29 Ottobre 2018

Lunedì  XXX Settimana T. O


Oggi Gesù ci dice: “Beato l’uomo che non entra nel consiglio dei malvagi.” (Salmo Responsoriale). 

Vangelo secondo Luca 13,10-17: Il miracolo della donna curva ha molti tratti in comune con la guarigione dell’uomo che aveva la mano destra paralizzata (Lc 6,6-11). È un giorno di sabato, Gesù sta insegnando nella sinagoga e guarisce di sua iniziativa una donna inferma da diciotto anni. Lo sdegno del capo della sinagoga è per Gesù ipocrisia profonda: il Sabato era memoria del riposo di Dio (Es 20,11), era un giorno donato al riposo, alla preghiera e alla lode, un giorno per celebrare la misericordia di Dio, la sua potenza, per ricordare i prodigi operati da Dio per liberare il suo popolo dalla schiavitù del Faraone. La donna inferma era oppressa da uno spirito, allora perché  il capo della sinagoga ritiene che liberare una persona da una situazione di schiavitù sia una violazione del Sabato? Compiere un gesto di liberazione è la vera celebrazione del Sabato, non la sua violazione! Qui sta la novità del Vangelo: osservare la legge non è una spinta verso la disperazione o verso la schiavitù del legalismo, ma è aprire il cuore alla gioia. Osservare la Legge di Dio è una conquista per l’umanità e non una nuova oppressione: in poche parole, è un immergerci nella volontà di Dio, e vedere che ogni momento può essere una occasione di grazia, un momento favorevole perché la nostra vita cambi.

Gesù stava insegnando in una sinagoga in giorno di sabato - Marco Galizzi (Vangelo secondo Luca): Stava insegnando, indizio chiaro che il «segno di Giona» (11,29-30.32) continua. Gesù predica; Gesù fa sentire, come Giona, la sua parola e di nuovo in una sinagoga e in giorno di sabato. Bastano queste due parole: sinagoga-sabato per aspettarsi uno scontro con i farisei e gli scribi, qui indicati da quell’Ipocriti (13,15) che richiama il termine ipocrisia di 12,1. Comunque non gli hanno ancora proibito di insegnare, e questo è positivo, e poi qui non si dice che lo spiavano (vedi 6,7). Però sappiamo quello che cercano: la sua rovina (11,53).
Osserviamo Gesù. Come ogni sabato sta celebrando la liberazione di Dio (vedi commento a 6,6-11), una liberazione che i suoi segni prodigiosi rendono ancora oggi presente; perché Dio continua a operare la salvezza nella storia degli uomini. Quel giorno fu la guarigione di una donna a renderla sensibile, e fu uno stupendo miracolo. Non è una semplice guarigione, esso sa di esorcismo. Il testo dice che uno spirito la teneva ammalata da diciotto anni; Gesù dice che era Satana che la teneva legata da diciotto anni. Sul cammino di Gesù c’è sempre Satana, ma Gesù è il più forte (11,22) e Satana deve sloggiare.

Ma il capo della sinagoga, sdegnato ... - Rinaldo Fabris (I Vangeli): Il presidente della sinagoga, incaricato di tutelare l’osservanza del riposo sabatico, se la prende con la gente, non affronta Gesù a viso aperto. È il ritratto dell’uomo abituato a incontrare gli altri dietro la protezione del ruolo e delle leggi. Gesù smaschera lui e tutta la sua categoria facendo appello al buon senso popolare che ha intuito nello scoprire la genuina volontà di Dio.
Se nel giorno del riposo sacro nessuno si fa scrupolo di provvedere alle necessità degli animali domestici, dato che c’è di mezzo l’interesse, perché non si può andare incontro a una creatura umana? Solo un amore attento agli altri può liberare dalle angustie e ristrettezze che incapsulano Dio nei nostri schemi formalistici a legalistici. In tal modo Gesù restituisce al sabato il suo significato originario: è il giorno della creazione e della liberazione (cfr. Es 20,11; Dt 5,15). Quella donna appartiene come i capi al popolo di Dio, ai figli di Abramo, e come tale può sperare nella salvezza di Dio precisamente nel giorno in cui si ricorda la liberazione dell’esodo. La gente, a differenza dei capi religiosi, comprende a volo questo significato del gesto di Gesù ed è presa da entusiasmo. La sclerosi del formalismo religioso impedisce non solo di cogliere la genuina volontà di Dio, ma rende anche ottusi di fronte alla manifestazione palese del suo amore liberante.

Le donne del Vangelo - Mulieris dignitatem 13: Scorrendo le pagine del Vangelo, passa davanti ai nostri occhi un gran numero di donne, di diversa età e di diverso stato. Incontriamo donne colpite da malattia o da sofferenze fisiche, come la donna che aveva «uno spirito che la teneva inferma, era curva e non poteva drizzarsi in nessun modo» (cf. Lc 13,11), o come la suocera di Simone che era «a letto con la febbre» (Mc 1,30), o come la donna «affetta da emorragia» (cf. Mc 5,25-34), che non poteva toccare nessuno, perché si riteneva che il suo tocco rendesse l’uomo «impuro». Ciascuna di loro fu guarita, e l’ultima, l’emorroissa, che toccò il mantello di Gesù «tra la folla» (Mc 5,27), fu da lui lodata per la grande fede: «La tua fede ti ha salvata» (Mc 5,34). C’è poi la figlia di Giairo, che Gesù fa tornare in vita, rivolgendosi a lei con tenerezza: «Fanciulla, io ti dico, alzati!» (Mc 5, 41). E ancora c’è la vedova di Nain, alla quale Gesù fa ritornare in vita l’unico figlio, accompagnando il suo gesto con un’espressione di affettuosa pietà: «Ne ebbe compassione e le disse: Non piangere!» (Lc 7,13). E infine c’è la Cananea, una donna che merita da parte di Cristo parole di speciale apprezzamento per la sua fede, la sua umiltà e per quella grandezza di spirito, di cui è capace soltanto un cuore di madre: «Donna, davvero grande è la tua fede! Ti sia fatto come desideri» (Mt 15,28). La donna cananea chiedeva la guarigione della figlia.


A volte le donne, che Gesù incontrava e che da lui ricevevano tante grazie, lo accompagnavano, mentre con gli apostoli peregrinava attraverso città e paesi, annunciando il Vangelo del Regno di Dio; e «li assistevano con i loro beni». Il Vangelo nomina tra loro Giovanna, moglie dell’amministratore di Erode, Susanna e «molte altre» (cf. Lc 8,1-3).
A volte figure di donne compaiono nelle parabole, con le quali Gesù di Nazareth illustrava ai suoi ascoltatori la verità sul Regno di Dio. Così è nelle parabole della dramma perduta (cf. Lc 15,8-10), del lievito (cf. Mt 13,33), delle vergini sagge e delle vergini stolte (cf. Mt 25,1-13). Particolarmente eloquente è il racconto dell’obolo della vedova. Mentre «i ricchi (...) gettavano le loro offerte nel tesoro (...), una vedova povera vi gettò due spiccioli». Allora Gesù disse: «Questa vedova, povera, ha messo più di tutti (...), nella sua miseria ha dato tutto quanto aveva per vivere» (Lc 21,1-4). In questo modo Gesù la presenta come modello per tutti e la difende, poiché, nel sistema socio-giuridico di allora, le vedove erano esseri totalmente indifesi (cf. anche Lc 18,1-7).
In tutto l’insegnamento di Gesù, come anche nel suo comportamento, nulla si incontra che rifletta la discriminazione, propria del suo tempo, della donna. Al contrario, le sue parole e le sue opere esprimono sempre il rispetto e l’onore dovuto alla donna. La donna ricurva viene chiamata «figlia di Abramo» (Lc 13,16): mentre in tutta la Bibbia il titolo di «figlio di Abramo» è riferito solo agli uomini. Percorrendo la via dolorosa verso il Golgota, Gesù dirà alle donne: «Figlie di Gerusalemme, non piangete su di me» (Lc 23,28). Questo modo di parlare delle donne e alle donne, nonché il modo di trattarle, costituisce una chiara «novità» rispetto al costume allora dominante

La donna - Giuliano Vigini (Dizionario del Nuovo Testamento): Nelle lettere di Paolo, partendo dall’affermazione centrale che “non c’è né giudeo né greco; non c’è schiavo né libero; non c’è maschio né femmina”, perché tutti i battezzati sono diventati una cosa sola in Gesù (Gal 3,28), si sviluppa un’articolata riflessione che pone il rapporto uomo-donna su un piano generale di parità e reciproco rispetto, non solo nell’ambito dei rapporti sessuali (1Cor 7,3-5). Egli chiama infatti uomo e donna a una collaborazione, che non annulla le differenze né interscambia i ruoli né cancella per le donne talune restrizioni, ma valorizza le specificità e le potenzialità dell’uno e dell’altra, cementandole nel segno dell’unica relazione d’amore per Dio, Cristo e la Chiesa.
Questi principi sono messi in pratica da Paolo nell’esercizio del suo ministero apostolico, valendosi dell’apporto e dell’impegno fattivo di numerose donne (cfr., ad es., Rm 16,1-16; 1Cor 16,19; Fil 4,2-3), che partecipano anche a diversi servizi ecclesiali, nella comunità e nella liturgia, compatibilmente con i bisogni e le situazioni specifiche delle singole chiese locali.
Questa accentuazione della posizione paritaria della donna e delle importanti funzioni svolte all’interno della Chiesa nascente - nella quale tra l’altro affluivano sempre più anche donne dell’alta società (At 17,4.12.34) - appare evidente in At (9,32-42; 12,12-17; 16,12-40; 18,1-3.24-26; 21,9), anche attraverso alcune figure di spicco: come Tabità - chiamata “discepola” (mathétria, 9,36) -, Priscilla (18,2.18.26) - nominata più volte anche altrove, assieme al marito Aquila (Rm 16,3; 1Cor 16,19; 2 Tm 4,19) -, Lidia (16,14-15.40), Maria (12,12) o la stessa serva di nome Rode (12,13).
Anche nel resto del Nuovo Testamento non viene meno l’attenzione per le donne, specialmente per le vedove (1Tm 5,3-16; Gc 1,27). Un particolare accento è posto da 1Pt 3,1-7 al comportamento che devono tenere le donne cristiane sposate a uomini pagani. Per evitare conflitti, Pietro raccomanda di non insistere nel voler loro proclamare la parola del vangelo, ma piuttosto di conquistarli alla fede attraverso l’esempio di una vita onesta e timorata di Dio, specchio della verità e della bellezza della loro fede, interiormente vissuta e messa al servizio del bene. Così come i mariti sono esortati a trattare le mogli con rispetto e onore, non solo perché, secondo la mentalità tradizionale, più deboli nel corpo (la donna è paragonata a “un vaso più fragile”, asthenesteró skeuef), ma soprattutto perché esse partecipano con loro della “grazia della vita”: sono cioè coeredi dello stesso dono di salvezza ricevuto da Dio e poste quindi sullo stesso piano dell’uomo. Le preghiere dei mariti già cristiani o diventati cristiani, a cui probabilmente è rivolta l’esortazione finale (1Pt 3,7), sono vane già in partenza se non entrano in questa prospettiva di vera comunione sponsale, che diventa il segno identificativo anche della loro comune ricerca di Dio.

... non c’è più uomo né donna - Cettina Militello: Le donne hanno oggi acquisito una visibilità mai posseduta nella storia della Chiesa, benché ancora lontana dalla visibilità da loro conquistata sul piano politico e sociale. Resta tuttavia ancora aperta la questione della loro specificità, oltre la sfera riproduttiva c sessuale. Così come resta aperta nella Chiesa la questione dei ministeri delle donne e della loro partecipazione autorevole alla vita della Chiesa, di cui non si vedono ancora, in tutta chiarezza, forme possibili ed efficaci. Tra le svolte del concilio Vaticano II (1962-65) va anche collocato l’accesso delle donne alla teologia accademica, che ha prodotto una teologia elaborata dalle donne (teologia femminista/teologia al femminile): riflessione che sulla distanza obbligherà a una rielaborazione dell’intero sapere teologico. Gli scenari futuri passano dunque dalla ricerca appassionata delle donne con strumenti e attenzioni mai ottenuti nella storia. Forse sarà il terzo millennio a far finalmente propria l’affermazione della Lettera di s. Paolo ai Galati (3,29): “Non c’è più giudeo né greco; non c’è più schiavo né libero; non c’è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù”.

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** (Il Signore veglia sul cammino dei giusti, mentre la via dei malvagi va in rovina” (Salmo Responsoriale).
Nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Preghiamo con la Chiesa: Dio onnipotente ed eterno, accresci in noi la fede, la speranza e la carità, e perché possiamo ottenere ciò che prometti, fa’ che amiamo ciò che comandi. Per il nostro Signore Gesù Cristo...