6 Ottobre 2018
Sabato XXVI Settimana T. O
Oggi Gesù ci dice: “Rallegratevi perché i vostri nomi sono scritti nei cieli.” (Vangelo).
Dal Vangelo secondo Luca 10,17-24: In quel tempo, i settantadue tornarono pieni di gioia... In quella stessa ora Gesù esultò di gioia nello Spirito Santo...: Nell’Antico Testamento si esprime con tutta semplicità la gioia che viene dai beni terreni (salute, figli, cibo, pace sociale…), ma c’è anche la consapevolezza che i piaceri di questo mondo sono effimeri: dopo il riso viene il pianto (Pr 14,13). È Dio che dona la gioia. La sua parola, la sua legge, il timore di lui è fonte di gioia (Sir 1,12). Da lui verrà la gioia finale e definitiva degli ultimi tempi (Is 66,10.14). Nel Nuovo Testamento l’intero messaggio di Gesù è chiamato lieta novella. Il Vangelo di Luca è un canto alla gioia: è annunciata dagli Angeli ai pastori (Lc 2,10), gioia nel ritrovare la pecora smarrita (Lc 15,5), gioia in cielo e in terra per un peccatore che si converte (Lc 15,7.10), gioia nell’accogliere la Parola (Lc 8,13; 19,6), gioia nel vedere i prodigi compiuti da Gesù (Lc 19,37), gioia nel vedere il Risorto (Lc 24,41.52)... La gioia è un dono di Dio, che salva l’uomo. E perché la misura sia pigiata, colma, traboccante (Lc 6,38) alla gioia si assomma la beatitudine: Beati gli occhi che vedono ciò che voi vedete. Nella pienezza del tempo tutto è gioia, dolce anche il patire per Cristo, con la Chiesa per gli uomini (Col 1,24), la gioia evangelica è un “ostinato malgrado tutto” (Karl Barth).
Rinaldo Fabris (Il Vangelo di Luca): Subito dopo il ritorno dei settantadue discepoli dal missione, Luca riporta una breve parentesi contemplativa: una preghiera di Gesù e un’esclamazione di beatitudine rivolta ai discepoli. L’evangelista richiama volutamente l’attenzione del lettore su questa connessone tra i due avvenimenti: «In quello stesso momento...». La preghiera di Gesù, come tutta la sua attività avviene sotto l’impulso dello Spirito santo. È una piccola, commossa esplosione di riconoscenza al Padre per realizzazione del suo progetto salvifico. Un progetto ha la sua radice nella libera e sovrana iniziativa divina. Proprio per questo i destinatari della rivelazione salvifica sono i «piccoli», cioè coloro che sono completamente disponibili e aperti al nuovo e all’imprevedibile. Essi vengono contrapposti ai dotti e agli scaltri o intelligenti, ai quali rimane nascosto e incomprensibile il progetto di Dio.
Per dare alla parola di Gesù tutto il suo spessore significato storico, si devono collocare le due categorie, piccoli e i dotti, nell’ambito della tradizione biblica i nell’ambiente culturale di Gesù. I piccoli sono gli ignoranti, privi di cultura religiosa, la quale, in un ambiente teocratico come quello giudaico, è anche la carta di identità per il riconoscimento e il ruolo sociale e religioso. In altre parole i piccoli sono i poveri, gli esclusi dalla cultura salvifica della legge. Al maestro contemporaneo di Gesù, Hillel, viene attribuito questo detto «Un ignorante non evita il peccato, e un analfabeta (letteralmente uomo della terra) non può essere pio» (Abot II,5). Il Talmud ricorda quest’altra sentenza: «Non vi è altro povero se non colui che è povero di sapere» (Nedarim 41a). A questi sono contrapposti i dotti, che, nell’ambiente di Gesù, sono quelli che possiedono la cultura sacra, cioè la conoscenza della legge religiosa morale e che in pratica si identificano con coloro che il vangelo chiama «scribi» e dottori della legge. È istruttiva al riguardo ha sentenza del maestro Hillel: «Molta legge, molta vita; molta sapienza, molti discepoli; molto consiglio, molta intelligenza» (Abot II,7).
Vedevo Satana cadere dal cielo come una folgore - H. Bietenhard - La sede del diavolo non è l’inferno; difatti, come nell’Antico Testamento, egli ha accesso a Dio per accusare gli uomini (Lc 22,31 Gv 12,31; 16,11). Per questo Gesù prega per la fede del suo discepolo e insegna ai suoi di pregare per essere liberati dal male (Mt 6, 13).
Secondo Lc 10,18 Gesù ha contemplato la caduta di satana (l’accusatore in cielo!) (cf. Gv 12,31). Ap 12,5.7-12 collega la caduta di satana con la venuta di Gesù; al v. 9 diàbolos e satanàs sono usati uno accanto all’altro come termini equivalenti per importanza e per significato, mentre al v. 8 lo stesso personaggio è presentato come ... drago, oppure ... serpente, e al v. 10 come ... accusatore. Questa concezione spezza la visione dualistica di Qumran: Gesù ha vinto e disarmato il demonio e gli può sottrarre la sua preda, cioè guarire gli indemoniati (Mt 12,27-29).
Anche dopo la caduta dal cielo, non è tolta a satana la possibilità di agire: Pietro si merita la qualifica di «satana», perché tenta di distogliere Gesù dalla via dell’ubbidienza e della sofferenza (Mt 16,23 par.); si dice, perfino, che satana sia entrato in Giuda, quando questi si accinse al tradimento (Lc 22,3; Gv 13,27). La sua è l’ora delle tenebre (Lc 22,53; si osservi la terminologia dualistica). Certe volte satana può - non è detto che debba - nascondersi dietro la malattia (Lc 13,16; cf. 2Cor 12,7; At 10,38; diàbolos), Non solo nei confronti del singolo, ma anche della chiesa il diabolos è colui che tenta di vanificare la parola salvifica di Dio: nella parabola della zizzania, la presenza del «male» nella chiesa trova la sua spiegazione nell’operato del «nemico» (Mt 13,28.39). In questo modo Matteo si discosta implicitamente dalla soluzione del problema dato da Qumran, secondo cui i trasgressori della legge vengono eliminati dalla comunità di Dio prima del giudizio finale, per mezzo delle misure disciplinari comunitarie, così che rimanga solo una comunità di salvati pura e senza macchia; Matteo opta a favore di una “ecclesia mixta” e demanda la decisione ultima al giudice finale.
I discepoli - Richard Gutzwiller (Meditazioni su Luca): La loro grandezza [dei discepoli] è doppia. Anzitutto a causa del potere loro comunicato per il ministero che sono chiamati a compiere: «Signore, anche i demoni si sottomettono a noi nel nome tuo». Cristo lo conferma: «Io vedevo satana cadere dal cielo come la folgore. Ecco, io vi ho dato il potere di camminare sopra i serpenti e gli scorpioni e sopra ogni potenza del nemico; nulla vi potrà danneggiare». Il discepolo del Signore è sostenuto da Dio nel suo ministero. Se Dio non vuole, niente può recargli danno. Perciò nell’esercizio del suo ministero ha il diritto e il dovere di non aver paura. Non si tratta però di lui soltanto, ma anche e soprattutto degli uomini, che egli serve per amore di Cristo. Può strapparli al potere degli spiriti cattivi, perché egli ha potestà sui demoni. Il demoniaco è invisibile. Satana è una potenza spirituale. Perciò il potere dei discepoli del Signore non è qualcosa che salta agli occhi e quindi non fa impressione esteriormente. Ma i fatti decisivi avvengono dietro la cortina del visibile, sotto la superficie di ciò che gli uomini vedono. Colui che crede solo alla forza dei muscoli, alla potenza del denaro, alla sfera d’influenza della forza politica, della forza militare, della posizione sociale, resta alla superficie delle apparenze. L’azione della Chiesa va nell’alto e nel profondo. Solo nell’aldilà gli uomini vedranno quello che c’è di stupendo e di meraviglioso in questo potere dato da Dio.
Alla potenza del ministero si aggiunge la grandezza della scelta: «Rallegratevi piuttosto che i vostri nomi sono scritti nei cieli». Ciò di cui i discepoli del Signore devono sentire compiacimento, giusta fierezza e gioia interiore, non è la grandezza e la potenza del loro operare, ma il mistero della loro elezione. Non è l’uomo in ultima analisi che fissa il proprio destino. Glielo fissa un altro. Egli non può scegliere, ma è scelto. Gli è data una grazia che è libero dono di Dio. Ci si decide tra il tenebroso regno di satana e il regno della luce di Dio. Il prescelto è un figlio della luce. Così non solo la sua attività, ma anche la sua vita valica gli stretti limiti del terrestre. Il suo «nome è scritto nei cieli». Così, l’essere discepolo di Gesù, sia per il ministero affidato che per la cosa in se stessa, è d’una grandezza che stupisce.
Rallegratevi... esultò di gioia - Christa Breuer: L’Antico Testamento mette in risalto che il pio trova la sua gioia in Dio (cf. Sal 16,11), per amore della potenza e della gloria che Dio impegna per la salvezza di tutti (Sal 95-98). Anche i beni della creazione terrena sono oggetto di gioia (Dt 12,7). La gioia d’Israele è fondata nella sua elezione e nell’esser guidato da Dio (per es. Is 44,23) e nella consapevolezza del compimento dell’attesa del messia (Is 9,1-7 per es.). In tal modo la gioia religiosa d’Israele assume un’impronta escatologica. Si esprime nel giubilo escatologico (Dn 3,52-90) e trova la sua espressione immaginaria nel banchetto gioioso di tutti i popoli sul monte Sion (Is 25,6).
Giubilo fragoroso e gioia festosa riempivano le feste israelitiche che spesso erano accompagnate anche da banchetti, musica e danza. La gioia aveva un carattere dimostrativo; era la gioia per la potenza e l’aiuto di Dio, per la sua gloria e le sue opere (Sal 47,2 per es.). La gioia d’Israele doveva essere diversa dalla gioia orgiastica tipica del culto dei cananei (Os 9,1ss). Motivo di gioia c’era in ogni festa di JHWH, ma si esprimeva in modo particolare durante il pasto sacrificale (Dt 12,7), poiché questo non era soltanto motivo di gioia, ma anche appropriazione simbolica dei beni della salvezza. Le feste ricordavano al popolo il “giorno fatto dal Signore, perché si rallegrasse ed esultasse in esso” (Sal 118,24). Il Nuovo Testamento è caratterizzato in misura ancora maggiore dalla gioia: la gioia è legata alla persona di Cristo e alla salvezza in lui donata. Il messaggio di Gesù si chiama evangelo (Mc 1,1) e messaggio della gioia (Lc 2,10). La gioia è legata alla nascita del precursore (Lc 1,14). Maria gioisce della salvezza fattasi in lei manifesta (Lc 1,47). I magi gioiscono di aver trovato la stella (Mt 2,10). Giovanni Battista è pieno di gioia perché ha condotto la sposa a Cristo (Gv 3,20). Gesù gioisce per amore dei discepoli che sperimenteranno la risurrezione di Lazzaro (Gv 11,15). Nella parabola della pecorella smarrita, Gesù professa la sua gioia per il peccatore che si converte (Lc 15,5). Devono gioire coloro che sono perseguitati per amore della giustizia, poiché la loro ricompensa nei cieli è grande (Mt 5,12). La loro tristezza si trasformerà un giorno in gioia (Gv 16,20ss).
Beati gli occhi che vedono ciò che voi vedete - Angelico Poppi (I Quattro Vangeli): La beatitudine rivolta ai discepoli in quanto testimoni oculari delle gesta salvifiche di Gesù in Luca è espressa con l’uso della terza persona: «Beati gli occhi che guardano quello che (voi) guardate!» Matteo è indirizzata ai discepoli in seconda persona. Luca conferisce al logion una portata più universale, in riferimento a tutti i credenti nel tempo della chiesa avrebbero fatto la medesima esperienza del Cristo, manifestazione dell’amore del Padre. Gesù afferma che il mistero del regno operante in lui è stato concesso ai suoi discepoli, che perciò vanno considerati più fortunati dei profeti, che avevano preannunziato la venuta del Messia e dei re della stirpe di David, dalla quale doveva discendere. Matteo al posto di re ha giusti: estende l’attesa del Messia a tutte le persone pie dell’Antico Testamento. Dal logion traspira la gioia messianica e l’atmosfera di giubilo della chiesa primitiva (Ernst, 487). Nel libro degli Atti Luca approfondisce il senso di questo ottimismo ed entusiasmo gioioso nella vita della comunità cristiana delle origini.
Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** La gioia evangelica è un “ostinato malgrado tutto” (Karl Barth).
Nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.
Preghiamo con la Chiesa: O Dio, che riveli la tua onnipotenza soprattutto con la misericordia e il perdono, continua a effondere su di noi la tua grazia, perché, camminando verso i beni da te promessi, diventiamo partecipi della felicità eterna. Per il nostro Signore Gesù Cristo...