15 dove il profeta la usa per il re di Babilonia): avendo ricevuto di più e grave e avendo corrisposto di meno essa si merita il più grave dei castighi.
Guai a te, Corazin, guai a te, Betsàida...: Giovanni Paolo II (Udienza Generale, 8 giugno 1988): Colui che è il “testimone fedele” (Ap 1,5) della verità divina, della verità del Padre, dice fin dall’inizio del discorso della montagna: “Chi dunque trasgredirà uno solo di questi precetti, anche minimi, e insegnerà agli uomini a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel Regno dei cieli” (Mt 5,19). E nell’esortare alla conversione, non esita a rimproverare le stesse città dove la gente rifiuta di credere: “Guai a te, Corazin, guai a te, Betsaida!” (Lc 10,13), mentre ammonisce tutti e ciascuno: “... se non vi convertirete, perirete” (Lc 13,3). Così il Vangelo della mitezza e dell’umiltà va di pari passo con il Vangelo delle esigenze morali, e persino delle severe minacce a coloro che non vogliono convertirsi. Non vi è contraddizione tra l’uno e l’altro. Gesù vive della verità che annunzia e dell’amore che rivela, e questo è un amore esigente come la verità da cui promana. Del resto l’amore ha posto le più grandi esigenze a Gesù stesso nell’ora del Getsemani, nell’ora del Calvario, nell’ora della croce. Gesù ha accettato e assecondato queste esigenze fino in fondo, perché, come ci avverte l’evangelista, egli “amò sino alla fine” (Gv 13,1). Si trattava di un amore fedele, per il quale il giorno prima di morire egli poteva dire al Padre: “Le parole che hai dato a me io le ho date a loro” (Gv 17,8).
Javer Pikaza (Commento della Bibbia Liturgica): La condanna di Corazin, Betsaida e Cafarnao dev’essere intesa a tre livelli diversi. a) Pare che, al fondo, di tutto, si trovi un’esperienza tragica di Gesù: egli divulga in Israele il suo grande messaggio di speranza, e tuttavia scopre che i suoi lo abbandonano. È probabile che lo stesso Gesù abbia presentito la condanna del suo popolo; le vecchie città gentili che furono un simbolo di corruzione e di condanna - Tiro, Sidone e Ninive - avranno un giudizio meno severo che il popolo d’Israele, gli eletti. b) Tutto ci permette di supporre che questa esperienza continui nel tempo della Chiesa: il vangelo va superando le barriere fra i popoli e giunge ai gentili; ma le città di Galilea che udirono la voce di Gesù e furono la culla dei suoi primi discepoli, vanno restando sole, chiuse in un giudaismo anticristiano e intollerante. c) Questo testo, infine, è divenuto il simbolo della tragedia di tutto il popolo d’Israele e di quegli uomini che, ritenendo eletti, rigettano la speranza della salvezza che sta arrivando.
Alla luce di questa esperienza si comprende il vero rischio della missione cristiana. Ogni missione affronta gli uomini con la luce di Dio e li pone di fronte all’esigenza definitiva della salvezza o della condanna. Perciò, di fronte al giudizio, è più benigna la sorte di quelli che non hanno ascoltato la parola che non quella di coloro che dopo averla ascoltata, l’hanno rigettata. Questa prospettiva ci può offrire la tentazione di permettere che tutto vada come prima, senza mettere il mondo nel pericolo d’una condanna. Il vangelo ci assicura però che vale la pena correre questo rischio. La luce è fatta per illuminare; il bene è fatto per espandersi; perciò il missionario è obbligato a illuminare con la verità di Cristo.
Di fronte al rischio degli uomini che possono accettare o rigettare la verità del vangelo, la parola di Gesù è risuonata cristallinamente chiara: «Chi ascolta voi, ascolta me, e chi disprezza voi, disprezza me» (10,16). Gesù
manda i suoi; ha affidato loro un tesoro e vuole che lo facciano conoscere a tutti i popoli della terra.
Fino agli inferi precipiterai! - H. Bietenhard: In base al NT l’inferno è considerato luogo di punizione solo dopo il giudizio universale. Però sotto l’influsso di concezioni extrabibliche subentrò, nell’insegnamento cristiano, la metafisica dell’eternità al posto dell’escatologia: il luogo di punizione futura si trasformò in luogo di punizione dell’aldilà; l’anima immortale è sottoposta al giudizio subito dopo la morte e, se trovata colpevole, sottoposta alla punizione. Questo luogo di castigo nell’aldilà venne descritto in modo fantastico, con l’aiuto di concezioni extrabibliche. Per il periodo che seguì, ebbe molta importanza, per es., l’apocalisse di Pietro (2 sec. d.C.) che esercitò il suo influsso anche sulla «Divina Commedia» di Dante. Questo tema ha sempre eccitato in modo vivace la pietà e la fantasia popolare. Soprattutto il fuoco dell’inferno ha avuto una grande attrazione (nelle saghe delle alpi svizzere incontriamo invece l’idea che l’inferno o il purgatorio siano un ghiacciaio, il ghiacciaio Aletsh!, ove le « povere anime » devono sopportare la loro punizione). I predicatori si servivano di queste immagini per suscitare nei loro uditori la paura dell’inferno, e spingerli alla conversione (cf. anche gli esercizi spirituali di Ignazio di Loyola). La predicazione dovrebbe impegnarsi a ripulire da tutte le escrescenze tradizionali il contenuto dei concetti biblici e far capire che nella bibbia « regno dei morti » e inferno sono due cose diverse. Per molti sarebbe utile sapere che le sadiche e fantastiche e spesso ridicole descrizioni delle pene dell’inferno non hanno alcun aggancio con il NT. L’opposizione al discorso «popolare» sull’inferno è molto più profonda. Molti cristiani considerano urtante questo discorso e non sono in grado di conciliarlo con il messaggio di un Dio benigno e buono, manifestatosi in Gesù Cristo. Per essi il discorso delle pene eterne dell’inferno contrasta con il messaggio di Dio che è amore. Ma allora, per poter trasmettere il messaggio dell’amore di Dio è forse necessario eliminare dalla predicazione il discorso sull’inferno, come non cristiano, oppure come poco cristiano? Chi pensa in questo modo, abbia ben chiaro che il messaggio dell’amore di Dio non significa un impoverimento di Dio né può diventare tale: Dio è e resta un Dio santo. Anche nel messaggio di Gesù incontriamo una chiarezza estrema: si tratta della salvezza temporale ed eterna. Accogliere o rifiutare il messaggio di Gesù ha conseguenze temporali ed eterne, conduce alla gioia del regno di Dio oppure allontana da essa. La meta della vita può acquistare o perdere il suo ultimo, profondo significato. Gesù descrive l’estrema serietà di questa decisione parlando di «tenebre che ci sono fuori e ove ci saranno gemiti e stridore di denti» (Mt 8,12). In questo detto non c’è la parola inferno e neppure la descrizione di tormenti. Il terribile sta nella definitiva esclusione dalla salvezza e dalla comunità con Dio e con Cristo: questo è l’inferno
L’inferno - Catechismo della Chiesa Cattolica: n. 1034 Gesù parla ripetutamente della “Geenna”, del “fuoco inestinguibile”, che è riservato a chi sino alla fine della vita rifiuta di credere e di convertirsi, e dove possono perire sia l’anima che il corpo. Gesù annunzia con parole severe che egli “manderà i suoi angeli, i quali raccoglieranno ... tutti gli operatori di iniquità e li getteranno nella fornace ardente” (Mt 13,41-42), e che pronunzierà la condanna: “Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno!” (Mt 25,41).
n. 1035 La Chiesa nel suo insegnamento afferma l’esistenza dell’inferno e la sua eternità. Le anime di coloro che muoiono in stato di peccato mortale, dopo la morte discendono immediatamente negli inferi, dove subiscono le pene dell’inferno, “il fuoco eterno” . La pena principale dell’inferno consiste nella separazione eterna da Dio, nel quale soltanto l’uomo può avere la vita e la felicità per le quali è stato creato e alle quali aspira.
n. 1036 Le affermazioni della Sacra Scrittura e gli insegnamenti della Chiesa riguardanti l’inferno sono un appello alla responsabilità con la quale l’uomo deve usare la propria libertà in vista del proprio destino eterno. Costituiscono nello stesso tempo un pressante appello alla conversione: “Entrate per la porta stretta, perché larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione, e molti sono quelli che entrano per essa; quanto stretta invece è la porta e angusta la via che conduce alla Vita, e quanto pochi sono quelli che la trovano!” (Mt 7,13-14).
“Siccome non conosciamo né il giorno né l’ora, bisogna, come ci avvisa il Signore, che vegliamo assiduamente, affinché, finito l’unico corso della nostra vita terrena, meritiamo con lui di entrare al banchetto nuziale ed essere annoverati tra i beati, né ci si comandi, come a servi cattivi e pigri, di andare al fuoco eterno, nelle tenebre esteriori dove “ci sarà pianto e stridore di denti”.
n. 1037 Dio non predestina nessuno ad andare all’inferno; questo è la conseguenza di una avversione volontaria a Dio (un peccato mortale), in cui si persiste sino alla fine. Nella liturgia eucaristica e nelle preghiere quotidiane dei fedeli, la Chiesa implora la misericordia di Dio, il quale non vuole “che alcuno perisca, ma che tutti abbiano modo di pentirsi” (2Pt 3,9): “Accetta con benevolenza, o Signore, l’offerta che ti presentiamo noi tuoi ministri e tutta la tua famiglia: disponi nella tua pace i nostri giorni, salvaci dalla dannazione eterna, e accoglici nel gregge degli eletti.”.
Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** Dio non predestina nessuno ad andare all’inferno; questo è la conseguenza di una avversione volontaria a Dio (un peccato mortale), in cui si persiste sino alla fine.
Nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.
Preghiamo con la Chiesa: O Dio, che riveli la tua onnipotenza soprattutto con la misericordia e il perdono, continua a effondere su di noi la tua grazia, perché, camminando verso i beni da te promessi, diventiamo partecipi della felicità eterna. Per il nostro Signore Gesù Cristo...