3 Ottobre 2018

Mercoledì XXVI Settimana T. O.

Oggi Gesù ci dice: “Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu invece va’ e annuncia il regno di Dio.” (Vangelo).

Dal Vangelo secondo Luca 9,57-62: Gesù dopo essere stato rifiutato dai Samaritani riprende il suo cammino verso Gerusalemme. Mentre camminavano per la strada, un tale disse a Gesù...: i tre interlocutori, qui riportati da Luca, dimostrano che oltre ai discepoli altri uomini avrebbero voluto seguire Gesù. Il primo vuol seguire Gesù ovunque egli vada, il secondo chiede di andare a seppellire il padre, il terzo chiede di congedarsi da quelli di casa sua. La risposta di Gesù svela ai tre tali il loro cuore: il primo, prima o poi, dinanzi alle radicali esigenze evangeliche avrebbe abbandonato il cammino, il secondo se non si fosse deciso di recidere le radici che lo tenevano avvinghiato al suo mondo sarebbe rimasto per sempre morto dentro, il terzo, non comprendendo l’urgenza di mettere Dio al di sopra degli affetti familiari, sarebbe rimasto per sempre legato ai suoi congiunti. Parole, quelle di Gesù, che indicano la via per la sequela cristiana: povertà, radicalità, novità di vita, universalità, primato di Dio, mettere al centro della propria vita Gesù, e soltanto lui. Questa è l’unica via per mettersi dietro al Maestro e solo con lo sguardo fisso a Gesù, senza volgersi indietro o titubare, si è degni di entrare nel Regno dei Cieli.

Discepolato - Giuliano Vigini (Dizionario del Nuovo Testamento): Il discepolato è la sequela incondizionata ed esclusiva di Gesù in risposta alla sua chiamata (Mc 1,16-20; 2,13-14). Le condizioni richieste per aderire pienamente a lui e condividere fino in fondo la sua missione sono particolarmente esigenti (Mt 10,37-38; Mc 8,34-38; 10,29-30; Lc 14,26.33). Chi segue Gesù deve avere il coraggio di saper rinunciare a tutto, a ogni bene e sicurezza, ed essere anche disposto a sacrificare la propria vita pur di restare fedele a lui e al suo vangelo. Chi ha il dono della chiamata al d. sceglie infatti di entrare in un orizzonte radicalmente diverso da quello di prima, perché comporta un atteggiamento interiore e uno stile di vita nuovo. Il discepolo che va in missione non porta nulla con sé, non ha fissa dimora e può soltanto contare come pellegrino sull’ospitalità che gli viene data. Egli mette quindi in gioco la propria esistenza per essere con Gesù al servizio del regno di Dio e ricevere un giorno la vita eterna che gli è stata promessa (Mc 10,17).
Questo è l’abito interiore e lo stile di vita di coloro che seguono Gesù e sono mandati a “fare discepoli” (mathéteuo, Mt 28,19) presso tutte le nazioni, predicando loro la conversione e il perdono dei peccati (Lc 24,47), “battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo” (Mt 28,19), e insegnando loro l’obbedienza ai suoi comandi (Mt 28,20).

Benedetto Prete (I Quattro Vangeli): Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; la chiamata ad essere discepoli ha un’importanza maggiore del dovere che hanno i figli di seppellire i propri genitori, dovere prescritto dal quarto comandamento, perché rientra nell’onore dovuto al padre ed alla madre. Il principio che il Salvatore enunzia è formulato in modo intenzionalmente paradossale e si basa su una duplice accezione dello stesso termine («i morti»); quelli che non hanno ricevuto la chiamata per essere discepoli di Gesù, chiamata che non li ha legati totalmente e perennemente a lui ed alla sua causa, possono soddisfare questi obblighi attendendo alla sepoltura dei morti; questi tali infatti possono essere considerati come «morti» (termine che qui raggiunge il paradosso) per la causa del regno. La chiamata al discepolato rappresenta il supremo valore per l’uomo, come è rilevato nel testo parallelo di Matteo, in cui si ripete ancora l’invito («seguimi e lascia che i morti...», Mt., 8,22); cf. anche Lc., 14,26; Mt., 10,37. Si osservi con quale amore ed esattezza la Chiesa primitiva ha ritenuto questi insegnamenti del Maestro; questi principi, raccolti e trasmessi da Matteo e da Luca, ripetono con una fedeltà, spinta usque ad litteram, le condizioni di rinunzia e di totale dedizione del discepolo alla causa del regno. Tu va’ ad annunziare il regno di Dio; aggiunta di Luca con la quale egli illustra ed applica il principio formulato dal Maestro; per l’evangelista il discepolo è colui che si consacra interamente alla diffusione del messaggio evangelico. L’espressione «annunziare il regno di Dio» è cara allo scrittore (cf. Lc., 4,43; 8,1; 9,2; 16,16; Atti, 28,23,31).

Lascia tutto, subito, per me: Giovanni Paolo II (Udienza Generale, 28 ottobre 1987): Gesù chiama a seguire lui personalmente. Questa chiamata sta, si può dire, al centro stesso del Vangelo. Da una parte Gesù rivolge questa chiamata, dall’altra sentiamo gli evangelisti parlare di uomini che lo seguono, e anzi, di alcuni di essi che lasciano tutto per seguirlo. Pensiamo a tutte quelle chiamate di cui ci hanno trasmesso notizie gli evangelisti: “Uno dei discepoli gli disse: Signore, permettimi di andare prima a seppellire mio padre. Ma Gesù gli rispose: Seguimi e lascia i morti seppellire i loro morti” (Mt 8,21-22): modo drastico di dire: lascia tutto, subito, per me. Così nella redazione di Matteo. Luca aggiunge la connotazione apostolica di questa vocazione: “Tu va’ e annunzia il regno di Dio” (Lc 9,60). Un’altra volta, passando accanto al banco delle imposte, disse e quasi impose a Matteo, che ci attesta il fatto: “Seguimi. Ed egli si alzò e lo segui” (Mt 9,9; cfr. Mc 2,13-14). Seguire Gesù significa spesso lasciare non solo le occupazioni e recidere i legami che si hanno nel mondo, ma anche staccarsi dalla condizione di agiatezza in cui ci si trova, e anzi dare i propri beni ai poveri. Non tutti si sentono di fare questo strappo radicale: non se la sentì il giovane ricco, che pure fin dalla fanciullezza aveva osservato la Legge e forse cercato seriamente una via di perfezione. Ma “udito questo (cioè l’invito di Gesù), se ne andò triste, poiché aveva molte ricchezze” (Mt 19,22; cfr. Mc 10,22). Altri, invece, non solo accettano quel “Seguimi”, ma, come Filippo di Betsaida, sentono il bisogno di comunicare ad altri la loro convinzione di aver trovato il Messia (Gv 1,43ss.). Lo stesso Simone si sente dire fin dal primo incontro: “Tu ti chiamerai Cefa (che vuol dire Pietro)” (Gv 1,42). L’evangelista Giovanni annota che Gesù “fissò lo sguardo su di lui”: in quello sguardo intenso vi era il “Seguimi” più forte e accattivante che mai. Ma sembra che Gesù, data la vocazione tutta speciale di Pietro (e forse anche il suo naturale temperamento) voglia far maturare gradualmente la sua capacità di valutare e accettare quell’invito. Il “Seguimi” letterale per Pietro verrà infatti dopo la lavanda dei piedi in occasione dell’ultima cena (cfr. Gv 13,36), e poi, in modo definitivo, dopo la risurrezione, sulla riva del lago di Tiberiade (Gv 21,19).

Il radicalismo evangelico - Pastores dabo vobis 27: Per tutti i cristiani, nessuno escluso, il radicalismo evangelico è un’esigenza fondamentale e irrinunciabile, che scaturisce dall’appello di Cristo a seguirlo e ad imitarlo, in forza dell’intima comunione di vita con lui operata dallo Spirito. Questa stessa esigenza si ripropone per i sacerdoti, non solo perché sono «nella» Chiesa, ma anche perché sono «di fronte» alla Chiesa, in quanto sono configurati a Cristo Capo e Pastore, abilitati e impegnati al ministero ordinato, vivificati dalla carità pastorale. Ora, all’interno e come manifestazione del radicalismo evangelico si ritrova una ricca fioritura di molteplici virtù ed esigenze etiche che sono decisive per la vita pastorale e spirituale del sacerdote, come, ad esempio, la fede, l’umiltà di fronte al mistero di Dio, la misericordia, la prudenza. Espressione privilegiata del radicalismo sono i diversi «consigli evangelici», che Gesù propone nel Discorso della Montagna e tra questi i consigli, intimamente coordinati tra loro, d’obbedienza, castità e povertà: il sacerdote è chiamato a viverli secondo quelle modalità, e più profondamente secondo quelle finalità e quel significato originale, che derivano dall’identità propria del presbitero e la esprimono.

Seguire Gesù casto, povero, obbediente: Perfectae caritatis 1: Fin dai primi tempi della Chiesa vi furono uomini e donne che per mezzo della pratica dei consigli evangelici vollero seguire Cristo con maggiore libertà ed imitarlo più da vicino, e condussero, ciascuno a loro modo, una vita consacrata a Dio. Molti di essi, sotto l’impulso dello Spirito Santo, vissero una vita solitaria o fondarono famiglie religiose che la Chiesa con la sua autorità volentieri accolse ed approvò. Cosicché per disegno divino si sviluppò una meravigliosa varietà di comunità religiose, che molto ha contribuito a far sì che la Chiesa non solo sia atta ad ogni opera buona e preparata al suo ministero per l’edificazione del corpo di Cristo (cfr. Ef 4,12), ma attraverso la varietà dei doni dei suoi figli appaia altresì come una sposa adornata per il suo sposo (cfr. Ap 21,2), e per mezzo di essa si manifesti la multiforme sapienza di Dio (cfr. Ef 3,10). In tanta varietà di doni, tutti coloro che, chiamati da Dio alla pratica dei consigli evangelici, ne fanno fedelmente professione, si consacrano in modo speciale al Signore, seguendo Cristo che, casto e povero (cfr. Mt 8,20; Lc 9,58), redense e santificò gli uomini con la sua obbedienza spinta fino alla morte di croce (cfr. Fil 2,8). Così essi, animati dalla carità che lo Spirito Santo infonde nei loro cuori (cfr. Rm 5,5) sempre più vivono per Cristo e per il suo corpo che è la Chiesa (cfr. Col 1,24). Quanto più fervorosamente, dunque, vengono uniti a Cristo con questa donazione di sé che abbraccia tutta la vita, tanto più si arricchisce la vitalità della Chiesa ed il suo apostolato diviene vigorosamente fecondo.

H. Chr. Hahn (Seguire - Nota Pastorale - Dizionario dei Concetti Biblici del Nuovo Testamento): Cristo è colui che con il suo messaggio cammina verso il Padre e chiama al suo seguito. Senza la continua attualizzazione del fondamento strettamente cristocentrico, la sequela corre il pericolo di sviluppare un nuovo legalismo dietro la chiamata al «cammino nella fede». E. Schweizer mostra con questo esempio che nella sequela non sono evidenti opere etiche secondo determinate norme. «La sequela non è la via alla perfezione, ma la stessa perfezione richiesta» (H. Conzelmann). Questa acuta osservazione mostra che nella sequela il primo elemento è costituito dal rapporto dell’uomo con il Cristo. La vicinanza a lui è lo « spazio» della perfezione.
Seguire comporta anzitutto andare con Cristo, come facevano una volta i discepoli: «Essi non vengono chiamati né a opere imponenti né a nuove realizzazioni. Sono invitati a essere partecipi a quanto accade intorno al Cristo» (E. Schweizer, Jesus Christus, 44).
Poiché non abbiamo più la possibilità di una nostra presenza intorno al Gesù terreno, dobbiamo essere là dove egli vuol condurre, oggi come allora, la sua esistenza. La «presenza» non è mai un atteggiamento passivo di spettatore. L’essere con Cristo, il seguirlo nel mondo, implica un’azione efficace, un impegno di tutte le proprie forze, non di uomini che si ostinano per un ideale utopico, ma di uomini normali, che seguono Cristo, fiduciosi che la sua forza diventi anche la loro. «Tu chiedi che noi, i senz’amore di questa terra, siamo il tuo amore; i disorientati, la tua pace; i senza voce, la tua parola» (M. Luise Kaschnitz).
Perché la realizzazione della vera sequela resti legata alla persona e alla forza trascinante di Gesù Cristo, in vista della chiamata a una fede operante, bisogna riconsiderare quanto proponeva Kierkegaard: «La vera sequela nasce non quando si dice: “devi seguire” il Cristo ma quando si proclama ciò che Cristo ha fatto per me. Se l’uomo comprende e sente questa verità profonda, allora la sequela diventa naturale». Dall’equivoco individualistico mette in guardia O. Bruder: «L’amore di colui che segue Cristo è l’amore per un mondo da salvare».

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** «L’amore di colui che segue Cristo è l’amore per un mondo da salvare» (O. Bruder). 
Nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Preghiamo con la Chiesa: O Dio, che riveli la tua onnipotenza soprattutto con la misericordia e il perdono, continua a effondere su di noi la tua grazia, perché, camminando verso i beni da te promessi, diventiamo partecipi della felicità eterna. Per il nostro Signore Gesù Cristo…